Maternità e paternità nei luoghi di lavoro
Sebbene sia stata riposta la massima cura nell'inserimento delle informazioni che seguono, la Fiom-Cgil declina ogni responsabilità per eventuali errori, omissioni, imprecisioni.
Tutela
della maternità:
1902,
giugno: - Viene emanata la
Legge n. 242 che prevede l’astensione dal lavoro per le lavoratrici nei trenta
giorni successivi al parto. Nelle fabbriche con più di 50 operaie è
obbligatorio consentire l’allattamento in camere speciali o uscendo a
determinati orari. La legge non prevede ancora sussidi o indennità, ma si avvia
già in quegli anni una discussione, che si protrarrà a lungo, sulla necessità
di un sussidio, sull’obbligatorietà dell’assicurazione e sul concorso dello
Stato.
1907,
agosto: - Viene vietato l’impiego
delle lavoratrici nei lavori di mondatura in risaia durante l’ultimo mese di
gravidanza e il primo dopo il parto.
1910, luglio: - La Legge n. 250 istituisce la Cassa nazionale di maternità (obbligatoria) amministrata dalla Cassa nazionale di previdenza.
1927:
- La Cassa nazionale di maternità crea i primi consultori materni.
1939:
-
Il governo fascista abolisce l’assicurazione di maternità e la sostituisce
con il premio di nuzialità e il premio di natalità. Entrambi i premi sono
concessi senza distinzione di sesso.
Questa
normativa è un chiaro passo indietro, in quanto nei premi di nuzialità non
c’è alcuna tutela dei diritti e della salute della madre e del bambino.
1947,
ottobre: -
La Cgil presenta un suo progetto sulla tutela della maternità, che
nel giugno 1948 viene assunto dalle sinistre come legge d’iniziativa
parlamentare. Questo progetto viene poi unificato con un testo presentato dal
ministro del Lavoro e si traduce, con numerosi emendamenti sostitutivi, nella Legge
n. 860 del 26 agosto 1950 che
detta nuove norme per la tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri.
Già
questa legge e le successive modifiche del dicembre 1950 e del 1951 prevedono il
divieto di licenziamento e la conservazione del posto alle lavoratrici madri.
1971,
30 dicembre: - Viene emanata la Legge n. 1204 che si muove in sostanziale
continuità con quanto previsto dalla Legge n. 860 del 1950, allargando la sfera
dei diritti delle lavoratrici madri. Nello stesso mese viene anche approvato il
Piano nazionale degli asili nido.
Questo
decennio, che si apre con la conquista della Legge n. 898 del 1970 sul divorzio, è caratterizzato da un grande impegno del movimento
delle donne, soprattutto di sinistra (Unione donne italiane, gruppi femministi).
La loro forte e continua mobilitazione consente l’approvazione di leggi di
grande valore civile e sociale, tra cui la riforma del diritto di famiglia nel
1975, ma porta anche un contributo decisivo alla vittoria dei NO nel referendum
di abrogazione della legge sul divorzio nel 1974.
1977,
9 dicembre: -
La Legge n. 903 sulla parità di trattamento tra uomini e donne, detta
norme sulla maternità, estendendo i diritti anche alle lavoratrici che abbiano
adottato un bambino o lo abbiano ottenuto in affidamento. Tali diritti vengono
riconosciuti, in alternativa, anche al padre.
1978,
22 maggio: -
Viene approvata la Legge n. 194 recante norme sulla tutela sociale della
maternità e sull’interruzione di gravidanza. Dopo imponenti manifestazioni e
cortei, e un durissimo scontro in Parlamento, le donne conquistano il diritto
all’interruzione volontaria di gravidanza con l’assistenza di strutture
pubbliche. Viene così sconfitta la piaga dell’aborto clandestino e affermato
il valore di una maternità consapevole.
Negli
anni successivi vengono ancora ampliate e migliorate le tutele alla maternità,
a significare l’evoluzione profonda che ha subìto il modello familiare.
2000, 8 marzo: - La Legge n. 53 conclude un secolo di importanti riconoscimenti per le donne.
