16 novembre 2001:
la Fiom da sola.
250.000 in piazza, per il contratto, per la democrazia

Il discorso di Sergio Cofferati

"Sono qui a confermare che la Cgil, la Fiom e tutte le altre nostre strutture confederali hanno esigenza di manifestare insieme per obiettivi alti, di interesse generale, che riguardano noi, certo, le nostre condizioni di vita e di lavoro, ma che riguardano l'insieme del Paese.
Voi siete qui a difendere un'idea di contratto nazionale ed a chiedere che la democrazia nei rapporti tra sindacato e lavoratori venga considerata da tutti non come una condizione marginale, ma come un elemento fondamentale dell'idea di rappresentanza.
Il vostro scontro con Federmeccanica, difficile, duro, ancora non risolto, che la Confederazione ha accompagnato per scelta convinta, ha l'obiettivo esplicito di far rispettare l'idea del contratto. Che Federmeccanica non abbia mai digerito l'idea di un assetto contrattuale, che prevede un impegno nazionale ed una contrattazione nei luoghi di lavoro, è cosa nota. Furono tra le organizzazioni di categoria che, all'interno della loro confederazione, si opposero nel '93 alla fissazione di due livelli distinti di contrattazione. Con una coerenza, degna di miglior causa, hanno continuato ad insistere nel corso di questi anni. Non hanno cambiato idea, ed hanno anzi cercato in tutte le circostanze di rimettere in discussione quell'assetto che altri avevano condiviso e che loro, paradossalmente, continuavano ad utilizzare.
Vogliono eliminare uno dei due livelli contrattuali. L'obiettivo è chiaro: ridimensionare gli spazi e, dunque, la funzione vitale del sindacalismo confederale italiano. Spingono Confindustria perché si faccia portatrice di quest'idea ed hanno da qualche settimana trovato un prezioso alleato: il governo di centro-destra.
Un governo che si adegua alle richieste di Confindustria e che sceglie non sulla base di interessi generali, quegli stessi che un governo dovrebbe rappresentare, ma, di volta in volta, anche tatticamente, sceglie a quali richieste dare risposta. Ed i suoi interlocutori privilegiati sono quelli che li hanno legittimati nel corso della campagna elettorale. Sono gli imprenditori privati organizzati in Confindustria.
Oggi, siamo di fronte a fatti concreti che dimostrano quanto fosse studiato quel balletto mediatico che si consumò all'Assemblea di Parma quando l'allora candidato premier per lo schieramento di centro-destra ed il Presidente di Confindustria si alternarono a quei microfoni, ripresi dalle televisioni italiane, scambiandosi complimenti su chi aveva copiato il programma dell'altro. Dicemmo che c'era collateralismo, dicemmo che c'era un rapporto nuovo sbagliato e pericoloso. Venimmo accusati di essere quelli che vedono con sospetto i rapporti fra la politica e gli interessi delle imprese. I fatti ci stanno, però, dando ragione.
Il vostro contratto è diventato, non a caso, una sorta di banco di prova, dove hanno tentato di consumare un accordo separato che escludesse la Fiom e di offrirlo come modello dei rapporti tra le parti sociali.
Non è il sospetto del segretario della Cgil o di un sindacalista che teme sempre che il suo interlocutore voglia cose diverse da quelle che sostiene pubblicamente. No. E' un fatto certo, ed è scritto nel Libro Bianco. Chi l'abbia letto sa che nella premessa firmata dal ministro del Welfare si indica quanto accadde nel 1984 come modello di relazioni per il futuro. Proprio quello che fu uno dei momenti più drammatici di divisione e di rottura nel sindacato. Un interlocutore, quando negozia, dovrebbe auspicarsi il massimo dell'unità e di consenso nell'accordo che vuole realizzare, perché è da questo che viene l'efficacia di una politica, di una scelta. Questo governo ha un'opinione rovesciata. Prefigura la divisione del sindacato, agisce per dividere il sindacato.
E che vogliano cambiare gli assetti contrattuali e modificare le funzioni dei livelli negoziali non lo dice soltanto quella soluzione che la Fiom, opportunamente, non ha firmato nel rapporto con Federmecanica, ma anche ciò che si sta cercando di fare nel pubblico impiego, dove il governo è il datore di lavoro, e nei servizi.
