16 novembre 2001: la Fiom da sola.
250.000 in piazza, per il contratto, per la democrazia

Questa manifestazione, a differenza delle altre fin qui «raccontate», non precede la firma di un contratto ma avviene dopo l’intesa separata sottoscritta dalla Federmeccanica e da Fim e Uilm il 3 luglio 2001.  

La Fiom non firmò quell’accordo frutto di una proposta di Fim e Uilm «costruita sulla base delle pregiudiziali imposte dalla Federmeccanica di 18.000 lire di anticipo sull’inflazione del 2001, da recuperare nel 2003».

A quell’accordo «con il trucco» seguì subito, il 6 luglio, uno sciopero di 8 ore già programmato prima del 3 luglio, con manifestazioni territoriali. Fim e Uilm non sottoposero al voto dei lavoratori l’intesa raggiunta, come fino ad allora era sempre stato fatto. Evidentemente per loro non era logico chiedere il parere di tutti i lavoratori in caso di discordanza fra i sindacati. La Fiom raccolse, fra le lavoratrici e i lavoratori metalmeccanici, 351.145 firme contro l’accordo separato e per la democrazia nei luoghi di lavoro che consegnò al ministro del Lavoro il 14 novembre. E due giorni dopo i metalmeccanici scesero in piazza.  

«La manifestazione più grande di tutti i tempi, lo sciopero un vero exploit con il 75% di media nazionale, una nuova pagina di storia del sindacato e della democrazia ricca di novità, non ultima la ritrovata unità della sinistra: le tute blu della Cgil hanno cambiato la politica. Hanno ricompattato le divisioni che, con l’accordo separato, come un malefico contagio dai sindacati si erano riversate detro la sinistra, i cui dirigenti ieri hanno marciato con obiettivi simili e talvolta in piena sintonia, come nella difesa della democrazia e dello Statuto dei lavoratori, beni supremi: Ds, Prc, Comunisti italiani, Verdi, i no global di Luca Casarini e il Social Forum, di Vittorio Agnoletto. (…)» (tratto dall’articolo Il giorno della manifestazione più grande di Giovanni Laccabò, «l'Unità», 17 novembre 2001)

«(…) La Fiom va “avanti tutta”, come è scritto sulle migliaia di adesivi distribuiti lungo il percorso dei tre cortei che ieri hanno invaso la capitale. Va avanti con un motivo in più: alla vertenza contrattuale vera e propria  si aggiunge l’attacco allo Statuto dei lavoratori. E Claudio Sabattini, segretario generale della Fiom, non usa troppi giri di parole per chiedere lo sciopero generale. A chi lo accusa di fare uno sciopero politico risponde con altrettanta franchezza: “Sì, è vero. E cos’altro fare?” (…)» (tratto dall’articolo Così parte la riscossa di Fabio Sebastiani, «Liberazione», 17 novembre 2001)

«(…) Passa in rassegna, il segretario della Fiom, tutti gli atti del governo, fino alla guerra – cui il suo sindacato si oppone con nettezza – e poi si concentra sul contratto, sulla lesione dell’accordo separato che Fim e Uilm hanno firmato con i padroni e poi rifiutato di sottoporre al voto in fabbrica: “Le 350mila firme che abbiamo raccolto dimostrano che il contratto è stato fatto senza il consenso della maggioranza dei lavoratori. Abbiamo chiesto il referendum ma Fim e Uilm l’hanno rifiutato: questo è l’attacco più grave portato all’unità sindacale. Noi, andremo fino in fondo per riaprire il tavolo del contratto”. Con la Fim che ha definito “pericoloso” questo sciopero, e con la Uilm, Sabattini chiude ribattendo “pericoloso lo è, ma per i padroni, e loro non si fermeranno”. (…) Cofferati sottolinea ai lavoratori in piazza che questo sciopero della Fiom, questa manifestazione è “il primo banco di prova”, e “ringrazia” i metalmeccanici per questo promettendo che in piazza “ci rivedremo presto”.» (tratto dall’articolo «E adesso, sciopero generale» di Carla Casalini, «il manifesto», 17 novembre 2001)

«(…) Noi pensiamo che la democrazia sia il bene più importante che hanno i lavoratori e le lavoratrici, l’unico modo per contare, l’unico modo per essere protagonisti. E allora, se questo è l’unico modo, ciascuno deve pensare a sé, ai propri interessi, ma deve pensare al compagno che sta vicino a lui, deve pensare alla ragazza che lavora nei call center, deve pensare agli immigrati, che vengono qua e vengono rispediti a casa. Se, cioè, ognuno di voi, ognuno di noi, nel momento in cui pensa a se stesso pensa a tutti, vuol dire che noi diventiamo insostituibili nella democrazia»

«(...)  e questa manifestazione vuol dire democrazia e libertà, vuol dire diritti per tutti, vuol dire superare ogni forma di precariato, vuol dire, cioè, aprire una strada nuova e diversa – come dicono alcuni dei nostri amici – verso un mondo migliore».

«Qualcuno chiede qual è la prospettiva. Qualcuno chiede dove andranno i metalmeccanici dopo questa stupenda manifestazione. Noi lo sappiamo dove andiamo. Noi sappiamo che questa battaglia non è una battaglia contingente, non è una battaglia che si realizza in una giornata – sia pure grande e meravigliosa come questa –, non è una battaglia che si raggiunge in pochi giorni. Abbiamo di fronte a noi una posizione della Confindustria e del governo che dice: “gli unici lavoratori sono quelli che non debbono avere alcun diritto”, perché solo i lavoratori senza diritto piacciono ai padroni. Ma noi lo diciamo da qua, con cautela, ma con fermezza. Questi padroni forse non hanno capito una cosa essenziale. Non hanno capito cioè che la nostra forza non deriva, come la loro, dai soldi e dalla finanza, i lavoratori e le lavoratrici combattono perché credono in quello che fanno. I dirigenti fanno i manager esclusivamente per soldi, per denaro. Noi non siamo come loro: siamo al loro opposto e questa è la ragione per cui non possiamo che vincere questa battaglia.»

«A chi pensa, anche tra di noi, che in fondo questa è una fase transitoria e che dopo la nottata tutto ritornerà come prima, noi diciamo, con assoluta fermezza, che i padroni non hanno intenzione di fermarsi e che le grandi trasformazioni, guidate dal capitalismo americano, in Italia, in Europa e nel mondo, non si fermeranno. Ma a tutti questi noi rispondiamo: siamo tornati in piazza e ci rimarremo fino alla fine.» (Claudio Sabattini, segretario generale Fiom, dal palco di piazza S. Giovanni).