Carovana Medio Oriente - Iran - 15/25 marzo 2004

 

 

La delegazione era composta da 10 persone: l Cgil, 2 avvocati dell'Associazione Giuristi Democratici, 1 medico, 1 giornalista (Arci), 2 Ya Basta, 1 sin.cobas, 1 parlamentare Verdi e la sottoscritta per la Fiom.

La missione era parte della Carovana Medio Oriente decisa nel gruppo di continuità italiano del Forum Sociale Europeo e presentata al Forum Europeo di Parigi e a quello mondiale di Mumbai, nell'ambito della mobilitazione in occasione del 20 marzo, giornata mondiale contro le guerre e l'occupazione dell'Iraq e della Palestina, per la pace in Medio Oriente.

Le altre parti della Carovana si sono recate, circa nello stesso periodo (14-25 marzo),in PALESTINA/ISRAELE, KURDISTAN/TURCHIA. La parte verso l'Iraq è stata sospesa all'ultimo momento per ragioni di sicurezza.
Il resoconto che viene pubblicato contiene il risultato di tutti gli incontri fatti, sia in piccoli gruppi (quando non era possibile fare altrimenti su richiesta di coloro che andavamo ad incontrare), sia con tutto il gruppo, sia da me individualmente nei due giorni in più in cui sono rimasta, dopo la partenza degli altri 9 il giorno 23.

 


Alessandra Mecozzi
Responsabile Internazionale Fiom-Cgil

 

CAROVANA IRAN

L’Iran è stato scelto come “novità” per la Carovana Medio Oriente, senza alcun precedente contatto, per la importanza di questo paese in un’area dove guerra e occupazione militare sono la centralità ed esso stesso, inserito dal governo degli Stati Uniti, nell’”asse del male”, è stato più volte minacciato (si tratta di un altro paese ricchissimo di petrolio!). Costruire politiche di opposizione alla guerra e di pace in medio oriente per il movimento richiede una conoscenza e un rapporto con quella società civile che ha mostrato e mostra una forte vitalità. Abbiamo ottenuto il risultato di conoscere e sapere un po’ di più, di stabilire contatti, sia pure in un paese sostanzialmente isolato dal punto di vista della comunicazione con i movimenti mondiali. Il nostro interesse è stato contraccambiato: abbiamo adesso dunque nuovo lavoro da fare per rendere più solidi quei sottili legami costruiti lì, per mostrare attraverso lo scambio un “occidente”alternativo a modelli prevalenti che rischiano di apparire come gli unici desiderabili per chi lì vuole un cambiamento, per combattere stereotipi e pregiudizi sulla “società islamica”, per continuare il nostro camminare domandando: come si riflette in Iran la minaccia militare Usa adesso alle porte di casa? In che modo i movimenti degli studenti, delle donne, della società civile si relazionano (o no) con i movimenti mondiali per la pace, contro il neoliberismo? Qual è la dinamica tra società e politica in un sistema in cui si intrecciano istituzionalmente Stato e religione, con una lotta tra “conservatori” e “riformatori”, di cui conosciamo ben poco la sostanza?….

Questo resoconto vuol mettere in comune un’esperienza e sollecitare in tal modo anche altri/e a questo nuovo lavoro: troverete il risultato dei nostri incontri, svoltisi nella difficoltà del periodo festivo e della necessaria riservatezza, dato il clima repressivo, dei nostri interlocutori e interlocutrici.E’ la ragione per cui non facciamo nessun nome di coloro che abbiamo incontrato: giornalisti/e, studenti, docenti universitari/e, avvocati, attivisti ong, interpreti, moglie di un giornalista detenuto. L’ambasciatore italiano ci ha gentilmente ricevuti il primo giorno dandoci informazioni molto utili.

