Sentenza
Corte Costituzionale n. 179 del 21 marzo 1993
Repubblica
Italiana
in
nome del popolo italiano
la
Corte costituzionale
sentenza
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977,
n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro),
promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1992 dalla Corte di cassazione sul
ricorso proposto da Longo Adriano contro la Spa Wabco Westinghouse Compagnia
Freni, iscritta al n. 683 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Udito
nella Camera di consiglio del 24 febbraio 1993 il giudice relatore Fernando
Santosuosso.
Considerato
in diritto
1.—
La questione sottoposta dalla Corte di cassazione all'esame del giudice delle
leggi - con ordinanza pervenuta a questa Corte
il 12 ottobre 1992 - concerne la legittimità costituzionale - con
riferimento agli articoli 3, 29, 30 e 31 della Costituzione - dell'art. 7 della
legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in
materia di lavoro), nella parte in cui non estende, in via generale e in ogni
ipotesi, al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice
consenziente, il diritto ai riposi giornalieri previsti dall'art. 10 della legge
30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), per l'assistenza al
figlio nel suo primo anno di vita.
La
rilevanza della questione risulta evidente e motivata dall'ordinanza di
rimessione, poiché l'oggetto della domanda della parte era appunto il pagamento
della retribuzione per le ore di riposo giornaliero usufruite - in alternativa
alla moglie, anch'essa lavoratrice subordinata e che vi aveva rinunziato - per
l'assistenza alla figlia non maggiore di un anno.
2.—
La questione è fondata.
La
giurisprudenza di questa Corte (più avanti citata) ha già avuto diverse
occasioni per sottolineare come la normativa degli anni '70 abbia dato sempre
maggiore realizzazione ai valori costituzionalmente garantiti della parità fra
uomini e donne, della funzione sociale della maternità, dell'inserimento della
donna nel lavoro, e quindi della necessità di interveti della società volti a
tutelare la maternità stessa.
È
stato anche rilevato che, assieme alla tutela della salute e della condizione
della madre, la nuova normativa ha preso anche in considerazione i superiori
interessi del bambino come oggetto di tutela diretta, quando non prevalente ed
esclusiva.
Per
quanto particolarmente riguarda la fase successiva al parto, il rapporto
madre-bambino, visto sotto il profilo dell'attiva e assidua partecipazione della
prima allo sviluppo fisico e psichico del figlio, è stato protetto attraverso
una serie di istituti:
a)
astensione obbligatoria della madre dal lavoro per i primi tre mesi
successivi al parto (art. 4 legge 30 dicembre 1971, n. 1204), col diritto a
percepire una indennità giornaliera pari all' 80% della retribuzione (art. 15
legge citata);
b)
diritto della lavoratrice di assentarsi per sei mesi, trascorso il
periodo di astensione obbligatoria ma entro il primo anno di vita del bambino,
con conservazione del posto di lavoro (art. 7, primo comma, legge citata); e
corresponsione di una indennità pari al 30% della retribuzione (art. 15,
secondo comma);
c)
diritto della lavoratrice di assentarsi, altresì, durante le malattie
del bambino di età inferiore a tre anni, dietro presentazione di certificato
medico (art. 7, secondo comma, legge citata);
d)
diritto della lavoratrice ad uscire dall'azienda per due periodi di
riposo, anche cumulabili durante la giornata, di un'ora ciascuno, durante il
primo anno di vita del bambino; periodi di riposo considerati come ore
lavorative anche agli effetti economici; ma ridotti ad uno solo quando l'orario
di lavoro è inferiore a sei ore (art. 10 legge citata);
e)
l'esercizio di questi diritti e delle modalità di lavoro riservati alle
lavoratrici madri, nonché l'organizzazione e il finanziamento degli asili-nido
sono ulteriormente disciplinati dal D.P.R. 25 novembre 1976, n. 1026 e dalla
legge 29 novembre 1977, n. 891.
3.—
Nell'ambito della coeva normativa (legge 9 dicembre 1977, n. 903) intesa a
realizzare la "parità di trattamento tra uomini e donne in materia di
lavoro", vengono riconosciuti al padre lavoratore, anche se adottivo o
affidatario, i diritti - sopra elencati sub b) e c) - di assentarsi dal lavoro e
il corrispondente trattamento economico (previsti dal primo e dal secondo comma
dell'art. 7 e dell'art. 15 della citata legge n. 1204 del 1971) "in
alternativa alla madre lavoratrice ovvero quando i figli sono affidati al solo
padre". L'esercizio di questi diritti è subordinato alla rinunzia
dell'altro genitore, con relativa dichiarazione del suo datore di lavoro.