Nella legge Finanziaria mancano le risorse per rinnovare i contratti di 4 milioni di dipendenti pubblici: ma questo non è l'atteggiamento di un governo sparagnino che vuole risparmiare qualche soldo e non è neppure un atteggiamento tattico. No. E' la parte integrale di un modello che vuole ridurre sistematicamente e rapidamente le funzioni del contratto nazionale, fino a farlo diventare una sorta di strumento inutile per milioni di persone.
Noi abbiamo un'opinione diversa perché il contratto nazionale è lo strumento che ci permette di esercitare la solidarietà. Pensiamo a quanti lavoratori collocati in piccole imprese, nel tessuto diffuso della nostra industria, non avrebbero un miglioramento delle loro condizioni se non ci fosse il contratto nazionale. Per noi esso è sempre stato anche lo strumento per una distribuzione uniforme della ricchezza, in modo tale che le differenze possano trovare riconoscimento nella contrattazione in azienda.
L'esercizio solidale dell'attività contrattuale dà a tutti una possibilità ed una risposta. Sappiamo poi che nel contratto nazionale c'è una parte della nostra rappresentanza.
Gli imprenditori italiani, così come il governo di centro-destra. lavorano perché ci sia una frammentazione nella rappresentanza sindacale. Sono disposti ad accettare l'esistenza dei sindacati, ma preferiscono avere dei sindacati corporativi, qualche volta docili, qualche volta rissosi, ma incapaci di prospettare una visione d'insieme e, dunque, di rappresentare gli interessi generali.
Per questo hanno scatenato una campagna di disinformazione, di ostilità verso le ragioni per le quali non avete accettato quell'accordo, cercando di accreditare l'idea meschina che fossero le 18 mila lire, collocate in un tempo lontano. No, la ragione, come ben sapete, è un'altra: è la risposta concreta che un'organizzazione come la Fiom, con il sostegno della Cgil, dà un'idea di disarticolazione della rappresentanza sindacale; è il modo concreto col quale ci battiamo insieme contro l'idea mistificatoria della libertà che, oramai, fa parte della sottocultura che il centro-destra offre ai cittadini italiani.
Il Libro Bianco è il riassunto di questa loro idea: si sostiene che le persone senza contratti collettivi, senza rappresentanza, siano più libere e, dunque, si ipotizza la modifica sistematica di tutto ciò che nelle leggi e nei contratti dà una dimensione d'insieme. Un modo per garantire unilateralità alle imprese, negare i diritti fondamentali delle persone, e producendo non flessibilità, ma precarietà, come i più giovani tra voi già hanno imparato. Giovani che non hanno mai avuto il mito del posto fisso, ma che hanno solo l'esigenza concreta di un lavoro e di un rapporto di lavoro che rispetta i loro diritti.
In quel modo agiscono per mettere a repentaglio ed in pericolo molte delle nostre conquiste. Vogliono smantellare l'idea della rappresentanza collettiva, vogliono ridurre i vincoli legislativi che danno sicurezza sul piano della prospettiva, che garantiscono diritti uniformi. Dicono di essere europei ma agiscono per far saltare il fondamento della Carta dei Diritti che l'Europa si è data.
E' questa l'"offerta" che il governo fa a Confindustria: un'associazione incapace di promuovere innovazione nelle sue imprese, di accettare la sfida delle nuove tecnologie e di competere in ragione della qualità dei prodotti. Un'organizzazione che sceglie la strada della via 'bassa' alla competizione, quella che è fatta solo di diminuzione di costi.
Ognuno sa quanto siano importanti i costi di produzione, e come, dunque, sia utile mantenere un'azienda competitiva, anche mediante un controllo delle dinamiche di costi, ma sa anche benissimo come la ricerca di quell'equilibrio, quando mette in discussione le tutele e dei diritti individuali e collettivi, produce rotture, fa saltare la solidarietà ed espone ciascuno al rischio di essere prigioniero e subalterno del più forte, dell'impresa.
Altro che libertà! Ma conoscete voi una persona che da sola è veramente libera nel rapporto con un'impresa, con un padrone, se non ha alle sue spalle un'organizzazione alla quale ha deciso di aderire, alla quale ha chiesto di essere tutelata?
