Salaam
Bombay! Il Forum sociale mondiale in India, 16-21 gennaio 2004 - prima parte di
Alessandra Mecozzi Chi
l’ha definito un evento storico, chi ne ha colto il carattere emozionante, chi
è rimasto incantato dai suoni e dai colori: in un modo o nell’altro il Forum
sociale mondiale che si è tenuto a Bombay (Mumbai, secondo la nuova dizione non
coloniale, derivante dal nome di una dea, Mumba) è stato una bellissima
sorpresa per chi non gli aveva dato molto credito, come per chi lo aspettava con
interesse e curiosità. Quel
che è certo è che questo Forum mondiale ha segnato una novità e un
avanzamento nel panorama dei movimenti dei forum e contiene molte cose su cui
riflettere, a cominciare dalla grande capacità organizzativa del comitato
promotore in cui si sono trovate insieme ong, partiti e sindacati, associazioni
di donne, abitualmente divisi da forti connotazioni ideologiche. È cambiata
anche l’impronta, tradizionalmente europea e latinoamericana, e si è ampliata
la composizione sociale: mai si erano visti tanti lavoratori e lavoratrici dei
settori organizzati e di quelli informali, tanta parte del mondo degli esclusi,
a cominciare da quei dalit “intoccabili”, liberi di mescolarsi al variegato popolo dei forum. Il
lavoro politico-organizzativo non è stato da poco: il Consiglio generale
indiano, composto da 135 organizzazioni, ha nominato un comitato di lavoro
composto da 67 organizzazioni, tra cui 14 sindacati e organizzazioni del lavoro
nazionali; 8 organizzazioni di donne nazionali; 6 reti di contadini; 4
piattaforme nazionali ciascuno per dalit e adivasi (indigeni), 4
organismi studenteschi. Il
lavoro di un anno ha portato al brillante risultato: 75.000 iscrizioni più
circa 45.000 persone che hanno partecipato su base giornaliera; oltre la metà
provenienti dal continente asiatico e almeno un terzo dai vari stati
dell’India. Inaspettata, anche a detta del comitato organizzatore, la
partecipazione significativa di molte associazioni sociali non tradizionalmente
attive nell’ambito della sinistra, in particolare ong che lavorano con i
bambini (tantissimi e spesso impegnati in rappresentazioni di strada contro il
lavoro minorile), migranti, rifugiati. Si temevano le difficoltà politiche e
organizzative in un paese con differenze
e contrasti molto forti tra i vari soggetti, la dimensione immensa del paese (un
miliardo di persone), i conflitti numerosi
e terribili che attraversano il continente. E invece sia sul piano politico che
organizzativo, il comitato organizzatore (gestito nel Forum da circa 25 giovani
donne sotto ai 30 anni, come mi ha
detto sorpresa e orgogliosa Leni, del comitato) ha dato una prova straordinaria di efficienza e efficacia: in due giorni centinaia di
volontari hanno montato con tronchi tele e corde le strutture che hanno ospitato
decine di seminari, istallato i banchetti con cibo per tutti, altri stand di
materiali di informazione e ancora quelli di prodotti artigianali. Forse hanno
fatto difetto un po’ la tecnologia e le traduzioni,
ma l’apertura, i 4 giorni di dibattiti e manifestazioni, street
parades, si direbbe, teatri di strada ed emozionante chiusura in una immensa
piazza del centro sono stati tutti da godere, in un clima di entusiasmo e di
amicizia. Il
Forum delle parole negli spazi di conferenze e seminari correva parallelo a
quello delle strade del grande spazio comune del Goregaon. Il clima, non troppo
caldo e molto asciutto in questi giorni dell’anno ha favorito questa
dimensione aperta ed estremamente vitale. Le oltre 120.000 persone che hanno
partecipato, e molte di più alla manifestazione di chiusura in Azad Square,
avevano un’aria sempre indaffarata e allegra, entrando e uscendo da incontri,
appuntamenti, spettacoli, conferenze stampa in un centro stampa, poveramente, ma
perfettamente organizzato, a detta di chi lo utilizzava. Le donneLe
donne grandi protagoniste, nell’organizzazione, nelle parole, nella
comunicazione con i corpi: splendenti nei loro sari multicolori o altri vestiti tradizionali, come i punjabi
(pantaloni, tunica lunga e sciarpa); protagoniste politiche, come la giovane
Arundathi Roy, uno degli interventi di apertura e poi di nuovo nella grande
assemblea manifestazione di donne, capace di entusiasmare le migliaia di persone
che la ascoltavano con l’invito a essere noi la resistenza contro la guerra e
l’occupazione dell’Iraq e organizzare il boicottaggio di multinazionali
