Interviste

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Alla fine delle quattro giornate di lavori congressuali, riportiamo alcune impressioni dei delegati che vi hanno partecipato.

Edoardo Carli - Sirti (Bari)

Ho partecipato a tutte le giornate del congresso: un congresso così lo aspettavo da anni e il governo di destra, secondo me, ci ha reso più uniti, ha fatto da collante. Penso che non abbandoneremo, anzi estenderemo a tutte le parti del sindacato e della società, attraverso rapporti unitari, quello che è stato esposto nelle tesi congressuali.

Ho trovato molto interessante l'intervento di Gino Strada di Emergency, che rappresenta secondo me l'idea che la Fiom ha della pace.

 

Stefania Iannace - Vitrociset (Cagliari)

Mi sono piaciuti complessivamente quasi tutti gli interventi al congresso, le conclusioni e le prospettive del programma della Fiom; mi auguro, come sostenitrice della seconda mozione, che si contribuisca a realizzare un documento unitario.

 

 

 

Daniela Medici  - New Holland Cases Fiat (Modena)

E' il mio secondo congresso e la cosa che più mi ha colpito rispetto a quello del 1996, dove eravamo giunti al voto con più divisioni, è che questo congresso l'ho sentito più unito. Mi ha lasciato sicuramente  un grosso bagaglio emotivo per la presenza di Gino Strada, di Giuliano Giuliani, della proiezione del filmato sullo sciopero del 16 novembre, e non da ultimo per il collegamento con la delegata della Ficomirror.

 

Maria Massa - Sevel (Val di Sangro)

E' stata un'esperienza importante perché è stato il mio primo congresso nazionale; rappresenta la somma di tutto un percorso congressuale a volte troppo lungo e ripetitivo, infatti penso che sarebbe opportuno realizzare con più frequenza iniziative a carattere nazionale della Fiom, al fine di intensificare i rapporti e gli scambi tra le differenti realtà regionali.

 


Dall'intervento di Giuliano Giuliani del 24 gennaio 2002

Ringrazio per la solidarietà e per la testimonianza di affetto pervenutami dalla Fiom come è già accaduto in altre occasioni. E' grazie a Carlo, che in questo periodo mi ha dato voce attraverso al forza del dolore che è diversa dalla paura della disperazione, per la ricerca della verità, della giustizia e soprattutto della memoria.

Cito Claudio Magris il quale sostiene che la memoria non rappresenta né la vendetta e né il rancore, ma è custode di verità e quindi di libertà. Mi chiedo come mai il nome di Carlo sia presente in Italia, in Europa, anche un campeggio a Porto Alegre porta il suo nome, ciò è accaduto perché si è avvertito il senso dell'ingiustizia.

A Genova, l'altro giorno, erano presenti famiglie, padri, madri, figli e molti di noi che a luglio non erano presenti. Non è il caso della Fiom, ma c'è ancora chi deve completare un giudizio complessivo su Genova. Perché oggi attraverso le testimonianze, le fotografie, i filmati è possibile avere un giudizio diverso. Non c'è da rinnegare nulla sulle nostre posizioni, sul rifiuto della violenza, a non commettere l'errore di avere un atteggiamento rissoso. Ho sempre stima del lavoro delle forze dell'ordine, ma altra cosa è la ricerca della verità, delle responsabilità di coloro che hanno commesso cose inenarrabili. Ce lo chiedono i compagni che lavorano per riaffermare la democrazia.

Per questo i giudizi cambiano. Carlo non si è portato da casa l'estintore, l'ha trovato lì ai suoi piedi. Ho ripercorso innumerevoli volte i fotogrammi, i film, le fotografie. Ho capito che lui voleva difendere gli altri e se stesso. Ho capito che la sua distanza della camionetta era di quattro metri e non così vicino, come appare invece dalla fotografia della Reuters. Consiglio di leggere al riguardo un libretto di Giulietto Chiesa, che si intitola "Dico solo le cose che ho visto". Si parla, in quel libretto, dell'oscena ambiguità dei black block, e nessuno è intervenuto: è stata una vera trappola; c'è chi dice che in quei giorni sono state sospese le libertà costituzionali. E per questo motivo occorre fare piena luce.

Credo che quel movimento rappresenti molte anime. E' un movimento importante, che ha dentro solo una violenza verbale, che oggi sarebbe giusto eliminare.