 

SGUARDO D’INSIEME

Arriviamo nella fase immediatamente post-elezioni, in cui si è espresso un massiccio astensionismo in risposta  all’appello dei 125 deputati riformatori dimessisi, a causa dell’esclusione dalle liste delle candidature da parte del Consiglio dei guardiani. L’appello ha invitato al boicottaggio delle elezioni dichiarandole illegittime. A Tehran il tasso di votanti è stato molto basso, non oltre il 30 per cento e circa 15% l’appoggio ai conservatori, che nessuno vuol chiamare fondamentalisti islamici, se mai tradizionalisti, per non confonderli con il  fondamentalismo islamico a livello mondiale spesso identificato con il terrorismo. L’atteggiamento attuale dei conservatori è stato durante la campagna elettorale e adesso a maggior ragione di  proclamarsi essi stessi i veri riformatori e puntare a dire e fare ciò che essi stessi hanno impedito di dire e fare al  presidente Khatami (“Hanno vinto dicendo le stesse cose che diciamo noi” ci è stato più volte detto). Ad esempio è stato molto sottolineato come lo stesso governo locale di Tehran, attualmente di destra, abbia dato impulso (mentre negli anni precedenti i conservatori avevano represso), alla festa della vigilia dell’ultimo mercoledì dell’anno, che si celebra in modo analogo al 31 dicembre da noi, con fuochi di artificio, petardi, e gente nelle strade. E’ una festa abitualmente repressa perché esterna alla tradizione islamica: è infatti di origine zoroastriana (comunità religiosa presente nella città di Yazd), caratterizzata, come quella religione, dal simbolo del  fuoco. Vengono fatti falò nelle strade e nei giardini delle case.  Ma, al di là di questi aspetti più folcloristici, a cui viene tuttavia attribuito grande significato, altra novità che fino a ieri sembrava impossibile, è l’ avvicinamento agli Stati Uniti (definiti per anni il Grande Satana, come si può leggere sui murales che circondano l' ex ambasciata americana o “nido di spie” come oggi viene chiamata, dove vennero nel 1980 tenuti in ostaggio da studenti islamici cittadini americani), evidente nell’atteggiamento nei confronti delle ispezioni internazionali relative alle armi nucleari e dalla firma del protocollo aggiuntivo. Del resto sembra che questo sia ampiamente condiviso, secondo alcuni sondaggi tuttavia non resi pubblici, da buona parte della popolazione. C’è invece un atteggiamento fortemente avverso a Israele, non riconosciuto ancora come Stato dall’Iran, che ha invece riconosciuto il Governo provvisorio iracheno. Sui diritti umani la situazione, pur migliorata rispetto a 20 anni fa, è in regressione rispetto a pochi anni fa e alle aperture di Khatami: nel mirino ci sono i giornalisti, negli ultimi anni sono stati chiusi ben 100 giornali, studenti, attivisti per i diritti umani.

Sul versante diritti umani è stata, in particolare da alcuni avvocati e Shirine Ebadi, costituita una ong Commissione per i diritti umani. La Repubblica Islamica si muove su due terreni: repressione dei diritti umani e civili e gestione dell’economia che consente sia una certa distribuzione del reddito che uno stato sociale. Ma la società civile composta al 70% di giovani sotto i 30 anni e di donne estremamente attive in tutti i settori (67% della popolazione universitaria), che non ha vissuto la Rivoluzione Islamica del 1979, ed è nata durante la guerra con l’Iraq (1980-1988) è disincantata e stufa di un sistema sostanzialmente bloccato, anche a causa della guerra stessa. Questo, insieme al milione di morti che essa ha provocato, non di rado giovanissimi, fa sì che l’atteggiamento nei confronti della  guerra e occupazione statunitense dell’Iraq susciti concisi commenti relativi alla necessità che l’occupazione finisca e che gli iracheni possano decidere da soli del proprio futuro, non molto di più. L’odio per il regime di Saddam Hussein che quella guerra ha scatenato era fortissimo, grande la soddisfazione per la sua caduta.

 

INVESTIRE NELLA SOCIETA’ CIVILE

DONNE

Il risultato elettorale e tutto ciò che l’ha preceduto spinge oggi anche il mondo politico (in particolare il Partito della partecipazione, Musharakat, del fratello del presidente Khatami) a considerare la necessità di un maggior lavoro all’interno della società civile, e questa,  ad intensificare la propria attività nella autorganizzazione attraverso la formazione di ong (molte associazioni sono governative, tutte devono essere comunque riconosciute dal Governo) e soprattutto il tentativo di loro coordinamento: è come infatti un arcipelago di isolotti  che lavorano sui diritti, ma senza collegamento tra di loro e con il rischio di scollegamento dalla maggioranza della popolazione. Un punto di particolare attenzione, oltre a quello della libertà di opinione e di stampa, (“c’è libertà, ma non appena questa si esercita nella critica al potere, si finisce in galera”) particolarmente sotto attacco, è quello riguardante le leggi sulle donne: da quella dell’obbligo del velo a quella che non consente il divorzio su richiesta della donna a quella che discrimina la donna con la metà dell’eredità a quella cosiddetta del “prezzo del sangue”, secondo la quale in caso di incidente, il risarcimento che riguarda la donna è la metà di quello che riguarda l’uomo.