americane; protagoniste di una riscossa sociale, come le migliaia di dalit
(intoccabili, senza casta, esistenti ancora a migliaia, nonostante la legge che
vieta le caste stesse) che hanno invaso le strade con slogan, musiche, teatro di
strada. Tantissime le lavoratrici nei diversi cortei sindacali, prevalentemente
nei cosiddetti lavori informali: insomma un popolo, tanti popoli in marcia…
Shirin Ebadi, avvocata iraniana per i diritti umani e premio Nobel per la
pace, ha ricordato la centralità della lotta per i diritti umani delle donne e
degli uomini in un mondo attraversato da guerra e violenze;
l’attivista pakistana Asma Jehangir ha presieduto l’ultimo grande
incontro di commiato, dando un segnale forte di pace alle due comunità. I dalitCirca
25.000 provenienti da 20 Stati si sono riuniti nel Forum sociale mondiale, dove
il programma prevedeva il tema delle caste, come uno dei temi principali nei
dibattiti e nelle manifestazioni , insieme a quello del militarismo e della
guerra, del lavoro e globalizzazione, del patriarcato e genere, delle risorse
naturali e sovranità alimentare. La
condizione dei dalit è un caso esemplare del peso della tradizione sulla
legge: in India infatti ci sono leggi che
prevedono la presenza dei dalit anche nel Parlamento, oltre che nel
lavoro in istituzioni pubbliche ed educative, ma in molte parti dell’India
sono ancora oggetto di una forma unica di discriminazione religiosa e violente.
Ma nel Forum mondiale, dove uguaglianza è una delle parole d’ordine, fanno
sentire la loro voce e denunce attraverso cortei e rappresentazioni teatrali di
strada, canti e spettacoli dove si mescolano con il colorato popolo del Forum.
“Siamo davvero contenti di poter mostrare a questa comunità internazionale di
essere parte di questa comunità nonostante la volontà di separazione della
religione” La giovane Khatu Devi,
nel suo brillante sari giallo e braccialetti rossi, lavora in una miniera e per
10 giorni della durata del viaggio e del Forum, non guadagnerà le 50 rupie al
giorno (un po’ meno di un euro), ma non le sembra una grave perdita in
confronto alla possibilità di poter portare qui la richiesta dei propri diritti
e favorire il cambiamento di culture e mentalità. “ In effetti qui le persone
sono pronte per ascoltarci – aggiunge Paul Divakar, della Campagna nazionale
per i diritti umani dei dalit – perfino amici indiani vengono da noi e pongono
domande pertinenti, che dimostrano la loro volontà di capire per quali ragioni
i dalit stanno lottando” Sindacati e lavoroDopo
l’indipendenza, è iniziata in India una fase di reindustrializzazione con
l’accelerazione dello sviluppo attraverso la costruzione di un forte settore
pubblico (diversamente da altri paesi dell’Asia dove si è investito
prevalentemente nel settore privato), limitazione alle importazioni e grandi
sostegni pubblici ai settori chimico, elettrico, siderurgico, trasporti. Ma dal
1991 è iniziato il cosiddetto Lpg (Liberalizzazione, privatizzazione,
globalizzazione) con i prestiti della Banca mondiale e del Fondo monetario
internazionale. I sindacati sono cresciuti in quantità: ne esistono infatti 14
a livello nazionale, segnati fortemente dalle diverse tendenze politiche fin
dall’inizio: stando a un documento della Nuova iniziativa sindacale
indipendente, la tendenza del sindacalismo in senso stretto, quella
socialdemocratica e quella socialista, rimaste unite nella lotta per
l’indipendenza dalla Gran Bretagna, dove hanno svolto un ruolo primario (la
prima confederazione è del 1920 – All India Trade Union Confederation). Per
questo il movimento operaio indiano ha una forte e lunga tradizione di impegno
antimperialista. Ma subito dopo l’indipendenza sono emerse le differenze e le
divisioni ideologiche e politiche e tutt’oggi le differenze tra i sindacati
sono fortemente connotate da quelle esistenti all’interno dei diversi partiti
di sinistra, pur essendosi l’India dotata di un assetto legislativo sul
lavoro, coerente con gli standard dell’Organizzazione internazionale del
lavoro, notevolmente avanzato, anche se la sua applicazione è proporzionale al
tasso di sindacalizzazione dei diversi settori. Oggi è in corso una ricerca, di
fronte ai disastrosi effetti della globalizzazione sulla condizione di lavoro e
sociale, ai tentativi di cambiare in peggio le leggi sul lavoro e diminuire la
tutela di lavoratori e lavoratrici, i diritti alla contrattazione, per
ricostituire una unità analoga a quella esistente nella lotta anticoloniale,