Il governo si muove così, e la Finanziaria che ha presentato in Parlamento è fondata su previsioni assolutamente prive di consistenza. E' una scelta tattica; hanno descritto l'economia italiana per quella che non era, ed oggi, di fronte alle difficoltà che il quadro internazionale ha ulteriormente accentuato, vogliono recuperare margini e spazi sulla pelle delle persone che lavorano, mettendo in discussione tutto, quelle previsioni sbagliate e quell'idea di crescita che non ci sarà. E lo dico con rammarico perché un sindacalista non può mai essere soddisfatto se il suo interlocutore sbaglia le previsioni, se l'economia cresce meno del necessario. Una crescita consistente sarebbe per noi utile: avremmo le condizione per negoziare, per confliggere, se necessario, ma per imporre una redistribuzione in grado di dare una risposta positiva alle donne ed agli uomini che rappresentiamo.
Purtroppo non sarà così; la loro demagogia porta ad una Finanziaria inefficace e basata su presupposti infondati. L'inefficacia di quelle politiche comincia ad apparire chiara anche a chi aveva avallato, e addirittura legittimato, le scelte di questo governo. Sono arrivate parole critiche dal Governatore della Banca d'Italia, che ha impiegato un po’ a rendersi conto che quella cambiale firmata alle associazioni imprenditoriali ed al governo non aveva fondamento; ora cerca di correre ai ripari ed è un'opinione importante.
Ma che la legge Tremonti sugli sgravi finanziari e fiscali per le imprese non avrebbe dato il vantaggio previsto noi lo avevamo detto e doveva apparire chiaro agli occhi di chi non guardasse ad interessi strumentali ma a quelli del Paese.
Ora siamo lì ed è compito nostro puntare a far sì che ogni elemento che può produrre una competizione fondata sulla qualità venga messa in campo, altro che respingere le loro opinioni e basta!
Noi indichiamo una strada diversa, quella dell'innovazione, quella che stimola ricerca, formazione, che valorizza le persone, che dà certezza e che, attraverso la stabilità e la sicurezza produce occasioni di crescita per un Paese.
E' molto grave la decisione che hanno assunto ieri. Siamo di fronte ad un tentativo di far saltare la contrattazione, di mettere in un cassetto il contratto nazionale, hanno già cestinato la concertazione ignorando anche l'appello che è venuto dal Capo dello Stato.
E ieri hanno deciso un altro passo: lo ha deciso il governo, e la Confindustria sostiene che ancora non basta. Siamo alla messa in discussione dell'intero Statuto dei lavoratori. Non è una delega quella di ieri, ma una somma di deleghe riassunte in un alveo più ampio: vogliono mettere in discussione l'intero sistema che definisce contrattualmente e legislativamente le normative del lavoro. Si danno l'obiettivo di cambiare alla radice il rapporti fra le imprese e le singole persone che lavorano, ovviamente a vantaggio delle prime. Ed hanno scelto anche obiettivi simbolici: i grandi contratti, il vostro in primo luogo, e poi, l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Il giornale di Confindustria ha dedicato uno spazio sorprendente, qualche settimana fa, per spiegare che, in fondo, il numero delle persone che utilizzano l'articolo 18 per essere reintegrati nel posto di lavoro è scarso, sono pochi in un anno. Questa dispendiosa inchiesta si concludeva con una domanda rivolta al sindacato: "se sono pochi, perché insistente tanto a difendere quell'articolo?" E' grottesco, e la domanda si può rovesciare: "ma se sono così pochi, perché insistete tanto nel volerlo cancellare?"
Noi abbiamo ben chiara la risposta da dare perché sappiamo di cosa si tratta. Si dice che in Italia non si può licenziare. Non è vero, i licenziamenti sono previsti dalle leggi e dai contratti: ma una donna o un uomo per esser licenziati devono commettere un atto grave, e l'articolo 18 dice che si reintegra nel posto di lavoro una persona che viene licenziata senza giustificato motivo, senza fondamento.
I più anziani si ricordano cosa capitava nelle fabbriche prima del '70, quando lo Statuto non esisteva: quando un'azienda potava licenziare chiunque, da un'or all'altra, senza dover dare alcuna spiegazione.
E' allora questa la funzione dell'articolo 18, una funzione di deterrenza, senza quella barriera le aziende potrebbero licenziare discriminando senza nemmeno il bisogno di spiegarti il perché. Non ti direbbero mai "ti lascio a casa perché sei iscritto alla Fiom, oppure ti lascio a casa perché hai quell'idea politica", ma direbbero "ti lascio a casa e basta".
