Montesilvano, 7/10 febbraio 2006


Delibera congressuale: Comitato centrale Fiom del 9 settembre 2005

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Ringraziamo Roberto Villari del Cesi nazionale per il prezioso, oltreché indispensabile, supporto tecnico prestato durante i lavori del Congresso. Fiomnet

  

 

- Intervento integrale di Gianni Rinaldini

- Sintesi interventi dirigenti e delegati Fiom (presi dal sito della Cgil)


Intervento di Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom, al 15° Congresso nazionale Cgil

Comunico subito, onde evitare polemiche inutili, che il Congresso nazionale della Fiom non ha fatto alcuna proposta di destrutturare lo Spi, né di mettere in discussione l’organizzazione dei pensionati. Abbiamo semplicemente chiesto di definire le tappe, le forme e le modalità – così come peraltro veniva indicato nella relazione – sulla necessità di aprire il capitolo della riforma organizzativa della nostra organizzazione, per la semplice ragione che sappiamo tutti che questo problema esiste e riteniamo che non possa essere affrontato a pezzi e pezzettini senza una discussione complessiva che definisca i criteri e le ragioni dei futuri accorpamenti categoriali e la definizione dei confini contrattuali.

Compagne e compagni, per i metalmeccanici il Congresso, la discussione, come sapete, è stato accompagnato dalle vicende contrattuali. Mentre si svolgevano i congressi abbiamo prodotto una manifestazione nazionale della categoria, le lotte conosciute con la crescita delle ultime settimane, l’ipotesi di accordo, migliaia di assemblee e, infine, il referendum. Un referendum dove hanno votato oltre mezzo milione di metalmeccanici che hanno approvato e condiviso l’accordo con una percentuale dell’85%.

Questa non è una piccola cosa ma rappresenta, tanto più a fronte dei processi in atto in questo paese, un grande fatto di democrazia che parla all’insieme delle organizzazioni sindacali. E allora dico anche all’amico Pezzotta – con cui ho avuto modo di confrontarmi in tante vicende complicate e di cui ho sempre apprezzato l’estrema franchezza negli interventi – che condivido la considerazione che per una organizzazione sindacale non c’è un governo amico, ma aggiungo nello stesso tempo che ci sono governi, come quello attuale, che sono avversari del movimento sindacale. Non è possibile per noi, per una organizzazione sindacale, avere un governo amico perché vogliamo essere un soggetto autonomo, portatore di un progetto sociale complessivo che è fondato su una pratica contrattuale che ha un’unica fonte di legittimazione a cui risponde delle scelte che compie, delle piattaforme e degli accordi che fa: i lavoratori e le lavoratrici che vuole rappresentare; per questo la democrazia è l’elemento decisivo ed essenziale.
Ma in queste assemblee, molto partecipate e anche molto combattute, noi abbiamo toccato con mano un disagio sociale profondo. Sono state assemblee complicate, per la miscela esplosiva che oggi esiste – in particolare per quanto riguarda la condizione dei giovani e delle ragazze – e che deriva dall’incrocio del peggioramento delle condizioni lavorative (a questo proposito, qualche giorno fa il giudice Guariniello ha inviato 69 avvisi di garanzia a tutto il gruppo dirigente della Fiat, da Cantarella in giù, sulla base di una cosa molto semplice: il meccanismo che si chiama Tmc2, una metrica che aumenta i carichi di lavoro dal 17 al 18%, che stanno estendendo in gran parte delle fabbriche, è incompatibile con le condizioni di salute dei lavoratori e delle lavoratrici) dei processi di precarizzazione e da una drastica riduzione del potere d’acquisto delle retribuzioni. Se pensiamo che un lavoratore di Pomigliano d’Arco, in catena di montaggio, casomai assunto  al secondo livello, età media meno di trent’anni, percepisce 950 euro al mese, si vede bene che si tratta di una situazione socialmente esplosiva.