superando le forti divisioni ideologiche e costruendo nuove alleanze con i
movimenti sociali. Questa ricerca critica insiste sulla necessità che cresca
all’interno dei sindacati il processo di partecipazione e i processi
democratici, costruendo il sindacato a partire dai luoghi di lavoro. L’Fsm è
stato per queste ragioni un momento di questa
ricerca, ha sollecitato l’interesse di sindacati diversi, con grande voglia di confronto e
discussione: seminari e assemblee sindacali, erano gremiti: quelli della Fism
e della Fiom, come le tavole rotonde e la conferenza plenaria promossa dalla
Cisl internazionale. Particolarmente vivace e partecipata è stata la
manifestazione promossa dalla Fism e dal sindacato dei trasporti che si è
conclusa in una grandissima (3.000 persone) assemblea, dove si sono susseguiti
interventi di dirigenti sindacali di tutti i paesi e che ha particolarmente
emozionato con una rappresentazione teatrale contro il lavoro minorile
realizzata da decine di bambini. Ed
è capitato anche questo: nel seminario
organizzato dalla Fiom con sindacati sudcoreani (Kmwf),
brasiliani (Cnm-Cut) e
sudafricani (Numsa), sulle lotte del lavoro, e i rapporti tra sindacati e
movimenti, era invitata a parlare anche una delle fondatrici di una delle due
grandi associazioni nazionali di donne indiane, National
Women Alliance, presente nella marcia mondiale delle donne. Shashi Shail è
arrivata con 25 giovani donne che lavorano nel settore informale “È
importante che anche loro partecipino, anche se non sanno l’inglese” È
stata davvero una bella sorpresa vedere un terzo della sala occupato dai loro
sari multicolori e il seminario è finito un’ora dopo, perché Shail ha
tradotto in hindi tutti gli interventi! In realtà il settore cosiddetto informale o non organizzato ha, nonostante il peso dell’industria e degli altri settori di lavoro, un’importanza notevole: anzi Shashi spiega che esso è in aumento con la chiusura delle grandi fabbriche o la loro drastica riduzione: e le donne sono occupate in questo settore a migliaia. Già oltre 20 anni fa proprio in India venne fondata un’Associazione, tuttora esistente e molto cresciuta, dal nome Sewa: Self employed women association. L’idea fondamentale e brillante – tanto che adesso l’associazione è fortemente sponsorizzata dall’agenzia delle Nazioni unite – era quella di autorganizzarsi per dare dignità al proprio lavoro, difendere i propri diritti, ma anche creare nuovo lavoro (cooperative) e trovare fonti di credito (banca delle donne). AdivasiGli
adivasi sono gli “indigeni” abitanti di terre da cui vengono sfollati
per diverse ragioni. Nel caso che ci racconta un rappresentante di Ekta Parishad,
organizzazione sociale di 150.000 iscritti, basta sui princìpi gandhiani della
non violenza nella lotta per riprendere il controllo sulla terra e le risorse
naturali, vengono cacciati e costretti a vivere in baracche ai margini delle
città, da un progetto della Banca mondiale di “ecoturismo”, che punta a
costruire in quelle terre e foreste santuari naturali e oasi protette. Gli adivasi
sono 1.500.000, presenti un po’ in tutte le regioni dell’India e
insieme ad altre organizzazioni indiane chiedono la partecipazione
popolare nella richiesta di riforma agraria che assicuri l’integrazione della
terra nelle politiche macroeconomiche del paese. “La terra è vita e un
diritto umano fondamentale – ci dice il rappresentante di Ekta Parishad. Ha
chiesto (tramite una ong italiana che lavora con loro da anni) di parlare con
rappresentanti di sindacati europei, perché “siamo certi che voi capiate e
che il nostro messaggio politico non vi faccia paura, cosa che invece spesso
avviene con le ong”. Ai sindacati europei, in particolare, chiediamo diverse cose: l’invio di gruppi di osservatori internazionali che possano verificare e raccontare quello che succede in merito all’esproprio delle terre e alla cacciata dei loro abitanti; dato che in molti casi sono aziende multinazionali a intervenire per utilizzare la terra, scacciando le persone, chiediamo che il concetto e principio di responsabilità sociale delle aziende venga fatto applicare anche qui; chiediamo di sostenere la nostra campagna in tutti i modi possibili e infine un sostegno economico per realizzare piani di formazione per i giovani e poter ricorrere ad aiuto legale.” Salaam
Bombay! - seconda parte Intervento di Mumbai (Bombay) del Segretario nazionale Giorgio Cremaschi. |