Ecco perché per noi l'articolo 18 rappresenta un diritto di civiltà, ed offende che qualcuno possa pensare che ad un uomo o ad una donna alla quale viene negata la dignità del rapporto di lavoro si possa rispondere con una compensazione monetaria. La dignità di una persona non ha prezzo e si difende come diritto fondamentale. Si difende come facciamo noi, indicando le nostre alternative.
Il governo ha fatto un passo indietro in materia di pensioni dopo aver accarezzato l'idea che attraverso la delega avrebbero potuto modificare non soltanto l'assetto previdenziale ma anche il regime transitorio, ritornando a colpire così tutte quelle persone che hanno avuto un mutamento delle loro aspettative previdenziali. Per il momento, il governo si è fermato e non so dirvi, francamente, se pensa di aver capito e dunque di non procedere ulteriormente, se ha capito qual è la determinazione del sindacato nel difendere quell'impianto, o, se invece è una scelta tattica.
Ma questo governo deve sapere, fin da ora, che, se dovesse riprendere quel balletto, ci ritroverà determinati esattamente come lo siamo stati in questi anni. Il nostro sistema previdenziale è stato riformato e sta dando i vantaggi previsti, non c'è dunque, nessuna ragione per mettere in discussioni le condizioni fondamentali e le aspettative di milioni di persone che lavorano e dei giovani che vorrebbero lavorare.
L'arretramento sulle pensioni ha portato però ad un'accentuazione sul tema dei diritti: nel Libro Bianco non c'era cenno all'articolo 18, ma ieri hanno deciso di intervenire anche su quello, di creare cioè una condizione che permetterà alle aziende, se applicata, di licenziare senza ragione.
Penso sia necessario da parte nostra contrastare con efficacia ogni e qualsiasi tentativo di questa natura. Spero che ci siano le condizioni per poterlo fare unitariamente.
La Cgil avanzerà le sue proposte alle altre confederazioni; vogliamo mettere in campo insieme le nostre iniziative di contrasto di fronte ad un governo che dà copertura a Confindustria per far saltare l'impianto contrattuale e per cercare di minare i diritti delle persone.
Certo, in questa discussione faremo pesare la nostra opinione, quella stessa che è confortata dalla vostra straordinaria presenza qui, oggi. Una presenza che dice della vostra determinazione e convinzione, perché quando attaccano la rappresentanza, vuol dire che attaccano tutto. Quel che oggi si è consumato per volontà di Federmeccanica nei vostri confronti e che noi insieme cerchiamo di contrastare è un atto lesivo della rappresentanza. Nel Libro Bianco è scritto che le parti si devono legittimare reciprocamente, si configura perciò la possibilità di accordi di comodo con organizzazioni di comodo. Ma se non ci sarà una regola, una democrazia compiuta, ciò che oggi si cerca di infliggere alla Fiom ed alla Cgil, può capitare anche ad altri. La democrazia è la nostra bussola, e quando si firma un contratto devono essere tutti i lavoratori a pronunciarsi. Quando fra noi abbiamo opinioni diverse, bisogna trovare il modo per produrre una sintesi e quando questa non c'è bisogna che si decida democraticamente. Se esiste disparità di opinioni, la Fiom, le altre categorie della Cgil, la Confederazione può e deve chiedere il parere dei lavoratori. E se dovessero riconoscere, a maggioranza, una tesi diversa da quella sostenuta da noi, a quel punto, accetteremmo come sempre abbiamo fatto il parere della maggioranza dei lavoratori.
Avete raccolto 350 mila firme e nessuno potrà ignorare questo fatto. Non è un atto organizzativo, ma un fatto di democrazia profonda. Quei lavoratori e quelle lavoratrici chiedono di poter dire la loro sul contratto, chiedono che il governo appronti un'ipotesi di legge sulla rappresentanza. Siamo contrari al monopolio della rappresentanza sindacale e c'è un solo modo perché questo non avvenga, attraverso il voto dei lavoratori, chiedendo loro di pronunciarsi. Insieme ad un sistema di diritti riconosciuti, sia individuali, come quelli che riguardano la persona, che collettivi, come quelli che riguardano la contrattazione, vogliamo anche regole democratiche, che siano condivise, ed a quelle regole noi ci atterremo.
