Diario
Resoconti delle giornate congressuali, stralci da alcuni interventi (la scelta è dettata dai tempi di lavorazione delle pagine. Altri interventi verranno riportati successivamente). a cura di Fiomnet


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5 giugno 2004:

IMG_1712.jpg (61388 byte)Giorgio Cremaschi: «Gli interventi di amici e compagni come Gino Strada o come quello di Giuliano Giuliani, ci dimostrano che non siamo isolati ma che, anzi, siamo in ottima compagnia».

Secondo Cremaschi se oggi la Fiom non è sola è perché in questi anni è stata coerente con le idee portate avanti. Coerente con la partecipazione al Forum sociale europeo, con il no alla guerra in Iraq, in Kosovo e in Afghanistan, in quanto tutte sbagliate, a prescindere se a votarle sono governi «amici» o di centrodestra. Coerente perché di fronte alla crisi del paese e alle scelte neoliberiste del governo, l’assemblea congressuale, unitariamente,  chiederà la proclamazione  dello sciopero generale.

Una coerenza che i lavoratori chiedono sempre e comunque, anche quando a governare sono governi «amici».

La Fiom si impegna a chiedere al centrosinistra, qualora alle prossime elezioni politiche dovesse risultare maggioranza nel paese, di abolire nei fatti la Legge 30, la riforma Moratti e quella sul federalismo; osteggiata, tra l’altro, anche dal mondo imprenditoriale. Per Cremaschi, il centrosinistra deve assumersi la responsabilità di approvare la legge sulla rappresentanza, la quale, se fosse stata approvata cinque anni fa, oggi gli accordi separati non sarebbero possibili.

Cremaschi prosegue facendo notare come, nonostante tra Berlusconi e D’Amato, ci fosse una totale comunanza d’intenti, le imprese stiano vivendo un lungo periodo di crisi. Ma Berlusconi e D’Amato non sono riusciti nell’intento di piegare e marginalizzare la Fiom e la Cgil.

Cremaschi ritiene che il vero cambiamento di Confindustria avverrà nel momento in cui accantoneranno la pratica degli accordi separati. Con l’abbandono della politica della firma del contratto «con chi ci sta».

La Fiom non dice aprioristicamente no alla concertazione, ma si dichiara contraria a tutte le proposte in cui non siano contemplate politiche di sviluppo fondate su un aumento dei salari e sul rispetto dei diritti e delle regole democratiche. La difficile crisi industriale, quindi, non può assolutamente essere affrontata riproponendo le gabbie salariali e la soppressione dei diritti.

La Fiom , per Cremaschi, non si rassegnerà mai all’accettazione della precarietà del lavoro e a condizioni che distruggono fisicamente e moralmente i lavoratori.

Le lotte di Termini Imprese, di Terni, di Melfi, continua Cremaschi, portano alla ribalta un nuovo protagonismo del Mezzogiorno, poiché i lavoratori lottano per avere riconosciuti un salario vero e la conquista di nuovi diritti. Dal Sud arriva anche un’altra lezione, e cioè che non è vero che con la lotta si perde sempre e che è arrivato il tempo di lasciarsi alle spalle la paura del conflitto.

La vera svolta avverrà, a parere di Cremaschi, quando il Contratto nazionale sottoscritto lo scorso anno verrà sostituito da uno in cui compaia anche la firma della Fiom ed ha concluso annunciando che, in ambito Fiom, non ci sarà l’area programmatica Lavoro e società-Cambiare rotta.


IMG_1706.jpg (69487 byte)Gino Strada: «Vorrei subito dire grazie alla Fiom per tante cose, per le lotte in difesa dei diritti, per esistere e resistere».

«Oggi i cittadini del mondo si trovano di fronte ad una sfida complessa, poiché è in pericolo il futuro dello stesso pianeta. Oggi, non si parla più di disarmo e il rischio di una guerra atomica è reale e concreto».

Dobbiamo anche prendere atto che il tentativo fatto dai governanti di umanizzare la guerra è fallito. E’ sempre più evidente che il solo modo per far cessare le guerre è quello di abolire le guerre.

La guerra è un fenomeno contro la natura umana.