A detta di tutte e tutti coloro che abbiamo incontrato le donne sono i soggetti più attivi e coraggiosi in questa società, non solo riguardo alla situazione delle donne, ma come influenza generale nei confronti di una visione tradizionalista dei conservatori che da 6 anni oppongono a questa espressione una forte resistenza. Le donne si battono per consolidare le libertà sociali e per affermare fondamenti democratici, in sostanza per consolidare una società civile che, diversamente dai religiosi, vuole innovare e modernizzare la religione stessa, rendendola compatibile con la vita moderna. Ma i conservatori vogliono tenersi a tutti i costi il loro potere, sia quello economico sia quello culturale (scuole teologiche): per questo hanno usato anche atti terroristici nel 1999 con l’attacco al dormitorio dell’Università e uccisioni a catena. In conseguenza di questo hanno escluso massicciamente candidati dalle elezioni: prima il Consiglio dei guardiani poteva escludere solo casi limite (per ragioni di moralità o blasfemia), ma nelle ultime elezioni è passato da ruolo di Supervisore a quello di discriminazione politica pesante: quindi c’è stato l’appello dei riformatori per l’astensione e la vittoria dei conservatori, che però non possono non corrispondere in qualche modo alle aspettative create diffusamente dai riformatori: perciò potenziano l’assistenza sociale contro la povertà, permettono la celebrazione di feste non islamiche, aprono negoziati con gli Stati Uniti, tendono in sostanza ad aumentare le libertà sociali per distogliere la gente dalla politica: per esempio alleggerire l’obbligo del velo, rimuovendolo in una prima fase per le minoranze religiose e le donne straniere, togliere la proibizione dell’alcool per la comunità armena (che produce vino!), insomma si occuperanno di più di permettere alla gente di divertirsi e consumare, per distoglierla dalla scena politica.

Zanan é il primo mensile femminista iraniano nato 12 anni fa che stampa fino a 4000 copie e tratta di politica, società, cultura, arte, letteratura; dopo la sua nascita se ne sono aperti altri: il primo passo importante per le donne è stato ottenere di essere chiamate con il loro nome (fino a 100 anni fa non esistevano proprio). L’occidentalizzazione forzata imposta dallo Shah non attecchì, se non in ristrette elites: comunque le famiglie impedivano alle donne di uscire. Solo con la rivoluzione islamica è stato possibile alle donne uscire, andare a scuola, lavorare. In poco più di 20 anni l’analfabetismo delle donne si è ridotto quasi a zero. Divieti ce ne sono ancora, come quello di studiare ingegneria mineraria o di fare il giudice, ma le donne sono decisamente il soggetto determinante dal punto di vista degli orientamenti politici dei partiti: tutti ne devono tener conto. Adesso i conservatori dicono che faranno leggi a favore delle donne, le stesse che hanno impedito di fare ai riformatori, che sono andati troppo piano (è il giudizio di molti nostri interlocutori): le idee femministe sono entrate anche nelle famiglie più tradizionaliste, il movimento continua a lavorare, anche se a fari spenti. Le donne sono molto più avanti delle leggi.

C’è chi commenta che il movimento femminista in Iran vuol copiare l’Occidente, ma riconosce che dopo la rivoluzione tutte le donne iraniane hanno educato i propri figli per andare all’Università, anche se il sesso rimane un tabù di questa società e soprattutto della famiglia. Ci sono ben 400 ong di donne, per il 70% finanziate dallo Stato: ci si batte perché sia ratificata la convenzione CEDAW, quella contro ogni discriminazione delle donne, in una società in cui il patriarcato ha pesantemente influito sulle leggi. E’ molto visibile il fatto che le donne danno una relativa importanza all’obbligo di velo, ma molto alla propria posizione professionale; dei 2 milioni di lavoratori e lavoratrici che tessono i tappeti il 70 per cento sono donne e sono un milione le capofamiglia, che lavorano a domicilio. Anche il divieto di divorzio per le donne (bisogna sempre tener presente che parte della Sharia entra nelle leggi civili dello Stato) viene in qualche modo alleggerito dal fatto che la coppia può stipulare un accordo, al momento del matrimonio, in cui si prevede la possibilità per la donna di chiedere il divorzio.