Se ragioniamo a partire da questa condizione concreta di vita e di lavoro, su cui innestare la iniziativa, io la dico così: a me pare persino paradossale pensare che a questa situazione si possa dare una risposta, pensando che l’accordo del 23 luglio ha avuto una parentesi di crisi e adesso ripartiamo dall’accordo del 23 luglio. Per la semplice ragione che la situazione non è più quella dell’inizio degli anni Novanta, non lo è per le condizioni della gente, delle lavoratrici, dei lavoratori e dei pensionati. È per questo che condivido la scelta che la nostra iniziativa deve essere in grado di definire su singole questioni di grande rilevanza sociale la definizione di accordi sindacali, di patti sindacali. A partire dalla questione del fisco per arrivare alle questioni relative alla legislazione sul lavoro e al sistema di sicurezza sociale.

Certo, a partire dalla questione del fisco. Condivido la necessità del patto fiscale però, per togliere ogni equivoco, dico a Guglielmo, anche in riferimento alle dichiarazioni di esponenti politici che oggi traducono la nostra scelta in «sindacato di governo» e «governo di lotta»: evitiamo di chiamarlo patto di legislatura, chiamiamolo patto fiscale o accordo fiscale, che ci permetta il confronto e la verifica dei passaggi e degli atti che il governo andrà a compiere.

È in questo quadro e dentro a questo percorso che colloco la politica industriale. Non ho il tempo per sviluppare tutta la questione però dobbiamo fare attenzione al fatto che in questo paese sta succedendo qualcosa, lo sappiamo tutti. Non mi interessa riprendere la vicenda della Banca nazionale, dell’Unipol ecc., ma mi limito a dire una cosa: è aperto uno scontro senza esclusione di colpi tra i poteri economici e finanziari di questo paese, di cui probabilmente siamo soltanto nella fase iniziale, nella quale si discute di tutto – cordate e supercordate – tranne che delle scelte di politica industriale da compiere in Italia.

E lo dico anche rispetto al governo, a quello auspicabile in futuro: non si tratta soltanto di definire le regole il problema è quello di ridefinire il ruolo dell’intervento pubblico per quanto riguarda le scelte fondamentali e strategiche di questo paese, per giocare un ruolo attivo dentro questi processi, perché non esiste paese industrializzato al mondo che non abbia una sua politica industriale. Dietro le stesse vicende francesi, ma si potrebbe parlare anche della Germania, ci sono problemi di questa natura.

Infine due rapide considerazioni. Condivido il fatto che il sistema di regole contrattuali non è una priorità. Ho già detto che il sistema di regole contrattuali non c’entra niente con il patto sociale; in altri paesi – vedi la Germania – esiste un sistema di regole contrattuali senza il patto sociale: sono cose diverse fra di loro.

Sul sistema di regole abbiamo posizioni diverse, c’è stata una discussione nel percorso congressuale e c’è stato ieri l’intervento di Pezzotta, riguardo al quale voglio sottolineare due questioni. La prima è che non è vero che il documento della Confindustria non è chiaro: è chiarissimo. Le ragioni per cui la Confindustria vuole definire il sistema di regole contrattuali sono opposte alle nostre, sia sull’orario di lavoro, sia per quanto riguarda l’idea del sindacato, perché – badate – le parole hanno un senso e in quel documento si parla di «sindacato collaborativo», che a me ricorda l’incentivo di collaborazione che esisteva alla Fiat e che abbiamo superato dopo tanti anni di lotta. Anche questo ha un senso, la Confindustria propone un sindacato non a caso di natura collaborativa dentro quell’impianto, come parte di un unico interesse assunto come interesse generale, quello dell’impresa del mercato.

La seconda questione è che pensare di ridurre la funzione del contratto nazionale essenzialmente, al rapporto con un indice di inflazione da definire – concordata, attesa, programmata, dipende dal rapporto col governo – significa, di fatto, pensare a una riduzione della funzione e del ruolo del contratto nazionale, se volete la dico in un altro modo: sostituire la scala mobile con il contratto nazionale. È un’altra cosa rispetto a ciò che il contratto nazionale storicamente ha rappresentato nel movimento operaio e nella sua pratica. Credo che quella proposta non sia la proposta della Cgil, come del resto ha evidenziato lo stesso Pezzotta, e bisogna sapere che la nostra proposta va in direzione opposta e non sta oggi dentro le priorità da affrontare.

Concludo con due considerazioni. Auspico anch’io, come tutti, che in questo Congresso ci sia una conclusione politica unitaria – e credo che ci siano le condizioni – e che sia possibile una conclusione con la definizione di un’unica lista, ma è innegabile che qualche problema rispetto al nostro funzionamento e alla nostra pratica democratica interna non è, allo stato, risolto.

