16 - 21 gennaio 2004 forum sociale mondiale in India

 

Intervento al Forum Sociale Mondiale di Mumbai (Bombay) del Segretario nazionale Giorgio Cremaschi.

All’incontro hanno partecipato il sindacato metalmeccanico brasiliano, quello sudafricano, quello della Corea del Sud, una rappresentante indiana della Marcia mondiale delle donne, Vittorio Agnoletto e un rappresentante di Legambiente. L’incontro è stato coordinato da Alessandra Mecozzi, e concluso da Carla Coletti della Fism.

 

“Prima di tutto vorrei affermare in modo un po’ semplificato, che la globalizzazione è prima di tutto il più efficiente ed esteso sistema di sfruttamento dei lavoratori in tutto il mondo.

L’obiettivo della globalizzazione è mettere in competizione l’un l’altro tutti i lavoratori, questo al fine di ottenere la riduzione delle paghe, dei diritti e del potere di contrattazione collettiva.

I sindacati in tutto il mondo sono sotto attacco, così come sono sotto attacco i diritti sociali e le conquiste del welfare, in quei paesi ove queste conquiste si sono realizzate.

In Italia il Governo di destra e liberista del multimiliardario Silvio Berlusconi ha promosso una serie di leggi che hanno fatto dell’Italia, secondo le stesse parole del Presidente del Consiglio, il paese con la più ampia flessibilità del lavoro nel mondo occidentale. Allo stesso tempo è stata varata una legislazione restrittiva e punitiva contro i migranti. Ma se questa è la situazione italiana, anche altri governi europei stanno cercando di ridimensionare il potere e i diritti della classe lavoratrice, compresi i governi di centro-sinistra. Questo avviene in Germania, ad esempio, per non parlare del liberismo del governo Blair.

Allora che cosa devono fare in questa situazione le organizzazioni sociali e i sindacati?

Una via è quella di accettare nei fatti la globalizzazione e cercare di ritagliarsi un ruolo, una posizione all’interno di essa. Il prezzo di questa scelta, ove e se sia possibile, è quello di rinunciare al principio dell’eguaglianza dei diritti tra tutto il mondo del lavoro.

L’aziendalismo e la comunità di impresa, la contrattazione collettiva e gli accordi salariali stipulati per una sempre più ristretta minoranza dei lavoratori, l’accettazione della messa in competizione delle persone, delle fabbriche, dei territori, costituiscono il prezzo che deve pagare il sindacato per essere coinvolto nella globalizzazione.

Questa strada porta al declino progressivo dell’organizzazione sindacale, mettendone in discussione gli stessi valori fondanti. L’altra via, difficile da costruire e da portare avanti, è quella di scegliere un punto di vista, una linea politica e rivendicativa, una pratica, che siano contro ed alternative rispetto alla globalizzazione e ai suoi effetti. La nostra organizzazione, la Fiom, in questi anni ha compiuto questa scelta.

Noi siamo andati a Genova, durante il G8, assieme ai movimenti. Noi partecipiamo fino in fondo al movimento che si batte contro la guerra in Iraq. E, naturalmente, noi lottiamo, a volte anche in conflitto con le altre organizzazioni sindacali, contro la globalizzazione, la sua politica, i suoi effetti. Il che significa in Italia lottare contro le scelte del Governo e le posizioni della Confindustria, la principale associazione degli industriali. Il 7 di novembre 2003 duecentomila metalmeccanici hanno manifestato a Roma, in uno sciopero generale della categoria, assieme ai movimenti che lottano contro la globalizzazione.

Per noi la scelta di essere parte dei movimenti sociali è contemporaneamente una necessità e un’opportunità. Abbiamo bisogno di un nuovo approccio culturale a tutto quanto coinvolge la condizione di lavoro. Abbiamo bisogno di un punto di vista alternativo, sia sul piano economico, sia su quello sociale, rispetto alle ideologie liberiste prevalenti. Insomma abbiamo bisogno di cultura: il primo terreno di lotta contro la globalizzazione è proprio quello della cultura.

E’ necessaria una nuova solidarietà internazionale fondata sul principio che a uguale lavoro devono corrispondere eguali diritti ed eguali salari, ovunque. Se le multinazionali sono libere di spostarsi ovunque, cosa che invece viene impedita alle persone, alla ricerca delle migliori condizioni di sfruttamento. Se gli stati diventano agenti della competizione e rinunciano alle funzioni di tutela sociale. Se non è possibile una politica di investimenti atta a creare uno sviluppo equilibrato e più giusto, allora siamo sotto il più brutale dominio delle forze del capitale.

Dobbiamo allora riequilibrare i rapporti di forza sia sul piano della lotta sindacale, sia su quello dei programmi economici e sociali. Per fare questo i sindacati devono rinnovare e cambiare profondamente la loro pratica e la loro cultura. Occorre una nuova cultura e una nuova pratica nella costruzione dell’unità del mondo del lavoro, che superi antiche frontiere e nuovi steccati. Così come è indispensabile l’apertura del sindacato ai movimenti sociali e alle loro pratiche. Nel passato i nostri padri proclamarono le giornate internazionali di lotta per ottenere le 8 ore, noi non siamo oggi arrivati a quel punto. Ma quella lotta ci indica la strada da percorrere. Quando tutti i lavoratori dipendenti nello stesso gruppo, in ogni paese, riusciranno a lottare assieme di fronte a un processo di ristrutturazione, avremo fatto un vero passo avanti. Così come lo avremo fatto quando i sindacati e i movimenti costruiranno grandi momenti di mobilitazione comune. L’unità transnazionale tra i lavoratori e quella tra sindacati e movimenti sono le nuove frontiere del rinnovamento sindacale.

L’esperienza eccezionale di questo Forum ci dimostra che è possibile darci obiettivi ambiziosi e ragionare seriamente, anche dal punto di vista dell’organizzazione sindacale, su come costruire un altro mondo possibile.


Salaam Bombay! - prima parte - di Alessandra Mecozzi

Forum sociale mondiale in India

www.wsfindia.org