Molte donne non si definiscono femministe, ma agiscono come tali: è il caso di molte donne di dichiarata professione islamica, anche figure pubbliche importanti: è un paese dove comunque le donne oggi vengono rispettate, studiano medicina, ingegneria: soprattutto le giovani hanno un forte potere contrattuale e se la cavano bene, molte vivono da sole, lavorano molto, anche se sovente il loro lavoro non compare nelle stime ufficiali (per esempio il cucito, o l’organizzazione delle feste…). C’è una immagine esteriore che è spesso molto diversa dalla realtà. La comunicazione via internet è essenziale.

L’Iran è al terzo posto nel mondo per quantità di web-blog (siti personali). Lo stesso vicepresidente ne ha uno in cui dichiara la propria volontà di esprimersi da cittadino e non come figura istituzionale: si tratta di uno spazio pubblico virtuale molto usato. Diversi sono i siti delle associazioni femministe.

 

AVVOCATI

Sono molto attivi gli avvocati (in tutto quasi 4000), molte le donne, difendono anche gratuitamente chi non se lo può permettere: anch’essi sotto attacco tanto da essere uno di loro finito in galera per aver sostenuto nella sua arringa in tribunale i diritti del suo difeso e denunciato i maltrattamenti da lui subiti in carcere. E’ uscito solo grazie al sostegno internazionale (giudice francese in particolare). Dal punto di vista delle leggi, esse possono ampliare o restringere i principi definiti nella Costituzione (ad esempio gli artt. 26 e 27 prevedono libertà di associazione e di manifestazione, ma nei fatti questi non vengono garantiti) e lo stesso potere dei giudici  può esercitarsi ad esempio, come avviene, nel negare il diritto all’imputato detenuto in via preventiva di incontrare il proprio avvocato, cosicché tutte le indagini preliminari si svolgono senza la possibilità di attività dell’avvocato sul fascicolo dell’indagato: è il caso di tre giornalisti del Partito Nazionale Religioso, in carcere da 9 mesi, solo per articoli scritti o discorsi pronunciati, accusati di attentato alla sicurezza nazionale. Inoltre il fermo preventivo è rinnovabile di mese in mese e arriva a superare l’anno: uno degli obiettivi centrali della lotta degli avvocati è quello di poter vedere e parlare con il proprio assistito nel periodo precedente il giudizio: la legge costituzionale dice infatti che gli imputati “possono avere l’avvocato” in questo periodo, ma secondo la legge ordinaria il giudice può decidere di non accettarlo. Dall’inizio della contestazione, degli studenti in particolare, 4 anni fa, la situazione è diventata più difficile: la gente può essere arrestata in qualsiasi momento, senza spiegazioni e senza che le famiglie ne siano informate: gli imputati finiscono spesso in isolamento, vengono picchiati, lasciati al freddo. Quando vengono consentiti i colloqui con i familiari, essi durano circa 15 minuti, ogni due settimane o ogni mese. Punti fondamentali su cui si concentra l’attività della commissione per i diritti umani sono i diritti delle donne, dei bambini, dei detenuti politici, delle minoranze religiose. C’è molto interesse per una attività di sostegno internazionale, soprattutto viene data molta importanza al ruolo della pressione dell’opinione pubblica per riformare il sistema, c’è molta speranza nel ruolo delle società civili nel mondo, non nei governi che definiscono i loro rapporti esclusivamente sulla base di interessi. In questo senso è ritenuto molto utile il premio Nobel dato a Shirine Ebadi proprio per la questione dei diritti umani. Dopo la presidenza Khatami la società civile ha avuto una forte voce nella stampa indipendente, e per questo c’è stata la chiusura massiccia e illegale di molti giornali, l’ultimo “Iassenò” un mese fa, caporedattore un deputato, accusato per aver pubblicato stralci di una lettera di critica dei deputati esclusi dalla ricandidatura, alla Guida Suprema (ayatollah Khamenei). La questione della commistione tra religione e politica è un tabù e c’è sempre grande cautela nell’affrontarlo, ma la sostanza è che non vengono ratificate le convenzioni internazionali, in specie sui diritti umani, e che il Consiglio dei Guardiani ha il potere di abrogare leggi che vengono ritenute in contrasto con i principi islamici. Oltre a questo potere politico, culturale e giudiziario essi detengono il potere militare: quindi il Presidente Khatami non ha un potere sostanziale, e proprio alla fine dell’anno (19 marzo) ha pubblicato una lettera scusandosi per non aver potuto fare di più, ma rifiutandosi di dare le dimissioni. Ha dovuto ritirare una sua proposta di equilibrio di poteri rispetto alla guida suprema.