In una situazione statica come quella che stiamo vivendo in questi giorni in Iraq, gli stessi paese che hanno contribuito a svuotare di significato l’ONU, ne invocano ora un ruolo centrale. Ma è del tutto evidente che l’ONU è morta e sepolta e che occorrono nuove norme per regolare i rapporti internazionali .

In questi anni abbiamo assistito alla nascita di una nuova forma di guerra: quella umanitaria, in virtù della quale è giustificato che per difendere i diritti degli esseri umani viene soppressa la vita umana.

La guerra umanitaria porta poi con se un corollario inaccettabile:  i cosiddetti “effetti collaterali”. Ebbene, tre milioni di bambini in tutto il pianeta muoiono o sono mutilati dagli effetti collaterali. E’ un termine infame: queste persone sono vittime della guerra, non di effetti collaterali.

Tutto ciò è il prodotto di una nuova follia neonazista e razzista, la quale afferma che esistono cittadini si serie A e cittadini di serie B.

C’è poi un altro nuovo aspetto nei conflitti odierni, l’integrazione sempre più stretta tra l’uso delle bombe e gli aiuti umanitari. Oggigiorno le organizzazioni umanitarie sono state asservite ai paesi belligeranti, per questo chi porta aiuti umanitari è considerato un bersaglio: accadeva in Afghanistan, si verifica quotidianamente in Iraq.

La moderna e assurda guerra umanitaria e preventiva azzera i nostri principi etici e politici. Tutte le regole sono saltate, siamo sul baratro di una nuova guerra mondiale.

Una guerra che vede vittime le popolazioni e consente alle multinazionali di realizzare enormi profitti. Accadeva negli anni 30 dello scorso secolo, quando la Opel , all’epoca già acquistata dalla americana General Motors, progettava e realizzava mezzi pesanti per le forze armate naziste, accade oggi con i produttori di armi.

E’ evidente, allora, che le condizioni materiali ed umanitarie di molti esseri umani possono migliorare solo se si abolisce la guerra.

Le condizioni per porre fine alla guerra passano dall’eliminazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e con il rispetto della democrazia, perché se la maggioranza degli italiani è contraria alla guerra, allora il parlamento italiano non può approvare le missioni in Iraq o in altri paesi del mondo. Questa non è una vera democrazia.

Non c’è una vera democrazia quando i cittadini manifestano per difendere principi e valori fondamentali quali il lavoro, il diritto allo studio e alla sanità, il diritto ad una libera e vera informazione.

Pace, democrazia e diritti sono valori inseparabili, procedono di pari passo e costituiscono il fulcro della civiltà e della convivenza e sono valori antitetici alla guerra, alla violenza e al sopruso.

La guerra è terrorismo e il terrorismo è la guerra. L’unica guerra che va combattuta e vinta è per cancellare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.


4 giugno 2004:

P1000507.jpg (109342 byte)Riportiamo alcuni passaggi dall’intervento di Guglielmo Epifani, segretario generale Cgil

«Il rischio declino è diventato una vera e propria crisi. L’analisi che a suo tempo facemmo delle condizioni del nostro paese oggi è condivisa da tutti, tranne che dagli esponenti del governo.»

«La crisi non viene da vicino, risale ad anni lontani, e la responsabilità maggiore ricade sulle spalle degli industriali. Il sistema delle imprese non ha saputo affrontare con mezzi adeguati la sfida della competizione globale e la nuova fase economica avviata con l’introduzione dell’euro. L’euro è stato visto fin dall’inizio con paura ed ostracismo, se prendiamo in considerazione il ventennio che va dal 1970 alla fine degli anni 90, vediamo che in quest’arco di tempo la lira ha subito una svalutazione del 70 per cento.»

«Anche la crescita industriale ha subìto una battuta d’arresto preoccupante. Se consideriamo la crescita nel quinquennio 1998 – 2003 di due Paesi come la Francia e la Germania, che certamente non attraversano un momento favorevole, e la confrontiamo con quella dell’Italia, possiamo notare che mentre per loro la crescita è stata del 6 per cento, quella del nostro paese è stata solo dell’un per cento.»