Da
tale disposizione di legge traeva origine una più moderna evoluzione di questo
aspetto del diritto di famiglia, nel senso che, pur mantenendo la coscienza
della funzione sociale della maternità, si è andato sempre più valorizzando
il prevalente interesse del bambino e - superandosi una rigida concezione della
diversità dei ruoli dei due genitori e dell'assoluta priorità della madre - si
sono riconosciuti paritetici diritti-doveri di entrambi i coniugi e la reciproca
integrazione di essi alla cura dello sviluppo fisico e psichico del loro figlio.
La
svolta veniva avvertita e favorita da questa Corte con la sentenza 14 gennaio
1987, n. 1, 10 marzo 1988, n. 276, 11 marzo 1988, n. 332, 19 ottobre 1988, n.
972, 8 febbraio 1991, n. 61 e 15 luglio 1991 n. 341.
Queste
sentenze, infatti, oltre a riconfermare e potenziare i diritti della
madre-lavoratrice, elevano ancor più la posizione del bambino quale autonomo
titolare di interessi da salvaguardare nell'ambito della legislazione
protettiva, e sottolineano che il figlio va tutelato, "non solo per ciò
che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento
alle esigenze di carattere relazionale e affettivo che sono collegate allo
sviluppo della sua personalità". In questo contesto, "anche il padre
è idoneo - e quindi tenuto - a prestare assistenza materiale e supporto
affettivo al minore"; e lo stesso dicasi riguardo alla paternità e
maternità legali.
4.—
Nella delineata ottica della "nuova visione del ruolo dei genitori nella
vita familiare, e in particolare del modo in cui essi debbono con eguali diritti
e doveri concorrere all'assistenza alla prole", la citata sentenza n. 1 del
1987 di questa Corte ha esteso il principio previsto
dall'art. 7 della legge 903 del 1977 sulla parità di trattamento fra
uomini e donne anche ai riposi giornalieri retribuiti, ritenendo che tale
diritto va riconosciuto al padre lavoratore, ove l'assistenza della madre al
minore sia divenuta impossibile per decesso o grave infermità.
In
quella occasione la Corte non poté prendere in considerazione - in aggiunta ai
casi predetti - impedimenti dovuti ad altre cause, in quanto "non meglio
definite ed emerse in via di mera ipotesi nei giudizi principali". Nella
presente occasione, invece, a distanza di oltre cinque anni, la questione viene
dalla Corte di cassazione prospettata in questa sede in termini più generali in
relazione ai cosiddetti "permessi di paternità", ritenendosi
"irrazionale che non sia assicurata al bambino la presenza nel primo anno
di vita, durante i riposi giornalieri, anche del padre, in sostanza - con
l'assenso della madre - di quello dei genitori che a loro giudizio sia meglio in
grado di via via di assisterlo, per un'atmosfera il più possibile di serenità".
Ciò - soggiunge l'ordinanza - "potrebbe garantire meglio l'interesse
superiore del bambino, ora anche riconosciuto nella Convenzione internazionale
sui diritti dell'infanzia 20 novembre 1989 dell'Onu, ratificata in Italia con la
legge 27 maggio 1991, n. 176".
Ma soprattutto, l'ulteriore passo verso questo riconoscimento dei
diritti-doveri del padre e della migliore tutela del bambino renderebbe la norma
denunziata conforme ai principi contenuti negli artt. 3, 29, 30, 31 e 37 della
Costituzione.
5.—
La questione trova, invero, la sua soluzione nel giusto equilibrio fra i diversi
principi costituzionali - contenuti nelle ora citate norme di riferimento - e
cioè della tutela della maternità, dell'autonomo interesse del minore, della
parità di diritti doveri dei coniugi, nonché della parità degli uomini e
delle donne in materia di lavoro, tenendosi altresì conto della moderna
evoluzione della legislazione e della giurisprudenza in tema di rapporti sociali
nell'ambito della famiglia.