(…) In questo periodo non ci sono punti di riferimento importanti come ai miei tempi, quando nel panorama del mondo c'erano, ad esempio, i Kennedy, i De Gaulle, Krusciov, Eisenhower, Fidel Castro, Mao. Al contrario, i giovani di oggi, non hanno esempi però non hanno trovato dei miti, ma dei valori, non hanno dovuto leggere Marx per conoscere questi valori e, soprattutto, non chiedono qualcosa per se stessi, ma per gli altri. E questa è la vera solidarietà. Questi valori sono anche i nostri, ma loro sono più generosi, anche perché sono figli del benessere; ma sono disposti a farne a meno. (…)

Non si può prescindere dalla responsabilità di questo governo, ma la colpa è anche in noi in modo proporzionale, perché non siamo riusciti a mettere insieme Ulivo, Rifondazione, Di Pietro. L'iniziativa del sindacato è un'esperienza importante e quotidiana nella ricerca della verità; è necessario saldare il tutto ma questo è possibile solo attraverso il fare. Esiste una rivolta morale che si è avviata, ma coinvolge unicamente i ceti medio-alti, la borghesia, invece dovrebbe partire dal basso; è scattata una molla e bisogna alimentarla, bisogna chiarire le differenze, la battaglia politica ha bisogno di numeri e anche di scarsi commenti. Per il fare si deve partire dalle persone e non da altro.

Domenica 20 gennaio, alla manifestazione di Genova c'erano due persone alle quali sono affezionato: monsignor Tobini  e il sindacalista Andrea Ranieri. Un prete e un sindacalista, che si sono inventati una struttura per il reinserimento lavorativo dei cosiddetti "sfigati". E' una federazione che abbraccia i sindacati confederali, la Caritas, il mondo laico e cattolico; nessuno chiede all'altro da dove viene, c'è solo la voglia di esprimere valori.

Le persone si devono guardare negli occhi e ripartire da loro stesse. Solo così si possono modificare i giudizi e ritrovare la fiducia per creare una nuova saldatura. Si deve dare spazio alla memoria, ad esempio celebrare il 25 aprile coinvolgendo i giovani, il mondo del lavoro, affinché si prepari una riscossa che parli alla gente, soprattutto a quella che si è fatta illudere: deve essere una giornata della memoria, un qualcosa che metta dentro ogni città la gente e che la faccia vivere.

Voglio concludere con una cosa che parla al cuore e alla mente: in questo duro periodo mi è capitato di essere invitato nella chiesa dell'Annunziata a Genova, a una veglia di preghiera: sono andato da laico e come tale sono stato accolto. Mi sono emozionato per la presenza di 400 persone che cantavano le loro poesie e le loro preghiere, ho colto in quel canto la forza del gesto perché cantare era anche un gesto nostro: noi cantavamo insieme alle feste dell'Unità canzoni partigiane. E oggi tutto questo non riusciamo più a farlo. Però sotto i cuori rozzi delle tute blu albergano poeti e musicisti: scrivete, scrivete qualcosa da cantare con altri. Suggerisco solo una cosa, vorrei che si concludesse con una frase del grande poeta italiano Eugenio Montale in Ossi di Seppia: "Questo solo possiamo dirti, ciò che non siamo e ciò che non vogliamo".


Dall'intervento di Gino Strada, Emergency, del 23 gennaio 2002

Vi ringrazio per l'invito, perché qui alla Fiom mi sento a casa.

Francamente Emergency si occupa unicamente degli effetti collaterali della guerra. Noi la vediamo solo da quel punto di vista, cioè quello degli esseri umani che rappresentano le vittime, per l'appunto, di questi effetti collaterali. Perciò per noi la guerra e le vittime sono la stessa cosa, il resto è propaganda per il petrolio, per le multinazionali e per gli armamenti.

Non possiamo continuare a distinguere la guerra e le vittime, il resto sono solo dollari, la guerra è uno strumento inconcepibile. In questo mondo di paillettes, spot pubblicitari, show televisivi, c'è chi deve difendersi per lavorare; la guerra non è uno strumento di difesa, perché attraverso di essa si potrebbe anche affermare qualcosa, ma di sicuro si nega il diritto a essere vivi. E questo non lo abbiamo scoperto noi. Anche Erodoto sosteneva che non esiste nessuno così stupido da preferire la guerra alla pace: i figli seppelliscono i padri e i figli dei figli faranno la stessa cosa. Per cui la guerra è uno strumento inefficace.