A Prodi, che interverrà più tardi, ricordo che le aspettative sono tante. È necessario che Berlusconi vada a casa, la sua vittoria sarebbe una sciagura. Attenzione però, perché il disagio sociale che c’è oggi – anche nel tempo – non è detto che automaticamente abbia uno sbocco politico predeterminato; dipende dalla capacità di recuperare una credibilità e una reale visibilità. È necessario, quindi, che un auspicabile nuovo governo renda visibile e leggibile alla gente, già nelle prime misure, che saranno attuate gli elementi di discontinuità e di rottura rispetto all’esperienza precedente. Potrei fare un elenco, ma ne indico solo due come priorità: la prima è l’abrogazione della legge 30 e la ridefinizione di tutta la legislazione sul lavoro – e quando dico tutta la legislazione sul lavoro dico anche la legge sull’orario di lavoro e quella riferita agli appalti e alla cessione del ramo d’azienda, la seconda è che si proceda al ritiro delle truppe dall'Iraq e dall'Afghanistan, determinando in questo modo un segnale preciso di cambiamento rispetto al passato.

Rimini, 3 marzo 2006


Riportiamo di seguito le sintesi, prese dal sito della Cgil, degli interventi dei dirigenti e dei delegati Fiom al 15° Congresso nazionale Cgil

 

Aleandra Labardi - delegata Fiom Delphi Livorno

Oggi io sono la voce, gli occhi, le parole dei quattrocento lavoratori della Delphi di Livorno, una società del gruppo General Motors che produce gli sterzi elettronici per il gruppo Fiat. Abbiamo difeso e sostenuto l'attività dell'azienda in ogni momento, anche quando ci hanno chiesto di aumentare la produttività, di arrivare ai 18 turni. Pur con alcune contraddizioni, ce l'abbiamo fatta a rimanere uniti perchè pensavamo che solo producendo prodotti con valore aggiunto potevano far fronte ad una pressione che aumentava tutti i giorni. Nonostante questo, la Fiat aveva già deciso di spostare la produzione in Polonia, dove un operaio costa 150 euro; quando è stato il momento ci hanno spento, come si fa con un interruttore, una lettera via e-mail che annunciava la chiusura della fabbrica. L'abbiamo occupata per settimane, come soldati a mani nude contro chi ci puntava fucili e carri armati. Il nostro lavoro è sempre stato per Fiat, perchè oggi dagli strumenti che vengono usati per difendere i lavoratori Fiat noi siamo esclusi? L'età media dei lavoratori della Delphi è di 35 anni, molti di noi si sono conosciuti qui, si sono sposati, sono nate delle famiglie e oggi non abbiamo più niente. Non è possibile che una multinazionale si stabilisca su un territorio, usi le sue risorse umane migliori e poi se ne vada così. Ci devono essere norme e regole da rispettare sia in Italia che in Europa, fondate sul valore più importante: i diritti. Chiediamo lavoro, lavoro vero. Quando la Delphi iniziò a produrre sulle ceneri della Spica, i sindacati lottarono affinchè il lavoro delle donne fosse garantito. Oggi siamo quasi 80. Qualunque processo di nuova industrializzazione dovrà ripartire da qui, ma non vogliamo cattedrali nel deserto costruite con fondi pubblici che riempiono il portafoglio solo di chi specula attraverso processi di reindustrializzazione. Questo è il patto che chiediamo a chi governa a livello locale, ma che in primo luogo dobbiamo pretendere da chi dovrà costruire un nuovo Paese sulle macerie di ciò che ci ha lasciato il governo Berlusconi. La fabbrica chiuderà il 12 maggio, ma quando la proprietà ha posto come condizione - per l'accordo sulla cassa integrazione - di continuare a produrre non ci siamo tirati indietro. Ci hanno tolto il lavoro, ma non la dignità e il rispetto. Continueremo a combattere sapendo che la Cgil è al nostro fianco con la forza delle sue idee.

