Assemblea annuale Federacciai: nessuna idea innovativa per sostenere la siderurgia

 

Nella recente assemblea nazionale di Federacciai, il Presidente Giuseppe Pasini ha delineato un quadro di analisi e di proposte molto tradizionale, che, a nostro parere, non introduce nessuna idea innovativa per le prospettive e le necessarie azioni di politica industriale del settore. (vedi allegato)

Abbiamo l’impressione che la sintesi trovata nell’assemblea di Federacciai, tra il complesso delle aziende aderenti, sia stata costruita al livello più basso, senza affrontare le contraddizioni interne, sostenendo posizioni arretrate anche in contrasto con comportamenti e scelte, ben più virtuosi, che molte aziende siderurgiche italiane stanno praticando.

Una prima questione riguarda il rapporto col sindacato, nella relazione del Presidente semplicemente non viene citato alcun rapporto. Per quanto riguarda gli effetti e la gestione della crisi e l’impatto sull’occupazione si parla di “grandi sforzi da parte delle aziende per non scaricare sui lavoratori il peso della crisi”, dimenticando che nella stragrande maggioranza delle aziende siderurgiche solo con il confronto col sindacato è stato possibile trovare le migliori soluzioni, utilizzando tutti gli ammortizzatori sociali, incluso i contratti di solidarietà, e le migliori soluzioni organizzative per il miglior utilizzo degli impianti, anche tenendo conto dell’incidenza dei costi energetici.

Sulle altre questioni affrontate dalla relazione e dai materiali allegati (vedi allegati  1 | 2 | 3 ) ci permettiamo di interloquire criticamente con nostre considerazioni.

Ai dati riportati, che dimostrano una ripresa inferiore della produzione siderurgica italiana rispetto all’Europa, va aggiunto che l’Italia continua ad essere un importatore netto di acciaio, in particolare di prodotti piani, e non solo per prodotti a più basso valore aggiunto, dove il fattore prezzo (in particolare per la Cina e altri paesi emergenti) è determinante, ma anche per prodotti di più alta qualità.

Per quanto riguarda poi le importazioni dalla Cina, e da altri paesi emergenti, sarebbe necessario andare oltre i luoghi comuni.

Le statistiche mettono in evidenza che gran parte delle importazioni riguardano prodotti di notevole qualità (es. laminati a freddo, prodotti rivestiti) e non solo prodotti di bassa qualità competitivi sulla base del prezzo. Il problema è che l’acciaio d’importazione non lo compra “la massaia” al mercato, ma importanti operatori siderurgici italiani ed europei che fanno parte delle varie associazioni dei siderurgici. Se gli utilizzatori italiani ed europei di acciaio sono sempre più orientati verso fonti di approvvigionamento all’esterno dell’Unione Europea questo dovrebbe porre la necessità di una politica industriale che armonizzi le necessita dei produttori con quelle dei consumatori, entrambi attori fondamentali delle catene del valore nel campo dei settori utilizzatori di acciaio.

Pertanto se si vuole sul serio difendere la capacità produttiva della siderurgia italiana ed europea (ormai assolutamente integrate, in quanto sia gli operatori italiani hanno ormai stabilimenti e mercati europei e globali, e lo stesso vale per gli operatori stranieri che operano in Italia), servirebbero scelte di politica industriale coerenti che, i singoli Governi e l’Unione Europea, assieme alle Associazioni imprenditoriali italiane ed Europee, dovrebbero mettere in atto.

Ripetere stancamente: che servono astratte misure antidumping (quando sono alcuni degli stessi operatori siderurgici che le saltano); che c’è il problema energetico, da risolvere col rilancio del nucleare; che occorre abbassare la soglia dei vincoli ambientali; non è una politica industriale innovativa, ma semplicemente galleggiare sull’esistente.

Alcune misure antidumping per contrastare le barriere al libero commercio e misure protezionistiche di vario genere attuate da alcuni paesi extraeuropei, sono necessarie, ma bisognerebbe accogliere in positivo le sfide poste dall’attuale situazione economica con politiche di ricerca e innovazione, di risparmio ed efficienza energetica e di miglioramento della compatibilità ambientale nei processi e nei prodotti siderurgici.

La questione dell’efficientamento energetico è un problema sul quale anche in Italia si può ancora intervenire (il recente provvedimento sull’interconnector è una misura importante), ma molto si può ancora fare in termini di aumento dell’efficienza energetica. Per quanto riguarda il nucleare, al di là da considerazioni più generali sulla sua pericolosità, è bene sapere che, sia per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico per la siderurgia, sia per quanto riguarda la necessità di prodotti siderurgici per la realizzazione degli impianti, i tempi sarebbero talmente lunghi che non porterebbero alcun beneficio all’attuale contingenza del mercato siderurgico.