Spesso coloro che appoggiano questa guerra in corso fanno riferimento a Hitler, ma io voglio ribadire una differenza: nella Prima guerra mondiale il 90% delle vittime erano i combattenti, nella Seconda guerra mondiale le vittime civili rappresentavano il 65% del totale. Con Hitler, quindi, la guerra è cambiata. Oggi i morti sono tutti civili, ad esempio nella penultima guerra, a Belgrado, Bill Clinton sosteneva di aver vinto 5.000 a zero; cioè 5.000 morti civili su zero militari: queste sono le guerre moderne.

C'è anche chi giustifica una guerra riportando alla memoria la Resistenza italiana. Ma il nazismo non ha risolto i problemi, e adesso a chi ci stiamo affidando?

Abbiamo paura a sostenere che la causa del terrorismo islamico è rappresentata dagli Stati Uniti d'America, il genocidio della Palestina, gli embarghi, le basi militari poste in luoghi strategici, vicino a zone ad alto rischio. Ci stiamo affidando a chi ha bombardato una fabbrica di medicinali in Sudan, persino la Corte internazionale dell'Aja ha definito questo atto come un atto di terrorismo.

Si deve lavorare per un mondo basato sui diritti umani, non si possono avere cittadini di serie A, B, C. E questi diritti devono appartenere a tutti, anche a coloro che non ci piacciono. Questo è un mondo nuovo, ed è un mondo possibile non solo nel suo progetto, anche perché nessun altro progetto può stare in piedi.

Un mondo basato sulla legge del denaro è un mondo impossibile: Emergency opera la difesa a essere vivi, per questo motivo rimaniamo a Kabul per affermare, appunto, i diritti praticandoli. Abbiamo visto bombe che polverizzano tutto: a grappolo, con lo stesso colore degli aiuti, che si comportano sul suolo come le mine antiuomo; quindi si aggiungono vittime gratis!

Allora c'è venuto da dire "pace!". Alcuni si sono scatenati perché il mondo umanitario piace solo quando rattoppa i feriti e sta zitto. Emergency ha deciso di non starci perché noi non siamo in vendita; ringraziamo il volontariato, le organizzazioni sindacali, il mondo cattolico e chiediamo loro di costruire nuovi percorsi di pace. Avremmo di fronte una prossima guerra, tra pochissimi mesi, e chi lo prevede deve scendere nelle piazze per dire di no. E' arrivato un enorme sostegno finanziario e affettivo da iniziative provenienti dal sindacato. Queste sono per me casse di resistenza.

Molti progetti di Emergency si finanziano così per l'affermazione di quei diritti dell'uomo che devono essere praticati.


Stralci dagli interventi avvenuti durante la sessione dei sindacati europei del 23 gennaio 2002

 

Roger Johansson (Svenska metall, Svezia)

Vorrei chiarire innanzitutto che il sindacato svedese collabora molto strettamente con il partito socialdemocratico.

Sono lieto di partecipare a questo congresso perché ritengo molto importante che migliori la cooperazione internazionale fra i sindacati. Non crediamo infatti in alcun modo che il protezionismo aiuti l’economia di un paese. Per questo credo che la prossima sfida consisterà nel dare sostegno all’entrata nella Comunità europea delle nazioni che sono, per ora, solo candidate e ai loro sindacati.

In Svezia il tentativo degli imprenditori negli ultimi anni è stato quello di ridurre la contrattazione al solo livello aziendale perché più ci dividono più saremo deboli. Il loro obiettivo è che il lavoratore si trovi solo davanti al datore di lavoro. Nonostante ciò, nel marzo del 1997, il sindacato ha raggiunto un accordo di settore che sancisce le regole della contrattazione. Questo è servito a ridurre l’atteggiamento negativo delle imprese verso la contrattazione nazionale. Inoltre siamo riusciti a ottenere aumenti salariali reali (2/3%) rispetto al passato. Accadeva di riuscire a spuntare incrementi superiori delle retribuzioni che però venivano puntualmente mangiati dall’inflazione.

 

Carlos Carvalho (Fequimetal, Portogallo)

La legge portoghese non obbliga ad avere un contratto nazionale. Ogni sindacato può negoziare per i propri iscritti a livello di settore, nazionale e locale. Il 65% dei metalmeccanici è iscritto al sindacato. La negoziazione salariale avviene ogni anno e ora è in corso quella che riguarda importanti settori come la metallurgia e l’auto. Attualmente siamo anche impegnati nella lotta contro la discriminazione salariale delle donne e degli immigrati. Oggi è in atto un braccio di ferro con il padronato che è disponibile a concedere aumenti salariali ma chiede in cambio la rinuncia a diritti acquisiti che noi consideriamo irrinunciabili.

