resoconti dai cortei: Tiburtina | Esedra | Ostiense

interventi dal palco: G. Strada | G. Rinaldini | G. Epifani | Delegati

la Cassa di resistenza in piazza San Giovanni.

interventi musicali: 

- Quartetto urbano, accompagnato alla chitarra da Gabriele Modigliani.

- Giovanna Marini

interviste: 

- Cristian e Claudio di Fincantieri di Riva Trigoso

- Corrado della Getrag di Bari

- Giuseppe e Antonio della Bosch di Bari

- Michele della Acciai speciali Terni

- Marco della Bonetti di Garbagnate milanese

- Lucio della Carlo Raimondi di Legnano (Mi)

- Alessio della Alcoa di Venezia

- Domenico Avio di Pomigliano d'Arco


 

Intervento dal palco di piazza S. Giovanni di Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil

Care compagne e compagni, molti in questi giorni hanno chiesto perché il segretario generale della Cgil dovesse partecipare e parlare alla manifestazione della Fiom. Doveva farlo per una ragione semplice, che vale per me, come sarebbe valsa per chiunque, perché dove ci sono i lavoratori e dove c'è la Fiom c'è, naturalmente, la Cgil.

Chi ha posto questa domanda e chi oggi non ha avuto il buon gusto di tacere dovrebbe provare a domandarsi un'altra cosa: perché centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori, giovani e meno giovani, da mesi stanno scioperando, perdendo in alcune situazioni più di 90 ore di lavoro? Per quale obiettivo si stanno mobilitando? Perché una lotta così lunga? Perché non ci sì è fermati, come Federmeccanica credeva, con la firma dell'accordo separato? Se ci si pone questa domanda, si dovrebbe innanzitutto convenire che, se tanti lavoratori si mobilitano sarà pure in ragione di un motivo, se ancora questa mattina, le percentuali di adesione allo sciopero sono quelle che sono state qui dette, allora la domanda diventa ancora più pressante, la verità è che c'è un disagio crescente, c'è una situazione di difficoltà sociale; i lavoratori metalmeccanici non trovano una risposta a questa loro condizione nel contratto che è stato firmato ed è a questo problema che tutti debbono attenzione e risposta.

C'è naturalmente una condizione che accomuna i lavoratori metalmeccanici ai lavoratori di tanti settori industriali ed è la crisi che da 32 mesi tocca il paese, un paese che non cresce, che si è fermato, un paese che non riesce a darsi una politica industriale degna di questo nome e allora non ci dobbiamo stupire se, settore dopo settore, azienda dopo azienda, ogni giorno si contano i casi di crisi, di cassa integrazione, di mobilità, di esternalizzazione delle produzioni, di delocalizzazione all'estero delle produzioni.

Questo è un problema che esige una risposta: non si può abbandonare l'industria italiana, quella di qualità e quella manifatturiera. Non c'è futuro per il paese al di fuori e contro un insediamento industriale che riguardi tutte le parti del paese.

 

Poi c'è una seconda motivazione di difficoltà, anche questa legata a tutti i settori e tutti lavoratori ed è la precarietà, l'incertezza, un futuro sempre più difficile da decifrare, è quella precarietà che parla di tante e tanti giovani, che non riescono ad avere un contratto a tempo indeterminato, è la precarietà di tutti quei giovani che sono costretti, umiliazione dopo umiliazione, a stabilire un rapporto tra loro stessi, la loro professionalità, le loro esigenze e il mondo del lavoro. In una crisi che non si riesce a fermare questa precarietà diventa sempre più difficile da spiegare e da sostenere.

Infine c'è un problema che parla dei redditi dei lavoratori, ormai lo riconoscono tutti e tutti ne scrivono: in questi anni i lavoratori dipendenti e, aggiungo, i pensionati, hanno visto diminuire il loro potere d'acquisto in maniera significativa e in maniera più forte in relazione al reddito raggiunto. Ci voleva molto, caro ministro dell'Economia, ad accorgersi che i lavoratori e le famiglie dei pensionati non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese, ma non si vedono i negozi chiusi, le persone che non entrano o come le persone fanno la spesa ai supermercati, selezionando prodotto dopo prodotto quello che ogni mese costa meno, perché non ci si può permettere quello che si poteva comprare sino al mese precedente? Ecco perché il contratto firmato dagli altri non risponde a questi bisogni e a queste difficoltà.