Finora la condanna più alta per reati politici è stata a 25 anni, ma può arrivare fino alla pena di morte , nel caso ci sia un’accusa di proselitismo, ovvero di cercare di allontanare dalla religione islamica (caso già avvenuto per scrittori di una rivista che aveva criticato l’Islam, ma la esecuzione non ha avuto luogo grazie alla pressione internazionale). Abbiamo trovato consenso a questa scelta di non dimettersi tra la maggior parte di coloro che abbiamo incontrato.

 

UNIVERSITA’

Riusciamo a visitare la grande Università, dopo non poche insistenze della nostra guida verso i custodi, perché sono giorni di festa: altrimenti è proibito l’ingresso agli stranieri. Ovviamente non ci sono studenti: del loro movimento ci parlerà un giovane interlocutore, egli stesso ancora sotto processo, per aver inviato una lettera a Kofi Annan sulla situazione degli studenti nel paese.

L’Ufficio per il consolidamento dell’unità (o associazione islamica degli studenti) è la maggiore organizzazione studentesca quella che ha promosso e gestito la contestazione dal 1999. Se ne è poi aggiunta un’altra, creata dai conservatori, molto vicina alle forze paramilitari, almeno nei suoi dirigenti. La prima associazione fu fondata nell’80, quella degli Studenti della linea dell’Imam, (il nome di Ufficio per il consolidamento dell’Unità venne suggerito proprio da Khomeini che li invitava all’unità), coloro che gestirono la presa di ostaggi nell’ambasciata americana. Poi venne chiusa l’Università per tre anni (cosiddetta rivoluzione culturale!). L’Associazione fu attiva negli anni della guerra, poi ha cominciato a criticare il sistema: la generazione attuale è fuori dalla rivoluzione islamica e fuori dalla guerra (dopo la quale il partito di Rafsanjani si presentò come sostenitore dei tecnocrati della ricostruzione): contro questa tecnocrazia e liberismo si sono espressi buona parte degli studenti, appoggiando Khatami e la sua idea di riforme. Sono scattati gli assassinii politici e la chiusura di giornali: l’Ufficio per il consolidamento dell’unità si è alleato con intellettuali e giornalisti a sostegno di Khatami: la sua influenza politica era così forte che anche i conservatori hanno voluto entrare nell’Ufficio e hanno creato un’altra associazione, Basji, una sorta di emanazione dei pasdaran. Adesso, dopo i circa 8.000 arresti degli anni passati, alcuni leader ancora in prigione: le violenze subite con pestaggi e carcere, la constatazione di scarso sostegno da parte dei politici, la vicenda elettorale che tuttavia nessuno definisce una sconfitta, hanno portato ad una fase di riflessione e ricerca l’insieme del movimento: chi pensa che si debba creare una nuova associazione per la democrazia aperta a tutti, chi pensa che sia più utile il rafforzamento di una associazione studentesca con una propria identità. C’è anche molta incertezza sul prendere contatti con il movimento internazionale; c’è un indebolimento che deriva anche da chiusure al proprio interno, forse da ambizioni politiche di alcuni: sarebbe molto importante che le notizie internazionali, sui forum sociali, sui movimenti arrivassero di più, c’è necessità di apertura, altrimenti, come ci ha detto una giovane docente universitaria, continua la fuga di cervelli di cui sembra che l’Iran abbia il primato nel mondo. E non fuggono solo cervelli, ma chiunque può farlo, perché si sente mortificato nella libertà e nella giustizia. Adesso l’Iran, con la presenza Usa in due paesi confinanti, Iraq e Afghanistan, è un paese chiave sulla scena geopolitica e questo fa riflettere anche questa straordinaria società civile, che si interroga su se stessa, sulla sua immagine esterna, sul ruolo dell’ Europa e quello degli Stati Uniti.