Rimini, 4 marzo 2006

 

Anna Rita Mastrangelo - delegata Fiom Technolabs, L'Aquila

Sono Anna Rita Mastrangelo RSU Technolabs di L’Aquila e questo nome non vi dirà nulla, ma se vi aggiungessi ex Siemens Cnx, ex Italtel, allora capireste di che storia vi sto parlando, della storia della privatizzazione, o meglio della “svendita”, delle Telecomunicazioni italiane. A distanza di 10 anni da quella “privatizzazione” è onesto tentare di fare un bilancio per capire chi ha veramente pagato. Gli utenti, che avrebbero dovuto essere beneficiari di tariffe vantaggiose, si trovano oggi con il capestro del canone Telecom. Il nostro Paese non ha più un’azienda manifatturiera delle TLC: Italtel è stata cannibalizzata dalle multinazionali straniere, interessate solo all’accaparramento del mercato italiano, più che all’attuazione di piani industriali. Oggi tali piani sono stati banditi da qualunque azienda per essere sostituiti da “operazioni finanziarie”. E di fronte a tutto questo i governi, sia di destra che di sinistra, sono stati a guardare. Come è possibile che un settore, internazionalmente ritenuto strategico, sia stato lasciato marcire proprio in Italia, il paese che è il primo consumatore di telefonini e che ha privatizzato Telecom, uno dei più grandi gestori al mondo?. Un’azienda che, dopo la privatizzazione, è riuscita ad andare in deficit in regime di monopolio, che non investe più, che è capace solo di presentare “piani di ristrutturazione”, che in parole “vere” significano: perdite di posti di lavoro. La nostra protesta, chiamata da Epifani “Vertenza Simbolo”, è durata 3 mesi, ma siamo rimasti inascoltati! Eppure pensavamo di essere tra i primi nelle priorità di un Governo che diceva di voler occuparsi ed investire in Ricerca, Mezzogiorno e Famiglia. Noi che, come ricercatori del Mezzogiorno, tutti con una famiglia, pensavamo di essere interessanti per tutti, magari anche per gli scoop giornalistici, invece niente, se non qualche notizia su alcuni giornali di sinistra e due passaggi sul TG3, quasi non si volesse disturbare i cittadini che a quanto pare devono conoscere la realtà attraverso i reality-show. E i problemi veri del Paese? La perdita di posti di lavoro, l’impoverimento culturale? Di questo è meglio non parlarne! La sintesi di quanto accaduto - con 30.000 posti di lavoro persi e gli italiani che hanno pagato come utenti, come lavoratori e come cittadini che pagano le tasse, mentre faccendieri dell’ultima ora si arricchiscono- è che la privatizzazione non ha funzionato! Non ha funzionato perché non ci sono industriali e perché si è permesso alle multinazionali di spadroneggiare, accaparrandosi il mercato e buttando a mare i lavoratori! Ciò che si chiede, qui oggi, è che si apra una vertenza unitaria del settore condotta dalla CGIL, perché le Telecomunicazioni sono servizi, installazioni, ricerca, manifattura. La lotta deve essere condotta unitariamente, anche per far capire al prossimo Governo qual è la strada che si deve perseguire per questo settore, oramai ridotto a macerie.

Rimini, 4 marzo 2006

 