La
nuova legge per le madri e per i padri
La
legge sui congedi parentali, “Disposizioni per il sostegno della
maternità e della paternità per il diritto alla cura e alla formazione, per il
coordinamento dei tempi delle città”, è stata approvata il 22 febbraio 2000
e pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 60 del 13 marzo 2000.
Entro
12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, il governo è delegato a
emanare un decreto legislativo,
recante il testo unico della normativa vigente in materia di tutela e sostegno
della maternità.
Il decreto legislativo dovrà coordinare la nuova legge con la preesistente normativa e indicare le norme anche implicitamente abrogate.
I diritti della madre e del padre
La
Legge n. 1204
del 30
dicembre 1971 – e il relativo regolamento di esecuzione con il Decreto del
Presidente della Repubblica n. 1026/76
– che costituisce la tutela fondamentale della lavoratrice dipendente
durante la gravidanza è stata innovata dalla Legge n. 53/2000 che ha
aumentato la possibilità di fruire di periodi di congedo dal lavoro per
assistere i figli ed esteso tale possibilità anche ai padri, equiparando
sostanzialmente la paternità alla maternità.
Questo
complesso di norme, tra l'altro, prevede il divieto di licenziamento, impedisce
che le lavoratrici madri vengano adibite a mansioni faticose o comunque
pregiudizievoli al buon andamento della gravidanza e fissa la disciplina dei
periodi di astensione dal lavoro per la tutela della salute della madre e del
bambino.
Essendo
la lavoratrice tutelata fin dall’inizio della gravidanza, è opportuno inviare
al più presto possibile sia al datore di lavoro sia all’istituto assicuratore
(Inps) il certificato di gravidanza - rilasciato dalle strutture pubbliche - in
cui sono riportate l’indicazione del mese di gestazione e della data presunta
del parto.
L’inizio
dello stato di gravidanza si determina calcolando a ritroso 300 giorni rispetto
alla data presunta del parto (Art. 4, D.P.R. n. 1026/76).
Lo
stato di gravidanza non può costituire un elemento di discriminazione ai fini
dell’assunzione.
La
donna quando non ha ancora un lavoro ed è in cerca di occupazione può non
rivelare all’eventuale futuro datore di lavoro il
suo stato e il datore di lavoro non può compiere alcuna indagine in
merito.
Divieto
di licenziamento (art. 2 Legge n.
1204/71)
La
lavoratrice non può essere licenziata dall’inizio della gravidanza fino al
compimento del primo anno di vita del bambino; secondo la giurisprudenza
prevalente tale divieto, essendo collegato allo stato oggettivo della
gravidanza, opera indipendentemente dalla conoscenza da parte dell'azienda, e
della lavoratrice stessa, dello stato di gravidanza.
Solo
in caso di giusta causa di licenziamento, di scadenza del termine del contratto
e di cessazione dell’attività dell’impresa tale divieto viene a decadere.
Nell’ipotesi
di licenziamento illegittimo si ha quindi diritto a ottenere il ripristino del
rapporto di lavoro mediante presentazione, entro 90 giorni dal licenziamento,
della certificazione medica attestante l’esistenza della gravidanza
all’epoca del licenziamento.
Anche
il licenziamento causato dalla fruizione dei congedi previsti dalla nuova legge
è nullo.
La
Legge n. 53/2000
prevede esplicitamente che al termine dei periodi di astensione le lavoratrici e
i lavoratori hanno il diritto di rientrare nella stessa unità produttiva ove
erano occupati al momento della richiesta di astensione o in altra ubicata nel
medesimo comune e di permanervi fino al compimento di 1 anno di vita del
bambino. Essi hanno altresì
diritto di essere adibiti alle ultime mansioni svolte o ad altre equivalenti,
come previsto dall'art. 2 della Legge n. 1204/71.
Le
dimissioni volontarie della lavoratrice devono
essere convalidate dall’Ispettorato del lavoro e la lavoratrice ha diritto
alle indennità di legge e contrattuali conseguenti.
Dall’inizio
della gravidanza, fino al compimento di 1 anno di vita del bambino, la
lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso in cui sia sospesa
l’attività dell’azienda o del reparto cui essa è addetta, sempre che il
reparto stesso abbia autonomia funzionale.