In
effetti, la natura e la finalità dell'istituto dei riposi giornalieri, previsti
dall'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, per le lavoratrici madri,
nonostante il testuale riferimento al "riposo della madre", non
corrispondono più soltanto all'allattamento del neonato e ad altre sue esigenze
biologiche, come si è sopra esposto, ma a qualsiasi forma di assistenza del
bambino. Secondo l'id quod plerumque accidit può presumersi che nel
primo anno di vita l'interesse del figlio esiga maggiormente il rapporto fisico
e psicologico con la madre. Ma già la originaria formulazione dell'art. 7 della
legge 9 dicembre 1977, n. 903, riconoscendo al padre lavoratore, in alternativa
alla madre (sia pure a seguito di rinunzia della stessa), il diritto di
assentarsi per sei mesi dal lavoro per assistere il figlio nel primo anno di
vita e durante le malattie
del bambino di età inferiore a tre anni, ha ribadito non solo il
diritto-dovere di entrambi i genitori ad assistere il figlio pur se in tenera età,
ma soprattutto il superamento della concezione di una rigida distinzione dei
ruoli e che un equilibrato sviluppo della personalità del bambino esige spesso
la assistenza da parte di entrambe le figure genitoriali anche per aspetti di
carattere affettivo e relazionale. Il che è stato confermato dai citati
precedenti giurisprudenziali di questa Corte, che hanno esteso ad latre ipotesi
gli stessi criteri.
In
coerenza con la ratio di questa evoluzione normativa e giurisprudenziale, e in
conformità dei princìpi costituzionali sopraccennati, può, pertanto,
ritenersi che l'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, sulla parità di
trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro va inteso nel senso che
anche al lavoratore padre spetta, in alternativa alla madre lavoratrice e col
suo consenso, il diritto ai periodi di riposo giornaliero alle condizioni
previste dall'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, per assistere il
figlio nel suo primo anno di vita.
La
delicata scelta di quel genitore che, assentandosi dal lavoro per assistere il
bambino, possa meglio provvedere a tali esigenze, non può che restare affidata
all'accordo degli stessi coniugi, in spirito di leale collaborazione e
nell'esclusivo interesse del loro figlio (artt. 143 e 144 del codice civile).
6.—
Nel ritenere opportuno, a questo punto, fare qualche precisazione relativamente
all'esercizio dei predetti diritti riconosciuti dalla presente pronuncia, la
Corte rileva anzitutto che anche per i periodi di riposo previsti dall'art. 10
della legge n. 1204 del 1971 valgono alcuni criteri stabiliti dall'art. 7 della
legge sulla parità (n. 903 del 1977), nel senso che il diritto del padre
lavoratore viene riconosciuto sempre che anche la madre sia lavoratrice, e
previa presentazione al proprio datore di lavoro sia della dichiarazione di
assenso della madre, sia della dichiarazione del datore di lavoro dell'altro
genitore, da cui risulti la comunicazione della rinunzia della madre.
Inoltre,
il diritto ai riposi giornalieri retribuiti non può esercitarsi durante i
periodi in cui il padre lavoratore o la madre lavoratrice godano già dei
periodi di astensione obbligatoria (art. 4 della legge 1204 del 1971), o di
assenza facoltativa (art. 7 stessa legge), o quando, per altre cause, l'obbligo
della prestazione lavorativa sia interamente sospeso. Poiché, infine, il
rapporto di lavoro deve svolgersi col rispetto da entrambe le parti dei princìpi
di correttezza e buona fede, anche con riguardo ai riposi giornalieri, mentre il
datore di lavoro deve considerare la prevalente rilevanza del dovere di
assistenza ai figli dei lavoratori, pure questi ultimi devono esercitare il loro
diritto compatibilmente con le specifiche esigenze dell'organizzazione
aziendale, anche preavvertendo il datore di lavoro, specie nel caso di
successive modifiche della scelta del genitore designato alla predetta
assistenza.
Per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903
(Parità di trattamento tra uomini e donne in materiali lavoro), nella paret in
cui non estende, in via generale e in ogni ipotesi, al padre lavoratore, in
alternativa alla madre lavoratrice consenziente, il diritto ai riposi
giornalieri previsti dall'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela
delle lavoratrici madri), per l'assistenza al figlio nel suo primo anno di vita.