Fausto Durante - segretario nazionale Fiom

Nel congresso della Fiom, e poi su qualche giornale, c'è stato chi ha detto che, se non fosse stato per le tesi alternative presentate da vari compagni, questo congresso sarebbe vissuto solo dell'attesa di Romano Prodi. Non credo che le cose stiano così. Al contrario, secondo me, il dibattito congressuale ha vissuto della forza e della radicalità di un documento unitario nella sua parte introduttiva e per otto tesi su dieci e che, anche là dove sono state presentate tesi alterntive, ha avuto consensi percentualmente molto significativi. Ma anche se il congresso fosse stato vissuto solo aspettando Prodi, ebbene, avremmo fatto bene ad aspettarlo. Perchè oggi abbiamo sentito il candidato presidente del Consiglio del centro-sinistra usare il nostro stesso linguaggio quando ha parlato del disagio sociale, dei suoi aspetti e delle sue cause. Certo è vero che non possiamo dire, a prescindere, di avere governi amici. Ma possiamo dire che condividiamo i contenuti delle proposte avanzate oggi da Prodi nel nostro congresso? Al contrario di Rinaldini, io penso che a un Governo che avesse come base il programma dell'Unione avremo non l'opportunità ma il dovere di proporre quel patto di legislatura di cui ha parlato Epifani e di cui il Patto fiscale è parte. Se davvero vogliamo riprogettare il Paese e intendiamo impegnarci in quest'opera, spero che abbiamo tutti chiaro che non possiamo neppure proporci di fare una cosa simile da soli. Dopo gli anni di dura resistenza contro le aggressioni che ci sono state mosse da D'Amato e da Berlusconi, dovremo adesso stringere accordi, tessere alleanze. Nerozzi ha detto che se concertazione è una parola che disturba possiamo esprimere lo stesso concetto utilizzando un'altra parola. Dico subito che a me il termine concertazione non da nessun fastidio. In ogni caso, è questo ciò che dobbiamo fare con un eventuale, auspicabile governo di centro-sinistra. I metalmeccanici sono tra i lavoratori che in questi anni hanno sofferto di più. Non solo per il peggioramento di condizioni di lavoro e retribuzioni, ma per il dissolvimento delle regole contrattuali. Penso quindi che la recentissima riconquista del Contratto nazionale realizzata insieme con Fim e Uilm sia stata cosa molto significativa. Megale ha detto che, dopotutto, quello che è stato firmato è un contratto normale. No. Non lo è perché non normali sono state le relazioni sindacali nel nostro settore e in modo non normale si sono comportati gli imprenditori metalmeccanici. Ci sono infatti imprenditori metalmeccanici che sembrano affetti da una specie di sindrome del dottor Jeckyll e di mister Hyde: nei convegni parlano bene, nelle trattative si comportano in tutt'altro modo. Comunque, alla fine ce l'abbiamo fatta e i lavoratori hanno potuto votare sull'ipotesi di accordo. Abbiamo insomma realizzato un percorso democratico che costituisce il contributo unitario che i sindacati dei metalmeccanici offrono alle Confederazioni sindacali. Infine, due parole sui rapporti tra Fiom e Cgil. E' potuto sembrare, in certi momenti, che si rischiasse di imboccare traiettorie divergenti. Da questo punto di vista non ci hanno aiutato né qualche polemica di troppo, né il fatto che le tesi alternative siano state qualche volta presentate come le tesi della Fiom. Ma così non era. E per noi, in conclusione, la Cgil è un po' come Itaca per Ulisse: la terraferma verso cui vogliamo tornare.

Rimini, 3 marzo 2006

 

Igia Campagnello - delegata Fiom 

Le lotte dei metalmeccanici hanno fatto riparlare del lavoro. Per rimettere al centro della discussione questo tema, noi metalmeccanici abbiamo dovuto occupare le strade e le autostrade. Sono state necessarie le nostre lotte per poter riparlare del lavoro e abbiamo dovuto aspettare un anno per rinnovare il nostro contratto. Le nuove generazioni, purtroppo, hanno la certezza di avere un futuro peggiore dei loro genitori. Per questo diciamo che la forma di contratto indeterminato è l'unica forma di lavoro e rappresenta l'unica soluzione per uscire dalle disgrazie del governo di centro destra. Solo questa forma di contratto può restituire al Paese la propria dignità. E' per questo che la Legge 30 va cancellata e mi sembra che ormai su questo si sia tutti d'accordo. Ci possono essere soluzioni: penso a cose concrete come ad esempio la Legge sull'apprendistato della mia terra la Regione Puglia presa a modello per ridefinire un progetto virtuoso. Penso, a questo proposito, ai tanti ragazzi talentuosi che dopo anni di studi sono costretti a trasferirsi e cercare lavoro all'estero. La mia terra per anni è stata indicata come la Silicon Valley del sud: oggi i centri di ricerca vengono chiusi e aziende importanti come la Getronix decidono di abbandonarla. E' necessario un intervento dello Stato che deve finanziare i grossi progetti di IT, le conoscenze devono essere utilizzate per migliorare le condizioni di tutti i cittadini; e ancora è necessario il ruolo dello stato sulle risorse principali come acqua e energia. Infine c'è bisogno di cancellare la Legge Moratti anche per evidenziare il ruolo dello Stato laico che noi vogliamo, stato laico che difende il ruolo delle donne, della loro dignità e della loro libertà.

