Prosegue l’inchiesta sulle fabbriche metalmeccaniche che hanno firmato il precontratto. Il territorio è quello di Bologna: abbiamo intervistato Maurizio Landini, segretario generale della Fiom Bologna, e 4 delegati di Fiac compressori, Motori Minarelli, G.D e Acma.
Maurizio
Landini, Quali
caratteristiche presenta il territorio in cui opera la Fiom a Bologna?
Il nostro è un territorio dove lavorano, nelle 1.109 aziende industriali in cui c’è almeno un iscritto alla Fiom, oltre cinquantamila metalmeccanici, a cui vanno aggiunte circa 13.000 persone che lavorano in aziende artigiane: ci sono sia imprese di piccole-medie dimensioni sia gruppi a livello nazionale e internazionale. In questo quadro abbiamo scelto di aprire le vertenze con gradualità individuando le aziende più significative, più grandi, dandoci il vincolo del voto democratico dei lavoratori, così come nazionalmente deciso, e a oggi la situazione è che abbiamo aperto circa 100 vertenze che coinvolgono grosso modo la metà della nostra categoria. Siamo riusciti a realizzare a oggi circa 40 accordi – sia in grandi aziende sia in aziende di 30/40 dipendenti proprio per il tipo di struttura – e il nostro obiettivo è andare avanti, con un'estensione più generale possibile. Bisogna tener conto che da noi c’è la presenza sia della Confindustria che della Confapi, per questo fin dall'inizio abbiamo operato su entrambi i fronti, cercando di disarticolare il più possibile la controparte, e i risultati positivi che abbiamo raggiunto sono dovuti a iniziative di lotta. Abbiamo aziende in cui, per realizzare l’accordo, si è arrivati anche a scioperi della durata di alcuni giorni, in altri casi siamo in presenza di aziende che hanno scelto di fare l'accordo con la Fiom e la Rsu a fronte del consenso derivato ad esempio dal voto in fabbrica e dalle lotte di questi anni. In
quali aziende sono stati già firmati gli accordi?
Gli accordi più significativi, se parliamo delle grandi aziende, sono quelli dell’Ima, della Gd, aziende di 1.500-1.600 dipendenti che hanno tanti stabilimenti e un ruolo politico perché i loro proprietari sono membri della Confindustria, della giunta. Abbiamo fatto accordi anche in aziende aderenti alla Confapi, come il gruppo Fini e il gruppo Marchesini che hanno 300-350 dipendenti, che per Bologna rappresentano i gruppi più grandi, o la Reno Press, azienda di proprietà del vicepresidente della Confapi di Bologna. Quale
strategia avete seguito?
Abbiamo ragionato sul collegamento tra precontratti e sviluppo, cioè abbiamo detto in modo molto esplicito che non solo gli accordi nazionali separati erano dannosi, ma che in realtà avevano come logica quella di cancellare i diritti e di far regredire il sistema di relazioni sindacali nel territorio, quindi le imprese che volevano svilupparsi, innovare e creare occupazione dovevano fare i conti con la contrattazione della Fiom. Questo ha prodotto una divisione anche tra le imprese, diversi proprietari di azienda hanno scelto non solo di fare l'accordo con la Fiom, ma di dire pubblicamente che la strada degli accordi separati è sbagliata e che la pace sociale e lo sviluppo fondato sulla qualità sono punti importanti anche per loro, e che l'accordo bisogna farlo con chi è effettivamente rappresentativo. Mi è sembrato significativo che a Bologna la pagina regionale di «la Repubblica» – il giornale più venduto – sia uscito col titolo: «La Fiom divide gli industriali». Mi è piaciuto, era l'obiettivo che ci eravamo dati con la disarticolazione: anziché essere la Fiom a dividersi dai lavoratori come loro pensavano, quello che si sta realizzando con i preaccordi è dividere le imprese, dimostrare che chi a Roma ha scelto una strada, quella degli accordi separati contro la Fiom-Cgil, non è rappresentativo in realtà nemmeno delle imprese italiane. Questo mi pare l'elemento costante. L'altro aspetto che emerge con una certa forza è la possibilità di estendere i precontratti a tutto il territorio perché la Fiom vuole riconquistare il contratto nazionale fabbrica per fabbrica. Non è sempre così semplice, a volte siamo dovuti tornare in fabbrica a fare più di un'assemblea prima di arrivare al voto, perché inizialmente non era così scontato questo passaggio. Dopo
questi risultati, quali sono le tue valutazioni?