La
normativa attualmente in vigore è
rivolta a proteggere la salute della madre e del bambino. La norma fondamentale
è ancora oggi costituita dalla Legge
n. 1204/71 e dal relativo regolamento di esecuzione. A essa si è
recentemente aggiunto il D.lgs. n. 645/96 in recepimento della Direttiva
europea n. 85/92 il quale, innestandosi sulle norme specifiche per la tutela
della maternità e sulla tutela generale della salute lavorativa (D.lgs. n.
626/94), crea un sistema di norme in base alle quali è vietato adibire la
donna dall’inizio della gravidanza fino a
7 mesi dopo il parto ai lavori pericolosi, faticosi e insalubri elencati
nel decreto. Altri rischi da valutare sono quelli riguardanti esposizione ad
agenti fisici, chimici o biologici. E' compito del datore di lavoro, valutare
ulteriori rischi lavorativi specifici
per la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento
fino a 7 mesi dopo il parto, rispetto a quelli già definiti come lavorazioni
vietate.
In
caso di presenza di situazioni di rischio il datore di lavoro deve provvedere
dall’inizio della gravidanza e fino a 7 mesi dopo il parto
allo spostamento ad altre mansioni.
Quando
la donna ritiene che la sua situazione lavorativa possa nuocere allo svolgimento
della gravidanza può rivolgersi all’Asl competente o all’Ispettorato del
lavoro.
La
lavoratrice gestante ha diritto (D.lgs. n. 645/96), durante l'orario di
lavoro, a permessi retribuiti, per l’effettuazione di esami prenatali,
accertamenti clinici, visite mediche specialistiche, previa presentazione di
idonea documentazione giustificativa che attesti la data e l’ora di
svolgimento degli accertamenti.
In
base all'art. 17 della Legge n. 25 del 5 febbraio 1999 è vietata l’adibizione
al lavoro notturno (dalle ore 24 alle ore 6) della lavoratrice madre,
dall'inizio della gravidanza fino
al compimento di 1 anno di età del bambino.
La
stessa legge riconosce la facoltà di rifiutare la prestazione nelle ore
notturne alla lavoratrice madre (o alternativamente al padre convivente) di un
figlio di età inferiore a 3 anni, alla lavoratrice o al lavoratore che sia
l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a 12
anni, alla lavoratrice o al lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto
disabile ai sensi della Legge n. 104/92.
La
lavoratrice in gravidanza ha il diritto-dovere di assentarsi dal lavoro durante
il periodo di astensione obbligatoria (2 mesi precedenti la data presunta del
parto e 3 mesi successivi la data effettiva del parto).
La
nuova Legge n. 53/2000 prevede per la lavoratrice la facoltà di fruire
del periodo in maniera flessibile (1 mese precedente la data presunta del parto
e 4 mesi successivi la data presunta del parto).
Devono
essere il medico specialista del Ssn e il medico competente ai fini della tutela
della salute nei luoghi di lavoro, ad attestare che non vi sia pregiudizio per
la salute della gestante o del bambino.
La
lavoratrice continua ad aver diritto all’indennità anche in caso di cessazione del rapporto nel corso
dell’astensione obbligatoria, provocato dalla cessazione dell’attività
dell’azienda, dall'ultimazione della prestazione per la quale era stata assunta, dalla scadenza del contratto
o da dimissioni volontarie, convalidate dall’Ispettorato del lavoro.
La
sentenza della Corte costituzionale n. 270/99
ha sancito il diritto di fruire dell’intero
periodo di astensione obbligatoria
(5 mesi) anche in caso di parto
prematuro. In questo caso i tre
mesi di
astensione post-partum
vanno conteggiati dalla data presunta
del parto, indicata nel certificato
di gravidanza.
La
Legge n. 53/2000 ha recepito
questa impostazione.
L’
art. 13 della Legge n. 53/2000 riconosce anche al padre il diritto
all’astensione obbligatoria nei tre mesi successivi alla nascita del bambino
nel caso in cui la madre sia deceduta, ovvero non sia in grado, per
effetto di una grave malattia di prendersi cura del bambino oppure in caso di
abbandono della madre o di affidamento esclusivo al padre.