Rimini, 3 marzo 2006

 

Giorgio Cremaschi - segretario nazionale Fiom-Cgil

Consideriamo necessaria la sconfitta di Berlusconi non solo per motivi che nascono dalla nostra esperienza sindacale, ma anche per motivi più generali: per affermare in Italia un'altra idea di Occidente, diversa da quella della guerra e dello scontro di civiltà. Credo quindi anch'io che il primo atto dell'auspicato Governo di centro-sinistra debba essere il ritiro delle truppe italiane dall'Iraq. Un cambiamento è necessario. Si tratta di cancellare la legge 30, la legge Moratti, ovvero le leggi simbolo di tutta una politica. E dico subito che troverei sbagliato che il nostro congresso si trasformasse in un referendum sul maggiore o minore gradimento riservato da ciascuno di noi alle parole di Romano Prodi. Siamo tutti per il cambiamento. Solo che non possiamo identificare le motivazioni che traiamo dalla nostra esperienza sindacale con le posizioni del candidato presidente del Consiglio. Lo ha detto anche Rinaldini: la strada della concertazione, dell'accordo del '93, è conclusa. Per realizzare una profonda redistribuzione della ricchezza saranno necessarie lotte vigorose. E non si tratterà neppure solo di ripristinare lo status quo ante. Bisogna realizzare cambiamenti anche più profondi. I guasti apportati al nostro sistema scolastico, ad esempio, sono cominciati prima di Berlusconi. Non basta quindi neppure limitarsi a cancellare la Moratti. Bisogna fare di più. Smettendo fra l'altro, visto che parliamo di laicità, di finanziarie le scuole private. In ogni caso, le mediazioni politiche sono una cosa, quelle sindacali un'altra. La via della democrazia politica è diversa da quella della democrazia sindacale. Il nostro compito è quello di salvaguardare l'autonomia del sindacato. Quindi dovremo costruire le nostre mediazioni in rapporto ai lavoratori e non sulla base di influenze esterne. Abbiamo ascoltato gli interventi di Cisl e Uil nel nostro dibattito. Ebbene, alla Confindustria dobbiamo dire, come ha fatto Rinaldini, che non siamo d'accordo con il suo documento proprio perché mette in discussione la funzione del Contratto nazionale. Del Contratto abbiamo bisogno come leva fondamentale sia rispetto ai diritti che rispetto ai salari. Anche perché non si tratta solo di difendere il potere d'acquisto delle retribuzioni, ma di farle crescere. E di rafforzare il potere di contrattazione delle Rsu. E aggiungo che per noi difendere il Contratto nazionale è il vero modo di combattere contro la devolution. Infine, sulla democrazia sindacale, voglio ricordare un episodio della vita di Giuseppe Di Vittorio. Alla fine degli anni 40 firmò un accordo per una grande azienda pugliese che fu poi bocciato dai lavoratori riuniti in assemblea. E allora lui, che era quel grande dirigente che sappiamo e il cui nome era già circondato da una fama e da un prestigio enormi, prese carta e penna e scrisse al ministro del Lavoro che la Cgil ritirava la sua firma. Non aggiungo altro.

Rimini, 3 marzo 2006

 

Francesco Grondona - segretario generale Fiom Genova

Ho avuto la sensazione che nel dibattito che ha seguito la relazione di Epifani ci sia stato un eccessivo tono di autorefenzialità. Il congresso, secondo me, serve per affrontare le tematiche sindacali ma anche per tracciare il futuro guardando al passato. Sentendo la relazione, ma anche gli interventi di Angeletti e Pezzotta, e vedendo la realtà che ci sta intorno - con una perdita del 5% del reddito da lavoro dipendente e delle pensioni- mi viene una domanda: "abbiamo fatto il possibile perchè fosse evitata questa situazione? Potevamo fare di più?" E' evidente che il centro-destra ha difeso gli interessi dei suoi ceti, noi abbiamo fatto lo stesso? In un passo Epifani ha invitato ad analizzare se nei contratti firmati abbiamo fatto seguire i fatti alle parole. Un invito dunque a guardare anche in casa nostra. Sulla questione del referendum, sul quale la Uil è per far votare sempre i lavoratori, non possiamo dimenticare che per i meccanici sono stati sottoscritti due contratti separati senza che i lavoratori potessero esprimersi con il voto. E questo è successo solo due anni fa. Allora bisogna affermare che si può essere diversi senza essere divisi. Si può avere opinioni diverse pur rimanendo uniti ma questo è possibile solo se ci sono delle regole certe. Molti compagni ripongono una grossa speranza nei confronti delle prossime elezioni, c'è però anche il timore di cadere non tanto nelle pastoie di un Governo amico ma nelle pastoie di chi ha amici nel Governo. C'è anche la consapevolezza che il sistema italiano è notevolmente in crisi e bisognerà rimboccarsi le maniche per risistemarlo. Ma nella stagnazione ci sono strati della società che hanno guadagnato e altri che ci hanno rimesso. Non vorrei che ancora una volta siano gli stessi a pagare il conto.