«Quando il nuovo presidente della Confindustria Montezemolo afferma che non vuole rassegnarsi a questo declino questo è per noi motivo di soddisfazione, poiché ci conferma che per primi abbiamo compreso e denunciato la gravità della situazione. Ovviamente, ciò non basta e non ci soddisfa.»

«Il declino lo si può vincere cambiando registro, assumendo come assi portanti la centralità del lavoro e l’avvio di una nuova politica dei redditi. Una politica che non può essere assolutamente quella della moderazione salariale. E questo, non perché la Cgil e la Fiom siano estremiste, ma per il semplice motivo che la moderazione salariale non è la via d’uscita alla crisi ma, anzi, ne accentua la portata.»

«La crisi la si vince se si punta sulla ricerca, sull’innovazione tecnologica e mettendo fine ad una politica di compressione del costo del lavoro.»

«Per uscire dalla crisi serve agire su tre leve: la prima è la creazione di un fondo a cui possono accedere le aziende investite da crisi di natura finanziaria; la seconda è potenziare la ricerca  e l’innovazione per quei settori in cui si vuole investire per creare sviluppo e per competere con i produttori degli altri paesi; infine, occorrono politiche a sostegno del Mezzogiorno, il quale paga un prezzo altissimo alla crisi.»

«Per rilanciare il paese, onde evitare un arretramento complessivo dell’intero sistema e per non perdere un pezzo importante del nostro tessuto industriale, è necessario affrontare e risolvere  positivamente la crisi Fiat.»

«Ma con grande chiarezza e determinazione affermiamo che la soluzione della crisi non può passare attraverso un ridimensionamento del Gruppo. Tutti i siti produttivi, da Mirafiori fino a Termini Imprese, vanno difesi e tutelati. Per noi difesa del lavoro, dei diritti e della democrazia sono i valori imprescindibili per una crescita del sindacato e del tessuto civile e sociale della nazione.

In quest’ottica, le lotte dei precontratti si sono rivelate uno strumento di dignità e di coesione dei lavoratori. Anche in questa vicenda, abbiamo registrato reazioni scomposte a una rivendicazione giusta e democratica, come quelle di ministri che in Emilia Romagna auspicavano l’intervento delle forze dell’ordine per far rientrare gli scioperi a sostegno delle vertenze.»

«Dobbiamo registrare che chi non ha approntato risposte adeguate alla crisi sono Berlusconi e i suoi ministri. Le loro scelte hanno penalizzato i redditi più bassi, favorendo il rientro dei capitali e premiando gli evasori.»

«Per quanto riguarda le scelte sindacali da compiere in futuro, non c’è dubbio che la firma del contratto separato dei metalmeccanici ha pesato, e la Cgil ha sostenuto con determinazione la Fiom perché era chiaro che l’obiettivo non dichiarato era di piegare ed umiliare entrambe. La lotta di Melfi, poi, può essere il preludio per la definizione di un percorso unitario sulle regole e sulla rappresentanza democratica con Fim e Uilm che la Fiom deve andare a verificare.»

«La Cgil e la Fiom sono tornate prepotentemente in campo e Berlusoni ha paura del nostro ruolo e del dialogo sociale, per questo ci definisce una “fabbrica di odio che non chiude mai”. Berlusconi è incapace di elaborare una seria, giusta e rigorosa politica economica e sociale in grado di rilanciare il paese, per questo spende tutte le sue energie per dividere il fronte delle forze sociali.»

«Ma noi siamo quelli che vogliono costruire il futuro e uniti procederemo su questa strada.»


P1000462.jpg (116942 byte)Riportiamo alcuni passaggi dall’intervento di Riccardo Nencini, segretario nazionale Fiom.

«I promotori del documento Le ragioni del sindacato, dopo una approfondita discussione, hanno deciso di non costituire un’area programmatica. Il modo migliore per mantenere vivo il dibattito dopo la tornata congressuale all’interno della Fiom è quello di mettere in campo idee politiche. Per far questo, però, occorre che la maggioranza garantisca il pluralismo interno ed eviti difese di tipo burocratico, occorre, cioè, che la Fiom proceda unitariamente.»

