“la
pace in medio oriente e il diritto alla pace dei popoli”
Conferenza
internazionale promossa dalla Piattaforma per la democrazia di
Diyarbakir
Diyarbakir,
28-30 maggio 2005
Dal
28 al 30 maggio si è tenuta a Diyarbakir una Conferenza (di cui
pubblichiamo qui sotto la risoluzione conclusiva) a cui hanno
partecipato circa 200 persone provenienti da associazioni o
singoli, di origine curda, turca e da diversi paesi dell’Europa
e del Medio Oriente. E’ la prima Conferenza di questo tipo,
promossa dalla Piattaforma per la Democrazia di Diyarbakir, una
importante iniziativa politica nata nel 1993, che riunisce diverse
associazioni, ong, sindacati, municipalità, singoli. La
Conferenza si è svolta in più sessioni, con gruppi di relazioni
e si è conclusa con mezza giornata di dibattito aperto, dominato
da due interventi particolarmente significativi ed emozionanti:
quello di una giovane donna, uscita recentemente di prigione, in
cui era finita per aver fatto parte di una delegazione recatasi ad
Ankara, dopo la decisione politica di porre fine alla lotta armata
(2000), per portare questo messaggio; l’altro intervento quello
di una anziana “madre per la pace”, che ha perso quattro figli
e una figlia negli scontri con l’esercito turco sulle montagne,
ed è attivamente impegnata nel movimento per la pace.
La
Risoluzione finale è stata presentata dal Sindaco di Diyarbakir.
Risoluzione
conclusiva
La
Conferenza Pace in Medio Oriente e il diritto alla pace dei popoli
che si è tenuta a Diyarbakir, con il contributo del Comune di
Diyarbakir, ha visto la partecipazione di molti accademici,
politici, scrittori, giornalisti e esperti di vari paesi. Durante
la Conferenza e in quel contesto sono stati discussi e confrontati
punti di vista, approcci, suggerimenti e possibili soluzioni alle
questioni curda e palestinese. Relatori e partecipanti hanno
espresso le loro opinioni nel seguente quadr:
Il
Medio oriente è dominato da un grande sommovimento. La regione è
sull’orlo di nuovi cambiamenti e trasformazioni. Il caos che
circonda le popolazioni qui si sta espandendo creando sue proprie
dinamiche. Se il caos si deve trasformare in stabilità, il
conflitto in pace, la tensione in riconciliazione, la
polarizzazione in dialogo, allora le parti devono reciprocamente
comprendere “gli altri” e rinunciare in parte ai propri punti
di vista e approcci. Questo è il prerequisito per una pace a più
dimensioni e onnicomprensiva. La pace non è solo il cessate il
fuoco. La cornice della pace deve essere accuratamente
identificata, le basi devono essere poste solidamente. Le
posizioni ambigue si debbono chiarire e con questo dovrebbe
svilupparsi una strategia di pace. Solo facendo questo le
richieste di pace potranno raggiungere le sedi internazionali e
non rimarranno più regionali. Politiche internazionali in Medio
oriente possono essere messe in opera solo attraverso la
consultazione con le popolazii che vi abitano: tutti i soggetti,
le parti, le controparti o i rappresentanti del problema. Nessun
movimento politico o culturale che non abbia origine nella regione
può portare una soluzione adeguata alla questione della regione.
Quindi la soluzione deve arrivare dagli stessi popoli del Medio
Oriente.
I
politici al Governo o gli esperti di politica che attualmente
dovrebbero essere gli interlocutori delle parti coinvolte nella
questione dovrebbero evitare di far pesare il costo dei conflitti
interni che hanno luogo nella capitale sulle proprie popolazioni.
Tuttavia l’attuale “pace negativa” appare una opportunità
ad uno stadio immobile; l’obiettivo principale sembra essere
quello di coprire le cause che sottostanno al conflitto e di
nascondere i meriti del conflitto stesso. Perciò è una grande
minaccia per il futuro. Soluzioni temporanee, una logica di rinvio
dei passi necessari non porteranno ad alcuna soluzione. Il cessate
il fuoco, una situazione senza conflitto non può essere
considerata una situazione di pace. Le parti attive e passive del
conflitto devono considerare il passato da una prospettiva
oggettiva; dovrebbero criticare se stessi; devono imparare a come
comprendere la posizione dell’altra parte e questi devono essere
i primi passi da fare verso una soluzione del problema cronico.
La
questione curda e quella palestinese hanno aspetti simili, ma
anche molte differenze. Nei paesi in cui la questione curda è all’ordine
del giorno (Turchia, Siria, Iraq, Iran) si sono sviluppati metodi diversi per trovare una soluzione.
Il modello di un paese non può essere adottato così com’è in
un altro paese. Dobbiamo evitare le copie; bisogna sviluppare
metodi realisti e creativi per una soluzione stabile che prenda in
considerazione le realtà della vita. Cause e risultati degli
interventi esterni sul Medio oriente devono essere accuratamente
analizzati; le parti interessate nella regione e i decisori
politici devono essere capaci di trarre lezioni dalla storia
recente.
Recentemente
in Turchia la tensione si è alzata ed è emersa la minaccia di
conflitto; ciò è dovuto al fallimento del passaggio dalla “pace
negativa” alla pace positiva. Tuttavia, l’uscita di gruppi
armati dal paese e cinque anni senza conflitto hanno introdotto
una opportunità storica per negoziati democratici sulla questione
curda e per una sua soluzione pacifica. Il punto di partenza deve
essere: una Nazione comune non può essere creata con la
negazione. Indipendentemente dalla origine etnica, la cultura
politica dovrebbe garantire la libertà ai suoi cittadini. Se
questo non avviene non possiamo dire che la cultura politica è
libera e indipendente. Questa deve essere la lezione più
importante tratta dal passato. Devono essere create le condizioni
sociali e politiche per una soluzione democratica che sarà all’interno
del’unità della Turchia, democratica e senza armi. Le forze
armate devono lasciare le armi definitivamente e deve essere
garantito il loro coinvolgimento e partecipazione nella vita
sociale.
Intervento
di Alessandra Mecozzi, responsabile internazionale Fiom-Cgil.
“ Il ruolo dei movimenti sociali nei movimenti per la pace e nel
Forum Sociale Mondiale” |