Dobbiamo mettere in campo forti azioni politiche di lotta che contrastino le intenzioni dei nostri interlocutori per convincerli che stanno sbagliando, perché si possa arrivare ad un accordo. E lo facciamo mentre grandi cambiamenti sono in atto fuori di noi, mentre l'esigenza di giustizia ed uguaglianza si fa strada nel sentire comune di milioni di giovani, mentre i sentimenti e le preoccupazioni di questi giorni sono in campo attraverso forme associative nuove con le quali vogliamo interloquire perché siamo rappresentanti di interessi certo specifici, ma siamo anche portatori di una cultura dei valori e dei diritti, dell'uguaglianza e della solidarietà nella quale quegli interessi sono sempre stati collocati.
E per essere coerenti con la nostra storia, la nostra funzione sia oggi quella di stimolo di un confronto esplicito, chiaro, positivo con i milioni di ragazze e di ragazzi che vogliono lottare per cambiare questo mondo, perché vogliono maggiore giustizia, perché vogliono un futuro sereno. A loro chiediamo solo di distinguersi da qualsiasi atto violento, di far sì che la visibilità delle loro proposte sia forte scegliendo un campo che non dà argomenti e pretesti a nessuno, così come è nella storia del sindacalismo.
Questi giovani chiedono un futuro certo, chiedono di poter vivere in una società equa nella quale la pace sia garantita.
E' per questi obiettivi che ci siamo schierati da subito, senza tentennamenti, contro il terrorismo, contro quel terrorismo internazionale che deve essere sconfitto per garantire la pace. Sappiamo che esso agisce producendo condizioni che possono dare fiato a terrorismi locali, non meno pericolosi, quelli che hanno aggredito anche il sindacato colpendo ed uccidendo uomini come Guido Rossa, il professor Tarantelli, Massimo D'antona, uomini che hanno lavorato per imporre il rispetto della democrazia. Chi vuole la pace sa che bisogna sconfiggere il terrorismo, ma sa anche che quando il contrasto avviene con la guerra il terrorismo non viene battuto, anzi i pericoli crescono.
Per questo abbiamo chiesto un'azione efficace contro il terrorismo che ancora non è debellato, ma abbiamo detto con la stessa nettezza "cessino i bombardamenti per garantire gli interventi umanitari".
La nostra idea di società, la nostra visione del mondo, è storicamente legata alla difesa dei diritti ed ha al centro ipotesi, che possono essere realizzate se la politica è in campo, di rapporti positivi fra i Paesi del mondo, tra gli aggregati sovranazionali. Sono esigenze importanti per chi, come noi, ha bisogno di vivere in un mondo migliore, di vivere in una società non più penalizzata dalle disuguaglianze, per chi, come noi, ha bisogno di avere la pace disponibile, maggiore giustizia, più democrazia. Sono da sempre questi i nostri valori.
La struttura confederale nata nel 1906 è organizzazione riconosciuta e stimata, e, nella sua storia, ha permesso il rispetto ed il miglioramento della condizione di milioni di persone. Abbiamo partecipato, insieme alla sinistra politica e sociale, ad un processo di emancipazione che ha coinvolto milioni e milioni di persone in un secolo intero.
Siamo, per questo, un impedimento, un ostacolo sulla strada di una destra che vuole cancellare diritti e protezioni. Credo che da questa nostra bellissima storia si possano trarre non solo gli insegnamenti, ma gli elementi di conforto ed i valori che, non casualmente, voi oggi, sopportando il sacrificio di uno sciopero e di un viaggio disagiato, siete venuti a testimoniare a Roma.
Non c'è democratico, non c'è donna o uomo di sinistra, non c'è chi faccia riferimento al sindacato confederale che possa ignorare quanto è accaduto oggi: la vostra grande e straordinaria presenza qui. Non soltanto per rivendicare condizioni materiali migliori, ma soprattutto per dire che quello che c'è nella nostra storia passata, lo sappiano Confindustria, Federmeccanica e governo, resterà anche nella nostra storia futura: una società più giusta, una democrazia compiuta.
Questa è la sostanza di quella che sarà la piattaforma delle nostre iniziative future, dei prossimi giorni e delle prossime settimane. Ci attendono scadenze impegnative e difficili, ma io sono confortato da questa bellissima giornata e so che la Fiom e la Cgil potranno affrontare queste scadenze con la serenità e la fermezza che serve perché voi siete venuti qui a confermare la giustezza della nostra linea. Arrivederci a presto".