Anticipo
dell’astensione obbligatoria
L'anticipo
dell'astensione obbligatoria può verificarsi quando la lavoratrice ha una
gravidanza con gravi complicazioni, quando è affetta da una malattia che la
gestazione potrebbe rendere più grave, quando le condizioni di lavoro o
ambientali siano pregiudizievoli alla salute della donna o del bambino.
In
questi casi la donna deve inoltrare (a mano o per raccomandata ar) la richiesta
alla Direzione provinciale del lavoro, Servizio ispezione del lavoro del
competente capoluogo di provincia, corredata dalla idonea certificazione medica.
La
Direzione provinciale del lavoro, entro 7 giorni dal ricevimento dell’istanza, dovrà rilasciare il
provvedimento concessivo dell’interdizione anticipata dal lavoro e decidere la
durata del periodo o dei periodi
per cui viene concessa.
Queste
assenze non concorrono alla
formazione del periodo di comporto, cioè del periodo per cui si ha diritto alla
conservazione del posto di lavoro in caso di malattia. Anche per questo, è
importante qualora ricorrano i motivi prescritti, richiedere l’anticipo
dell’astensione obbligatoria, anziché presentare un semplice certificato di
malattia.
In
caso di malattia, che non sia complicazione dovuta alla gravidanza stessa, la
lavoratrice dovrà presentare all’azienda
un normale certificato rilasciato dal proprio medico di base, percependo
l’intera retribuzione.
La
malattia intervenuta durante i periodi di astensione facoltativa interrompe tali
periodi e dà diritto al trattamento relativo alle assenze per malattia.
L’interruzione
di gravidanza, sia spontanea che
terapeutica, avvenuta nei primi 180 giorni di gravidanza, si considera
malattia a tutti gli effetti.
L’interruzione
oltre tale periodo dà comunque
diritto ai 3 mesi di astensione obbligatoria previsti, retribuiti al 100%,
previa presentazione del
certificato medico attestante il
periodo di gestazione e la data
presunta del parto. Durante questo lasso di tempo
la lavoratrice non può essere licenziata.
Nel
caso di decesso del bambino durante il parto o nei 3 mesi successivi, la
lavoratrice non può essere licenziata fino al termine del periodo di astensione
obbligatoria e continua a godere dell’indennità di maternità.
Trattamento economico dell’astensione obbligatoria
Durante
l’intero periodo di
astensione obbligatoria, nei due mesi prima del parto e nei tre mesi successivi
è corrisposta l'intera retribuzione globale.
Le
ferie potranno essere fruite al termine del periodo di astensione obbligatoria.
Tutti
i periodi di astensione obbligatoria sono utili ai fini dell’anzianità di
servizio, degli scatti di anzianità, delle ferie, oltre che della tredicesima.
I
nuovi diritti della madre e del padre
Astensione
obbligatoria
Prima
|
|
Oggi |
Madre. La
Corte costituzionale aveva concesso il diritto al padre, dopo il parto, in
caso di impossibilità della
madre. |
Chi
ne fruisce |
Madre.
Padre, nel periodo successivo al parto, in caso di morte o grave
infortunio della madre o di abbandono o di affidamento esclusivo al padre. |
Due
mesi prima della data presunta del parto, a meno di autorizzazione a
periodi superiori concessi dall’Ispettorato, tre mesi dopo la nascita
del bambini. |
Periodi |
Due
mesi oppure un mese prima della data presunta del parto, a meno di
autorizzazione a periodi superiori concessi dall’Ispettorato. Tre mesi
oppure quattro dopo la nascita del bambino. Inoltre, eventuale periodo
pari a quello compreso tra la data presunta e quella effettiva, in caso di
parto prematuro. |
Indennità
economica pari all'intera retribuzione globale. Periodo
utile per l’anzianità di servizio, ferie e tredicesima. Copertura
previdenziale al 100%. |
Trattamento
economico normativo e previdenziale |
Nessuna
modifica al trattamento. |
La
lavoratrice, in precedenza, al termine dell’astensione obbligatoria aveva la
possibilità di assentarsi dal lavoro per un totale di 6 mesi, anche in maniera
frazionata entro il primo anno di vita del bambino. In base
all’interpretazione evolutiva della giurisprudenza tale diritto spettava anche
al padre, in alternativa alla madre lavoratrice dipendente.