Per quanto riguarda le questioni ambientali, ritorniamo alle vicende in discussione ormai da anni in Europa e a livello globale: se si pensa di avere vantaggi competitivi portando verso il basso la soglia dei vincoli ambientali, si avvantaggia chi di vincoli ne ha meno, mentre invece, come sta tentando di fare l’Europa, si tratterebbe di costringere i paesi meno virtuosi ad alzare la soglia (come si sta tentando, se pur con scarso successo, di operare in tutti i contesti internazionali).

Dall’assemblea di Federacciai dello scorso anno è stata istituita la pratica della presentazione del rapporto ambientale, pratica ripetuta anche quest’anno, (vedi allegati  1 | 2 | 3 | 4).

Si tratta indubbiamente di una iniziativa interessante dove vengono esposti i principi generali sulla sostenibilità ambientale e la necessità di adeguamento dei cicli siderurgici per attenuare tutti gli impatti ambientali così come previsto dalla normativa italiana e dagli impegni della direttiva europea sul clima.

Peccato che le affermazioni della relazione del Presidente contestino gli obiettivi della direttiva europea e chiedano espressamente di rivederne i meccanismi.

Molto interessante la ricerca, presentata all’assemblea da Renato Mannheimer, “sulla reputazione e l’immagine del comparto siderurgico in Italia” (vedi allegato), che in estrema sintesi parla di un comparto siderurgico che ad oggi fa i conti con:

  • un’immagine solida, per quanto anche piuttosto ambivalente e con importanti questioni da affrontare e in qualche modo da risolvere

  • un sedimentato di percezioni che ne fanno un comparto tutt’altro che obsoleto, se è vero che le strategie per il futuro indicate dai nostri qualificati top opinion riguardano soprattutto: innovazione - di prodotto e di processi – sicurezza e qualità, che, nel settore siderurgico, è come dire sostenibilità ambientale

  • una sfida, che è poi la sfida per l’eccellenza, della competitività globale

  • una richiesta di maggiore comunicazione verso l’esterno

  • una opinione pubblica non necessariamente molto informata ma sicuramente ben disposta: che dimostra infatti una notevole familiarità con il tema acciaio, e che teme l’acciaio molto meno di altri comparti (come ad esempio quello chimico).

Sono conclusioni che dovrebbero far riflettere tutti, a partire da Federacciai.

La questione non toccata da Federacciai è quella della innovazione e della qualità dei prodotti siderurgici, se si denuncia giustamente una sovracapacità produttiva questa non è spalmata equamente su tutte le tipologie di prodotto. Ci sono alcune tipologie, a più alto valore aggiunto, che hanno margini di crescita, altre invece no, ma non si può lasciare al libero gioco del mercato, la loro “regolazione”, serve una qualche forma di “programmazione”, servono politiche integrate, che ormai devono essere necessariamente a livello europeo, con un ruolo determinante dei Governi e uno stretto coinvolgimento delle associazioni imprenditoriali. Qui il Governo Italiano, assieme a quelli europei, può svolgere un ruolo che invece non si vede.

Nel momento in cui si ritorna a parlare di necessità di “consolidamento” della siderurgia europea (che significa tagliare parte della capacità produttiva, a partire dagli impianti meno efficienti) le esperienze migliori delle politiche della CECA e da ultimo le stesse misure prese per la riorganizzazione del settore siderurgico dall’1989, potrebbero essere un riferimento di cui avvalersi. Anche se oggi il problema è soprattutto la qualificazione e l’innovazione del settore siderurgico.

Da questo punto di vista, alcune scelte fatte a livello europeo con il pieno coinvolgimento di Eurofer come la piattaforma tecnologica europea dell’acciaio, ESTEP; le dichiarazioni congiunte tra Eurofer e FEM sui cambiamenti climatici, vanno nella giusta direzione, ma in Italia siamo in notevole ritardo. Vale solo ricordare che quello che avrebbe dovuto essere lo sviluppo italiano della piattaforma tecnologica europea, ossia la piattaforma ACIES (Acciaio Competitivo Intelligente e Sostenibile) presentato all’assemblea di Federacciai dello scorso anno, non è neppure citato nella relazione di quest’anno.

Serve un intervento del Governo per costruire linee di politica industriale per il settore. L’osservatorio siderurgico, costituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico, non può continuare ad essere soprattutto il luogo della contabilità ragionieristica e delle lamentele sulla penetrazione del mercato italiano di prodotti di importazione, non è sufficiente parlare solo dei, pur necessari, controlli radiometrici alle frontiere, ma deve essere un luogo dove si elabora la politica industriale del settore, coinvolgendo tutte le parti interessate, e dove se ne verifica periodicamente lo stato di attuazione sulla base di parametri chiari e comprensibili.

Da tempo abbiamo chiesto al Governo Italiano di convocare un Tavolo sulla siderurgia, che vada oltre il confronto nell’ambito dell’Osservatorio siderurgico per indicare alcune linee di politica industriale per il settore, che sostanzino l’affermazione che si vuole difendere la capacità produttiva della siderurgia italiana, con alcune misure vincolanti per tutti gli operatori del settore.

 

Fiom Nazionale

21 luglio 2010