Rimini, 2 marzo 2006

 

Iole Vaccargiu - delegata Fiom Fiat Mirafiori

La crisi Fiat non è finita. Se i bilanci degli azionisti cominciano a vedere dei segni positivi, i bilanci dei lavoratori sono in rosso. In quattro anni Mirafiori è passata da 27mila a 14mila lavoratori, 1.500 sono interessati dalla cassa integrazione. Noi abbiamo chiesto unitariamente alla Fiat un percorso per azzerare la cassa, e il Governo ha usato questa vicenda per fini elettorali, suggerendo i licenziamenti su cui inventare un nuovo e improbabile ammortizzatore sociale. Abbiamo respinto anche questo licenziamento. Il contratto dei metalmeccanici si è potuto chiudere grazie al voto dei lavoratori che unisce, diventa potere contrattuale e consente di concludere i contratti. Il contratto nazionale va mantenuto con richieste salariali che superino l'inflazione. Va aperta la vertenza aziendale Fiat che manca da dieci anni, i salari dei lavoratori Fiat sono tra i più bassi tra i metalmeccanici torinesi. Per fare un esempio significativo, alla Pininfarina - l'azienda del vice presidente di Confindustria - un metalmeccanico guadagna, a parità di livello, 1.400 euro in più all'anno. In fabbrica chi ha pagato di più la crisi e fa i lavori più faticosi e usuranti sono gli operai di 3° livello come me, che esistono ancora, e proprio sull'usura e sulla fatica si occupa oggi la Magistratura, con il rinvio a giudizio di 68 manager Fiat. Il sindacato deve essere lì, perchè lì serve, la Fiom è stata lì, lì dobbiamo esserci tutti.

Rimini, 2 marzo 2006

 

Francesco Bertoli - delegato Fiom Fiat Iveco

La cosa più importante che la Cgil deve fare è interrogarsi sulla propria condizione e sulla linea da tenere in futuro. Va bene l'invito al'unità purchè la si faccia prendendo in cosiderazione le lotte che la Fiom ha fatto in questi anni; a partire dall'accordo separato fino alla firma - questa volta unitaria - del nuovo contratto. Le lotte sono state possibili, i lavoratori hanno sempre risposto con convinzione perchè era chiaro il loro ruolo, la loro possibilità di decidere con referendun sui risultati che si sarebbero raggiunti. Altrettanto chiaro era che questa volta non sarebbero stati possibili accordi seperati. Il problema della democrazia non riguarda solo la Fiom riguarda tutta la Cgil ed è un nodo che va risolto in questo congresso; si deve sapere con chiarezza se i lavoratori potranno votare oppure no. Le formule che spesso si usano sono troppo vaghe. Anche sul salario va fatta chiarezza. Dopo anni in cui i lavoratori si sono impoveriti l'inflazione, programmata o attesa poco cambia, non può essere più un punto di riferimento. Questo congresso deve dire che la legge 30 va abrogata, per i danni che ha prodotto e per quelli che potrebbe produrre in futuro. La cosa riguarda non solo i lavoratori precari riguarda tutti, gli attuali pensionati e quelli futuri. Su questo sia nella relazione di Epifani sia in alcuni interventi ci sono stati riferimenti espliciti; ribadisco comunque che anche sulla 30 come sulla democrazia e sulla precarietà occorre fare chiarezza in questo congresso. Sulla riforma del sistema di contrattazione credo anch'io che non sia prioritaria, Confindustria dovrà attendere. Una Confindustria che ha fallito e che non pare in condizione di cambiare linea. L'atteggiamento degli imprenditori nel corso della trattativa per il rinnovo del contratto nazionale dei meccanici ne è stato prova evidente.

Rimini, 1° marzo 2006

 

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