 

ECONOMIA – LAVORO – SINDACATI 

Il sistema economico e sociale è sostanzialmente autoritario-corporativo: numerose fondazioni religiose (Bonyad) controllano il sistema produttivo all’80% (ricchezza maggiore è il petrolio) e la distribuzione del reddito avviene ad opera dei religiosi, (mediamente il reddito è di circa 1.600 dollari anno, vengono pagate pochissime tasse) il che spiega perché anche a sinistra troviamo spesso un atteggiamento favorevole alle privatizzazioni, ma tra i lavoratori (specie del settore del petrolio) che ne vengono inevitabilmente colpiti, prevale l’opposizione e la protesta.. C’è una buona capacità industriale, anche se indebolita dall’embargo degli Stati uniti (dal 1995  gli Usa hanno imposto sanzioni economiche e commerciali), sono inoltre importanti il sistema agroalimentare e quello delle telecomunicazioni (grande diffusione di cellulari).

Dell’argomento si è soprattutto parlato con un economista, autodefinitosi marxista: si tratta di un’economia fortemente statalizzata (la nazionalizzazione del petrolio è del 1951, con Mossadeq). Quanto a politica economica, sembra che il neoliberismo sia il segno principale, sia per conservatori che riformatori. Le privatizzazioni si scontrano con la resistenza della classe operaia, soprattutto nel settore petrolifero, che nonostante l’assenza di un sindacato legale indipendente, conservano la forza per opporsi e la memoria delle grandi lotte in difesa dell’azienda di stato. Si scontrano inoltre con l’assenza di una classe imprenditoriale nazionale, il che vorrebbe dire che privatizzare sarebbe dare le aziende alle famiglie della teocrazia e alle fondazioni religiose, che peraltro già ne hanno il controllo (contraddittorio liberismo!). L’ipotesi liberista porterebbe ad un aumento della già alta disoccupazione (16%, ma non vengono considerati gli studenti né le donne che sono molte nell’economia informale). La situazione economica del paese ci viene descritta come molto difficile, più di quanto si voglia far apparire, e qualcuno ci parla di molte proteste nei luoghi di lavoro, per il mancato percepimento del salario a volte per oltre 3 o 4 mesi. I prezzi aumentano ad un tasso maggiore dell’inflazione ufficiale e ne vengono colpiti soprattutto i consumi popolari; si dice che il 35% della popolazione è al di sotto della soglia di povertà, questo anche perché i riformatori avrebbero favorito le esportazioni anziché lo stato sociale. Allo stesso tempo, il forte tasso annuo di incremento degli  investimenti, in ragione della corruzione, della “familiarizzazione” dell’economia e dei settori dove sono stati indirizzati, ha prodotto il risultato di deprimere contemporaneamente occupazione e produttività del sistema. Il disagio sociale spinge ad un aumento del consumo di droghe (l’Iran confina con l’Afghanistan): ne farebbero uso tra 2 e 3 milioni di persone (un marito tossicodipendente è uno dei rari casi di diritto al divorzio da parte delle donne!).

C’è una consistente immigrazione di lavoratori afgani che in genere occupano i lavori peggiori e più pesanti (edilizia, pulizie, lavori domestici).

Le donne trovano occupazione quasi esclusivamente nei servizi pubblici, in particolare scuola e sanità (sono il 35% dell’occupazione in questi settori).

L’associazione dei lavoratori islamici, unica organizzazione sindacale legale ha il ruolo di definire la percentuale di adeguamento del salario minimo  (non obbligatorio, ma preso a riferimento per le “prestazioni sociali”) definito da una commissione tripartita: governo, sindacato, associazione imprenditoriale. Esistono altre aggregazioni di carattere sindacale a livello informale, di cui ci proponiamo di avere informazioni più precise.