L'aspetto positivo che abbiamo riscontrato è che laddove abbiamo aperto le vertenze e abbiamo fatto votare, i lavoratori hanno votato in misura maggiore che sulla piattaforma della Fiom o in altri casi, quindi un primo punto importante è il consenso. Permettere alle persone di decidere di votare – ripartire dai luoghi di lavoro – ha incontrato molti consensi, ha fatto sentire il lavoratore più partecipe della possibilità di fare l'accordo, di ottenere il risultato, di ripristinare una regola democratica importante: essere lui a decidere. E proprio questo valore ha fatto sì che al voto e alle iniziative di sciopero che abbiamo fatto abbiano partecipato tanti non iscritti e anche tanti iscritti alle altre organizzazioni. È
cambiato qualcosa, adesso, nei rapporti sindacali?
Questa lotta sta mettendo in moto molte cose importanti, ha riattivato le persone, si stanno ricostruendo non solo i rapporti nel territorio ma anche i rapporti con aziende di altri territori perché con questo lavoro sindacale di base si ricostruisce una iniziativa di coordinamento, di solidarietà, di senso di appartenenza. Per quanto riguarda la Cassa di resistenza, emerge un punto che secondo me è utile affrontare: ci viene chiesto di differenziare iscritti e non iscritti; ma dove abbiamo fatto i preaccordi abbiamo avuto adesioni consistenti, abbiamo fatto iniziative pubbliche, le stiamo mettendo in campo, è un'idea che sta riscontrando molto successo. La cosa comunque che ci permette di poter parlare a tutti è che crediamo nel valore della democrazia, le persone devono poter contare, decidere, votare; questa idea che siamo contro la precarietà nel lavoro, questa idea che richiamiamo la solidarietà e la resistenza per difendere dei diritti sono elementi che ci stanno mettendo in contatto anche con il mondo dei giovani, non solo quelli che sono in fabbrica, ma anche gli studenti. Ad esempio, a Bologna stiamo organizzando un'iniziativa pubblica, abbiamo avuto delle richieste, dei contatti per capire e costruire un collegamento, mi sembrano cose importanti che ci dicono sostanzialmente che è possibile ottenere dei risultati e che questa strada è praticabile. Subìte delle pressioni,
dal punto di vista politico ad esempio, per i successi che state ottenendo, c'è
nervosismo? Beh, questo senz'altro, soprattutto da parte delle altre organizzazioni sindacali, perché vedono che non hanno più il consenso dei lavoratori. Ti riporto questo episodio: a Bologna si era attivato proprio in questi giorni, in concomitanza con i preaccordi, un tavolo di Cgil, Cisl, Uil con la Confindustria per garantire la competitività del territorio, si parlava di formazione, di strutture, di accoglienza per le persone che vengono da fuori per lavorare a Bologna, di come sviluppare il sistema d'impresa. Cisl e Uil improvvisamente hanno fatto saltare questo tavolo di confronto perché l'Associazione industriali non prendeva una posizione contro i preaccordi e contro le aziende che stavano facendo gli accordi con la Fiom. È un sintomo che dovrebbe far riflettere, se le organizzazioni sindacali arrivano al punto di andare dalla controparte – non dai lavoratori – a chiedere di non firmare accordi con un'altra organizzazione sindacale, perché significherebbe migliorare le condizioni dei lavoratori! Comprendo il nervosismo di chi capisce di non essere rappresentativo e di aver fatto una scelta che potrebbe mettere a rischio la propria esistenza, ma credo che allo stesso tempo si dovrebbe riflettere sul fatto che solo nel rapporto con i lavoratori si può ricostruire un'iniziativa. E queste iniziative non stanno creando alcuna divisione dentro le fabbriche, anzi aumentano l'unità dei lavoratori e le iniziative sindacali; il dato che emerge è che apriamo le vertenze con il voto della maggioranza dei lavoratori e le chiudiamo con accordi, le persone votano di nuovo, raggiungiamo consensi tra l'80 e il 90%, e purtroppo non abbiamo l'80 o il 90% di iscritti! Questo si lega anche con il quadro politico, c'è il silenzio sulla nostra lotta, c'è un tentativo da parte delle forze politiche di parlarne il meno possibile, è un elemento che secondo me va recuperato. A Bologna abbiamo deciso, in preparazione dello sciopero nazionale del 7 novembre, di fare un'assemblea pubblica, abbiamo scritto a tutti i consiglieri comunali, a tutti i comuni della provincia e del capoluogo, chiedendo dei consigli comunali aperti che discutano di quanto sta succedendo; ci rivolgiamo anche ai movimenti, perché pensiamo che la nostra sia un'iniziativa, una lotta che ha un valore generale che parla non solo ai metalmeccanici, ma anche a un'idea diversa di questo paese. |