Oggi,
con la Legge n. 53/2000,
entro i primi 8 anni di vita del bambino ciascun genitore ha diritto ad
astensioni dal lavoro.
La
madre lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria,
può usufruire di un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6
mesi e il padre lavoratore di un periodo continuativo o frazionato non superiore
a 6 mesi.
Le
astensioni dal lavoro di entrambi i genitori non possono complessivamente
eccedere il limite di 10 mesi, che è elevato a 11 mesi se il padre esercita il
diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a 3 mesi.
Qualora
vi sia un unico genitore, può fruire del periodo di aspettativa entro il limite
massimo di 10 mesi.
In
base alla
Legge n. 53/2000, il diritto
all’astensione facoltativa spetta al padre lavoratore anche se
l’altro genitore non ne ha diritto (cioè se la madre non è lavoratrice
dipendente). Per il padre, quindi, la possibilità di fruire dell’astensione
facoltativa diventa un diritto autonomo e indipendente da quello della madre.
Inoltre, i genitori possono fruire dei periodi di aspettativa anche
contemporaneamente, a differenza di quanto avveniva precedentemente.
Trattamento
economico dell’astensione facoltativa
I
periodi di astensione facoltativa godono di un’indennità pari al 30% della
retribuzione, se fruiti entro il primo anno di età del bambino ed entro il
limite complessivo tra i genitori di 6 mesi. Tali periodi sono coperti da
contribuzione figurativa.
I
suddetti periodi vengono computati
ai fini dell’anzianità, così come l’astensione obbligatoria, a esclusione
degli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità.
Per
fruire dei periodi di astensione facoltativa è possibile richiedere
l’anticipazione del trattamento di fine rapporto (art. 2120 del Codice
civile).
La
lavoratrice ha diritto, fino a 1 anno di vita del bambino, a usufruire di 2
riposi giornalieri retribuiti di 1 ora ciascuno, cumulabili anche in 2 ore.
Se
l’orario di lavoro è inferiore a 6 ore giornaliere il riposo è di 1 ora.
In
caso di parto plurimo la Legge n. 53/2000
prevede che il permesso
retribuito giornaliero possa essere usufruito per ognuno dei figli, fino a un
massimo di 4 ore. Eventualmente, le due ore aggiuntive possono essere fruite
anche dal padre.
La
lavoratrice deve comunicare all’azienda la scelta della modalità di utilizzo.
La Corte costituzionale aveva esteso il diritto ai riposi
giornalieri anche al padre, in alternativa alla madre, per l’assistenza al
figlio nel primo anno di vita (Sentenza della Corte costituzionale del
21/3/93, n. 179), modificando una vecchia impostazione che riconosceva tale
diritto al padre solo in casi
eccezionali (morte o grave
infermità della madre o abbandono o affidamento in esclusiva).
Oggi
la Legge n. 53/2000 attribuisce il diritto al padre in alternativa alla
madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga, ed estende tale possibilità
anche al caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente.
I
nuovi diritti della madre e del padre
Astensione
facoltativa
Prima |
|
Oggi |
Madre
o, in caso di rinuncia, padre entrambi lavoratori dipendenti. |
Chi
ne fruisce |
Madre
o padre, anche se la madre non è dipendente. |
Sei
mesi entro il primo anno di vita del bambino. |
Periodi |
Dieci
mesi complessivi entro i primi otto anni di vita del bambino con un
massimo di sei mesi per genitore. Se il padre usufruisce di più di tre
mesi, la quantità totale è elevata a undici mesi. |
Indennità
economica pari al 30%. Periodo
utile per l’anzianità con esclusione di ferie e tredicesima. Copertura
previdenziale al 100%. |
Trattamento
economico normativo e previdenziale |
Indennità
economica pari al 30% per un periodo massimo di sei mesi tra padre e
madre, fino al compimento dei tre anni di età del bambino. Periodo
utile per l’anzianità con
esclusione delle ferie e della tredicesima. Dopo
i tre anni indennità solo per i redditi bassi. Copertura previdenziale al
100% per assenze fino al terzo anno, ridotta per quelli successivi. |
La
Legge n. 53/2000 prevede che entrambi i genitori
hanno diritto ad assentarsi, alternativamente, durante le malattie del
bambino di età inferiore a 8 anni. Se il bambino ha un’età compresa tra i 3
e gli 8 anni il limite è pari a 5
giorni all’anno per ciascun genitore. Tali permessi non sono retribuiti, ma
sono calcolati nell’anzianità di servizio, con esclusione della maturazione
delle ferie, della tredicesima. La copertura figurativa è prevista
integralmente fino al terzo anno di vita, in misura ridotta per le assenze
successive.