Credo che ancora non ci siano le condizioni per un sindacato europeo, ma ci sono molte cose che possiamo fare insieme come approfondimenti e confronti sulle rispettive realtà.

 

Ivica Jakopcevic (Smh, Croazia)

In questa occasione voglio ringraziare la Fiom del Veneto dalla quale abbiamo ricevuto sostegno operativo e formativo al momento della costituzione del nostro sindacato. Il modello di contrattazione che abbiamo impiantato è stato mutuato da questa esperienza. Dal 92 abbiamo un contratto collettivo nazionale che però è stato siglato prima della privatizzazione delle imprese: così dopo pochi anni il Contratto si è svuotato e abbiamo dovuto ripiegare sui contratti a livello aziendale, cercando di riprendere le norme pattuite a livello nazionale.

Siamo passati da 42 a 40 ore la settimana, articolate su 5 giornate. E’ stata conclusa una concertazione, sul modello irlandese, per lo sviluppo che stabilisce che non possono essere modificate le normative sul lavoro senza il coinvolgimento e l’accordo del sindacato.

Infine ritengo che vincolare la partecipazione alla Fem all’appartenenza del paese all’Unione europea sia un forte limite all’azione sindacale.

 

Ramon Gorriz (Comisionés obreras, Spagna)

Innanzitutto vorrei dire che per noi la Fiom è un sindacato fratello, da cui abbiamo avuto un forte sostegno nei momenti di difficoltà che abbiamo attraversato.

Mentre il capitale si è internazionalizzato, il sindacato continua ad avere tracce di nazionalismi, al contrario di ciò che, a parer mio, dovrebbe essere.

Inoltre il grosso dell’attività della Ces è rivolta all’interlocuzione con le istituzioni europee. Questo l’ha fatta crescere ma ha limitato o confuso l’attività delle federazioni di settore. Di fatto la negoziazione collettiva europea con le multinazionali non è mai partita, favorendo così una logica protezionistica che va a scapito dell’unità dei lavoratori.

 

Wolfgang Schroder (Ig Metall, Germania)

Credo che questa occasione sia importante perché necessita una sempre maggiore cooperazione tra i sindacati e l’Europa che ha bisogno della solidarietà dei lavoratori  e dell’ascolto reciproco. La nostra cultura politica è talmente varia e ricca! In ogni paese c’è una propria idea di giustizia sociale e di lotta. E se non saremo in grado di gestire insieme tutti questi modelli sarà il capitale a dominare.

La Germania è una nazione che con i suoi 82 milioni di abitanti produce un terzo dell’intero prodotto interno lordo europeo. Ma la nostra economia non è così prospera come sembra. Dal 1993 la crescita economica è al di sotto della media europea, mentre i tassi di disoccupazione sono al di sopra. La situazione Est-Ovest ha molte analogie con il vostro rapporto Nord-Sud. Infatti su questo sarebbe per noi utile incontrarci e confrontarci.

Dal 1998 il partito socialdemocratico è al potere, il sindacato si è impegnato a fondo per questo e ora chiede di essere coinvolto in un nuovo Patto sociale. Non crediamo possibile né giusta una riforma del welfare senza la partecipazione del sindacato. Recentemente abbiamo fatto un grosso passo in avanti sulla rappresentanza. Abbiamo infatti sancito per legge l’aumento dei membri dei comitati di impresa: questo porterà a un allargamento della presenza delle organizzazioni dei lavoratori e a una migliore qualità della contrattazione.

A proposito di questo penso che gli accordi aziendali debbano tener conto di quello che accade negli altri paesi.

 

Monika Kemperle (Gmbe, Austria)

Attualmente il nostro problema più grande consiste nell’ottenere il riconoscimento da parte del governo che tenta in ogni modo di ignorarci e scavalcarci. Nega la nostra rappresentanza e mette in dubbio la legittimità della nostra azione. La logica che seguono i nostri governanti è che il mercato deve regolare tutto. Quest’anno abbiamo riscontrato il 25% in meno di formazione professionale e riteniamo che rappresenti un grave danno e un sintomo della politica che si sta mettendo in atto.

Crediamo che l’Unione europea sia una comunità economica eccellente ma dobbiamo farne una comunità sociale.