Vorrei, anche sulla base di quello che vedo, che questa manifestazione fosse non contro gli altri, ed è per affermare i diritti e il riconoscimento di questa condizione, che mi permetto di dire a Cisl e Uil, in assoluta umiltà e senza la minima volontà di prevaricazione: «Questo disagio, queste preoccupazioni, queste difficoltà, che la Fiom cerca di intercettare e rappresentare, perché non riusciamo a vederle tutti allo stesso modo? Perché non ci mettiamo assieme a riflettere e allora si capirà che la discussione non è più soltanto "Contratto separato: sì o no", ma "come provare a dare una risposta a tutti i lavoratori metalmeccanici", a quelli che sono qui, ma anche a quelli, che pur non avendo scioperato, penso siano d'accordo con le motivazioni e le ragioni che questa piazza oggi esprime. Proviamo a farla questa riflessione, perché magari potremmo accorgerci, se non oggi un domani che io spero vicino, che anche su questo si può provare a ritessere le fila di un rapporto unitario, che la storia della Fiom include come questione fondamentale e che dà forza ai diritti del mondo del lavoro».

C'è una seconda questione di disagio ed è quella relativa alla democrazia, di cui ha già parlato Gianni Rinaldini. Io penso che se tu, nel firmare un contratto, escludi la forza più rappresentativa – o anche se lo fai contro una forza meno rappresentativa –, escludi i lavoratori iscritti a quell'organizzazione dal diritto di vedere riconosciuto il loro peso, la loro coscienza e la loro determinazione, la tua sarà un'azione non contro la Fiom, ma contro i lavoratori che essa rappresenta, fai un accordo con una parte contro l'altra parte. Per questo sono necessarie delle regole democratiche, affinché questo non avvenga più, perché sia ristabilito il principio secondo il quale, quando non si è d'accordo – e può capitare agli altri verso di noi e a noi verso le altre organizzazioni – ci sia uno strumento che alla fine risolva il dissenso. Noi pensiamo che questo strumento sia il voto democratico dei lavoratori e pensiamo sia il principio cardine di ogni democrazia, il principio di maggioranza. Se altri possono avanzare altre proposte, lo facciano, le esamineremo, le valuteremo con spirito costruttivo, ma non si dica, per favore, che il problema non esiste, perché se il problema non esistesse, non ci sarebbe questa piazza, non ci sarebbe questo sciopero o non ci sarebbe questa vicenda collettiva che sta attraversando il paese.

Voglio chiedere alle imprese, a Federmeccanica innanzitutto, che cosa pensa che questa vicenda possa insegnarle. Noi abbiamo visto in questi giorni un crescendo di polemiche verso la Fiom e la lotta dei lavoratori. Prima erano proteste molto sfumate, poi man mano che i precontratti si allargavano queste proteste sono diventate molto forti, ma anche qui mi permetto una domanda: caro presidente di Federmeccanica, che cosa credeva? Che cosa pensava potesse succedere, dopo una firma che escludeva la Fiom da un contratto nazionale? Come si poteva pensare che la Fiom, i lavoratori interessati, che condividevano quella impostazione, sarebbero stati in silenzio a subire? Come non prevedere quello che poi sarebbe successo? Lo dico alle tante imprese del settore meccanico che oggi fanno i conti sicuramente con una situazione difficile e che dopo aver recepito un contratto si trovano la lotta, il conflitto, dentro le mura dei propri stabilimenti. Per cortesia, care imprese, non rivolgete le vostre proteste alla Fiom o alla Cgil. Provate a cambiare indirizzo, rivolgetevi alla Federmeccanica e a Confindustria.

Noi lo vediamo che anche nel mondo dell'impresa questa vicenda sta articolando le posizioni e più di uno, come è capitato ultimamente al presidente degli industriali dell'Emilia-Romagna, si interroga sul perché questo è avvenuto e su quali conseguenze questa situazione può avere. Se tutto quello che state facendo, se il sacrificio di molti dovesse servire se non altro a questo, ad avere nel futuro una situazione in cui quello che è capitato non si ripeta, allora questa lotta resterà nella storia secolare del movimento sindacale italiano come una pagina importante per la democrazia e per il ruolo del sindacalismo confederale, intendo il ruolo unitario, di tutto il sindacato confederale italiano.