Inoltre,
in base all'art. 4 della Legge n. 53/2000, è prevista la possibilità di
richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, un periodo di congedo non
retribuito continuativo o frazionato non superiore a 2 anni.
E'
sempre possibile usufruire dei periodi di astensione facoltativa, anche per
esigenze legate alla salute del bambino.
I
nuovi diritti della madre e del padre
Malattia
del bambino
Prima |
|
Oggi |
Madre
o, in caso di rinuncia, padre entrambi lavoratori dipendenti. |
Chi
ne fruisce |
Madre
o padre, anche se la madre non è dipendente. |
Senza
limiti entro il terzo anno di vita del bambino. |
Periodi |
Senza
limiti entro il terzo anno di vita del bambino. Dal terzo all’ottavo
anno di età del bambino, nei limiti di cinque giorni lavorativi l’anno,
per ciascun genitore. |
Nessun
trattamento economico. Periodo utile per l’anzianità con esclusione
delle ferie e della tredicesima. Copertura
previdenziale al 100%. |
Trattamento
economico normativo e previdenziale |
Nessun
trattamento economico. Periodo utile per l’anzianità con esclusione
delle ferie e della tredicesima. Copertura previdenziale al 100% per
assenze fino al terzo anno, ridotta per quelli successivi. |
Agevolazioni ai genitori di figli portatori di handicap grave
La
madre, o in alternativa il padre, di un bambino, anche adottivo o affidato, portatore di un handicap grave, accertato dalle competenti
commissioni mediche presso le Asl, ha
diritto a un prolungamento dell’astensione facoltativa dal lavoro fino al
compimento del terzo anno di vita. In alternativa, ha diritto a riposi
giornalieri retribuiti (1 o 2 ore a seconda della durata dell’orario di
lavoro) fino al terzo anno di età del bambino e successivamente di 3 giorni al
mese di permesso retribuito.
Tra
le altre agevolazioni riconosciute al genitore - o altro familiare - che assiste
con continuità un parente o affine entro il terzo grado, portatore di handicap,
c’è anche il diritto a “scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più
vicina al proprio domicilio” e il divieto di essere trasferito senza consenso
ad altra sede.
La
Legge n. 53/2000 ha eliminato il requisito, prima indispensabile, della
convivenza tra il portatore di handicap e il familiare che lo assiste.
Figli
adottivi e in affidamento pre-adottivo
I
genitori adottivi e affidatari
godono degli stessi diritti di quelli naturali e cioè del diritto
a periodi continuativi o frazionati
di astensione facoltativa dal lavoro entro il limite di dieci mesi
complessivamente tra i due genitori e del diritto ai permessi per malattia del
bambino.
La
Legge n. 53/2000 prevede che, se al momento dell’adozione il minore ha
tra i 6 e i 12 anni, i periodi di astensione possono essere fruiti nei primi 3
anni dall’ingresso del minore nel
nucleo familiare.
Come
previsto dall'art. 13 della Legge n. 53/2000 tali diritti sono stati
estesi anche al lavoratore padre, in alternativa alla madre lavoratrice
dipendente, con pari modalità e
trattamento economico e normativo.
La
maternità in altre forme di lavoro
Per
le lavoratrici con contratto a tempo parziale, orizzontale, verticale o ciclico,
valgono tutte le disposizioni stabilite in tema di tutela della maternità. Solo
per quanto riguarda i riposi giornalieri durante il primo anno di età del
bambino, sono ridotti a 1 ora quando l’orario giornaliero è inferiore alle 6
ore.