 

Reinhard Kuhlmann (segretario generale della Fem)

L’introduzione dell’euro e l’allargamento dell'Unione si tradurrà in intensificazione della concorrenza. A questo noi dobbiamo rispondere con il modello sociale europeo, cioè con il rafforzamento della solidarietà europea perché non servono né sono possibili soluzioni nazionali. Il contratto collettivo è la base del modello sociale europeo ed è il cuore dell’idea dell’integrazione orientata al progresso sociale solidale. Il modello è questo: coesione sociale contro concorrenzialità e contratto collettivo contro contratto individuale.

A livello europeo abbiamo bisogno di uno schieramento chiaro verso le controparti. La visione del sindacato europeo unito è il filo conduttore.

 

Marcello Malentacchi (segretario generale Fism)

Il nostro orizzonte non è, né può essere quello di una lobby, ma deve essere la contrattazione a livello internazionale. Oggi non è ancora chiaro però quali siano i mezzi e i metodi attraverso cui le diverse tradizioni possono coordinarsi in un sindacato unico europeo e globale.

Per quanto riguarda l’azione sulle multinazionali credo che una delle vie adottabili sia quella dei codici di condotta Penso poi che sia importante che ognuno di noi inizi a comprendere che il problema internazionale riguarda il lavoro quotidiano di ognuno di noi.


Elena Malvezzi

Impiegata commerciale alla Caprari (produzione pompe centrifughe) di Modena

Da tre anni Rsu.

Al suo primo congresso:

“Mi è piaciuto moltissimo tutto, il dibattito, le tesi, ma soprattutto un’iniziativa organizzata dalla Fiom di Modena. Durante il congresso comprensoriale sono state premiate le persone licenziate prima che entrasse in vigore lo Statuto dei lavoratori, per motivi politici o perché facevano parte del sindacato. E’ un pezzo di storia che non conoscevo e per me è stato molto importante”.

“Credo che il valore più rilevante su cui si è incentrato giustamente il dibattito congressuale sia il diritto a un lavoro stabile. Bisogna contrastare l’aumento della precarietà. I giovani hanno bisogno di costruirsi un futuro. Nella mia azienda i lavoratori interinali non sono molti. Comunque abbiamo un contratto interno che prevede l’assunzione a tempo indeterminato laddove si rilevano carenze strutturali, cioè quando a un contratto a termine ne subentra un altro e poi un altro ancora”.


Alessio Napoli

Della segreteria della Fiom di La Spezia.

Proveniente dal cantiere navale San Marco, ex pantografista. 30 anni.

Al suo primo congresso:

“Sono molto critico su come si è svolto il congresso nella mia struttura. E per me è un sollievo che sia finito. Ci sono state forti incomprensioni nella segreteria, più lotta che confronto. Si è trasceso fino ad arrivare allo scontro personale. Spesso nelle assemblee si valutava la persona piuttosto che le tesi. Trovo che questo sia un grave errore. La personalizzazione fa perdere di vista i contenuti. Inoltre sento il peso di tutte le divisioni. Già ci sono quelle con Cisl e Uil, se poi aggiungiamo quelle al nostro interno... I lavoratori ci chiedono unità e noi ci dividiamo. Credo che tutto questo sia sbagliato”


Gianni

Operaio generico alla Magneti Marelli di Bologna. Diploma di perito agrario. 28 anni.

Rsu da un anno

Al suo primo congresso:

“Io l’ho trovato molto interessante. Ho avuto modo di conoscere problemi ed esperienze diverse dalle mie. Questo è molto importante per noi giovani. Sono entrato in azienda con un contratto a tempo determinato e, poi, sono stato assunto. La mia azienda fa parte del gruppo Fiat. La disciplina è forte e ti stanno con il fiato sul collo costantemente. I ritmi sono intensi e sei controllato su tutto. Spesso mi trovavo a discutere con i capi. Così, vista la mia intraprendenza i delegati anziani mi hanno chiesto di fare il delegato a mia volta.

Secondo me è importante ricreare un certo clima e fare informazione, farti conoscere. Noi per esempio abbiamo ripreso a fare un giornalino dopo tanti anni che non usciva più. Ma soprattutto quello che mi ha aiutato è stato l’atteggiamento dei delegati anziani. Mi hanno sostenuto molto, mi hanno incentivato anche a sbagliare e questo mi ha permesso di imparare molte cose”.


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