Voglio ribadire qui, infine, anche per l'impegno profuso nello sciopero generale unitario dei giorni scorsi, il perché dobbiamo stare in campo per contrastare la politica economica del governo e l'intervento sulle pensioni. Ho detto prima della crisi che attraversa i vostri settori, che rende la flessibilità sempre più uguale a precarietà nel Mezzogiorno, in molte aree che si dicevano un tempo industrializzate, a partire da Torino, Milano, Genova, ho parlato dei problemi che attraversa la grande impresa, la media e la piccola. Ci saremmo aspettati dal governo, anche da questo governo, del quale non condividiamo programmi, strategie e valori, che affrontasse, con la serietà necessaria, la possibilità di avere anche in Italia la politica industriale degna di questo nome. Per anni ci hanno detto che il problema era la flessibilità e adesso ce l'hanno, per anni ci hanno detto che il problema era il costo del lavoro e adesso sappiamo che non è più così; perché allora siamo scesi al 41° posto nelle classifiche di competitività, se c'è tutta la flessibilità che avevano chiesto e c'è il costo del lavoro più basso degli altri paesi europei? Perché non si dà la risposta giusta alla crisi di competitività del sistema produttivo italiano? Perché non si fa quello che altri fanno? Perché non si punta, non si lavora, non si investe per rendere il nostro sistema produttivo più capace di rispondere alla competizione internazionale? Perché non si fa ricerca, innovazione tecnologica, trasferimento tecnologico? Perché non si investe nei nuovi settori? Perché non si valorizza il patrimonio professionale e imprenditoriale che il nostro paese fortunatamente continua a mantenere? Noi abbiamo una legge finanziaria che non destina un euro alla ricerca, che non ha nessuna idea di politica industriale, che si affida allo stellone di una ripresa che quando verrà, se verrà, sarà colta dagli altri paesi e non dal nostro.

Lo diciamo con tutta la forza di cui siamo capaci, qui si gioca la battaglia per il futuro del paese, per il futuro del lavoro, per il futuro dell'impresa italiana. È una battaglia che gli imprenditori devono avvertire come propria e mettere sul campo una volontà di rischiare, di guardare al nuovo, non possono ancora una volta dire a noi che siamo conservatori, per poi scoprire che i veri conservatori sono loro, che non rischiano, non investono, non intraprendono quelle azioni, senza le quali il futuro produttivo diventa difficile. Che cosa dire dell'intervento sulle pensioni?

Ho parlato ieri in commissione Lavoro al Senato, guardando il primo articolo della delega sulla previdenza – quello che certificherebbe il diritto dei lavoratori in maniera previdenziale – della stranezza di un governo che scrive questo sulla delega previdenziale e, per quanto riguarda l'esposizione all'amianto e i diritti previdenziali di quei lavoratori, fa esattamente il contrario, perché quei diritti sono stati cancellati. Cosa dire del fatto che questa controriforma cancella quello che avevamo voluto con la riforma Dini, cancella il rispetto verso la condizione di chi è entrato al lavoro giovanissimo e svolge lavori faticosi, pesanti, usuranti. Come si può immaginare di innalzare a 40 anni l'età di pensionamento nel momento in cui le imprese italiane, quando hai 50 anni ti considerano un peso, una persona non utile e ti mettono fuori dall'azienda? Si risponda anche qui, non a una posizione astratta, ma a un problema concreto che segna la vita di migliaia e migliaia di lavoratori, giovani e cinquantenni, che attorno a questi problemi non trovano una soluzione.

Cosa dire infine del fatto che in questo modo si dividono ancora le generazioni, si riduce il peso della previdenza pubblica, non si dà un futuro alle attese previdenziali di molti. Fatemi infine concludere su un tema che in questi giorni è ritornato purtroppo sulle prime pagine dei giornali ed è al centro di molte polemiche. In questi attacchi che noi abbiamo subìto; abbiamo letto e ascoltato di tutto. La cosa che proprio non ci va giù in nessun modo, è quando si prova ad accostare una lotta, fatta alla luce del sole, con il sacrificio personale di molti, per un obiettivo, indirettamente al rigurgito del fenomeno terrorista. Io provo un sentimento vero, se posso dirlo, di vergogna per coloro che questo accostamento l'hanno prima pensato e poi dichiarato. Noi non dobbiamo spiegare e dire nulla, lo dicono le nostre facce, la chiarezza nel rapporto tra quello che diciamo e quello che facciamo, la lotta che abbiamo messo in decenni contro il terrorismo, il sacrificio di un operaio metalmeccanico, come Guido Rossa. Lo dice soprattutto il sentimento profondo che avvertiamo dentro, che il primo nemico del terrorismo resta il sindacato e restano i lavoratori, ed è per questo che anche con questa manifestazione, noi che difendiamo un'idea alta dei diritti delle persone, di ogni persona e che in nome di questo stiamo conducendo sul piano generale la battaglia che stiamo facendo e sul piano della categoria la battaglia che state facendo, noi siamo una forza determinante e decisiva. Con noi il terrorismo non passa, con noi il terrorismo non ha vinto e non vincerà ed è assieme a noi che tutti quelli che condividono questo possono, se vogliono, ritrovare la via maestra per dare al sindacato, al suo ruolo, al suo radicamento, alla sua prospettiva e alla sua unità il sostegno determinante che si deve a una grande forza democratica e di cambiamento.