Per
i rapporti di lavoro a part time verticale ciclico, dove per esempio la
prestazione è data per 6 mesi l’anno, la lavoratrice madre ha diritto
all’astensione obbligatoria, quando questa inizi durante la fase lavorativa o
entro 60 giorni dall’ultimo giorno lavorativo.
Vi
sono stati invece molti dubbi interpretativi circa il diritto al trattamento
economico, per il caso in cui l’astensione obbligatoria inizia dopo i 60
giorni dalla cessazione della fase lavorativa, diritto che già l’art. 17
della Legge 1204/71 negava.
Dopo
le sentenze della Corte Costituzionale del ‘91, che ne ha dichiarato
l’illegittimità, al momento la controversia sembra risolta dalla Corte di
cassazione che con la sentenza n. 7839 del 10 agosto 1998 ha affermato il
diritto, per la lavoratrice con contratto di part-time ciclico, all’indennità
di maternità per l’intero periodo di astensione obbligatoria, anche durante
le fasi non lavorative.
Contratto
di formazione lavoro
Il
contratto di formazione lavoro ha la finalità esplicita di “carattere
formativo” per il lavoratore. E' per tale ragione che è stata affermata la
neutralità del periodo di maternità (sentenza della Corte costituzionale n.
149/93).
L'insorgenza
quindi, di uno stato di gravidanza, durante questo tipo di contratto, deve
consentire la proroga dello stesso per
un periodo pari alla sospensione, per completare la formazione della
lavoratrice.
La
durata della proroga del contratto deve considerare sia il periodo di astensione
obbligatoria previsto per legge, sia l'eventuale astensione facoltativa
(ministero del Lavoro – Circolare n. 54/96).
La
lavoratrice madre con contratto di formazione lavoro gode delle stesse tutele
normative ed economiche della madre lavoratrice dipendente, a tempo
indeterminato.
La
maternità nelle Finanziarie 1999 e 2000
L'art.
49 della Legge n. 488/99, la Finanziaria 2000, prevede che le donne,
cittadine italiane, comunitarie o extracomunitarie, in possesso di carta di
soggiorno, impiegate in lavori
atipici, precari o che abbiano perso da poco il proprio lavoro ricevano un
assegno di lire 600.000 mensili per
5 mesi. La condizione è che abbiano almeno
3 mesi di contributi versati nel periodo che va
dai 18 ai 9 mesi precedenti il parto.
Quelle
che già fruiscono di un trattamento di maternità in misura inferiore a lire
600.000 mensili percepiranno
la differenza a titolo di integrazione.
Per
fruire di tali contributi occorre presentare domanda all’Inps entro 6 mesi
dalla nascita o dall’ingresso in famiglia del minore.
L'art.
66 della Legge n. 448/98, la Finanziaria 1999, aveva introdotto un assegno
di maternità per cinque mesi, anche per le donne non occupate e prive di
qualsiasi tutela previdenziale, di importo pari a lire 200.000 mensili.
Attualmente,
la legge prevede un assegno di lire 300.000 mensili per 5 mensilità per tutte
le donne, italiane, comunitarie e residenti con permesso di soggiorno, a
condizione che non percepiscano altri trattamenti di maternità e
il cui nucleo familiare di 3 persone abbia un reddito non superiore a 50
milioni.
Per
i nuclei familiari di diversa composizione, il requisito del reddito deve essere
riparametrato, in base all'art. 65 della Legge n. 448/98 (la Finanziaria
1999).
Le prestazioni vengono riconosciute anche in caso di adozione o affidamento e sono moltiplicate in caso di parto gemellare.
Ai nuclei familiari con almeno 3 figli minori e un reddito fino
a 36 milioni annui viene erogato un assegno di lire 200.000 mensili per tredici
mensilità. La Legge finanziaria 2000 ha aumentato le detrazioni per i figli e
gli altri familiari a carico da 336.000 lire a 408.000 lire e previsto
un’ulteriore detrazione per i figli di età inferiore a 3 anni, pari a 240.000
lire.