«La discussione nei congressi di base è stata bella e intensa, facendo anche riscoprire il piacere di un confronto franco e diretto con i lavoratori.» Per Nencini la Fiom «deve mettere in campo una proposta che permetta di superare l’attuale emergenza economica, in grado di determinare un cambio della politica economica del paese. Per far questo occorre partire da due punti: combattere i vuoti produttivi e far ripartire il circolo virtuoso dei consumi. Per rilanciare i consumi non è esaustivo il solo aumento dei salari, operazione comunque necessaria, ma occorre anche rigettare la proposta di riforma fiscale, in quanto essa penalizzerebbe pesantemente i salariati e i pensionati.»

«Le lotte nate a Terni, a Melfi e la stessa vertenza Fincantieri – continua il segretario nazionale della Fiom – sono state vincenti perché hanno visto di nuovo protagonisti le lavoratrici e i lavoratori e per la capacità della Fiom di governare la lotta. Questi percorsi non potevano non concludersi che con il ricorso al massimo strumento democratico: il referendum.»

Per Nencini «Rinaldini ha ragione quando chiede a Fim e Uilm un percorso comune sulle regole. Un cammino che per essere altamente democratico, deve partire e vedere protagonisti chi possiede la piena titolarità a contrattare e decidere, le Rsu, deve passare attraverso le assemblee e si deve concludere con la libera espressione del voto di tutti i lavoratori.»


Alle 17 e 20 circa il Congresso della Fiom si è collegato in diretta telefonica con Alessandro Altomare, operaio e delegato della Fiom alla fabbrica Polti di Cosenza, dalla quale è stato licenziato in tronco insieme ad altri due lavoratori iscritti alla Fiom.

Questa mattina, la trattativa avviata per la soluzione di questa vertenza si è bruscamente interrotta.

Dopo il suo intervento Altomare, sempre in diffusione sulla platea del Congresso, ha dialogato con il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini.

Applausi dalla platea della Fiom

Alessandro Altomare: «Cari compagni e compagne della Fiom-Cgil, mi chiamo Alessandro Altomare e a nome di tutti i lavoratori della Polti Sud di cui sono uno della Rsu, vi ringrazio di darci un’opportunità in una occasione così importante come il vostro congresso, per raccontare la storia di un gruppo di uomini e donne che ha deciso con forza di ribellarsi  alle ingiustizie, ai soprusi e ai continui ricatti di un imprenditore degno di essere considerato un vero padre-padrone. Non siamo più disposti a vendere la nostra dignità a una che si fa chiamare signora Polti, ma che di signora non ha proprio nulla. Non siamo più disposti a scendere a patti vergognosi pur di aver assicurato un pezzo di pane. Lavorare 8 ore al giorno in quell’opificio è come stare in un penitenziario a espiare la propria pena pur non avendo commesso alcun reato. Il reato è stato commesso invece da colei che accusa ingiustamente i lavoratori, per tenere sotto giogo i disoccupati e gli occupati di tutta la Calabria.»

« La Polti Sud nasce nel Mezzogiorno d’Italia, in una tranquilla valle, quella del Samunto, nell’agro industriale di Potenza, dove il lavoro non lo trovi nemmeno se lo cerchi con il lanternino. Nasce sfruttando tutta una serie di leggi, la 488, la 407, che portano da quelle parti circa 90 miliardi di vecchie lire, e ai nostri padri 99 euro di fatto. Butta addirittura 5 milioni di euro per cambiare semplicemente il colore dei sacchi dell’immondizia per attuare la Iso 14000. Nello stabilimento c’è un’organizzazione del lavoro, se di organizzazione si può parlare, che ricorda tanto gli anni 50. Linee con ritmi vertiginosi, vengono utilizzati solventi, colle, vernici, prodotti plastici, fisicamente nocivi, mentre l’inquadramento degli operai è inferiore a quello dei colleghi di Como. Nello stabilimento ci viene negata anche la possibilità di andare in bagno, l’azienda è arrivata addirittura al cronometraggio dei bisogni. In qualche caso qualcuno è stato costretto a usare una bottiglia a mo’ di pappagallo. Nello stabilimento ci viene vietato di esprimere liberamente le proprie idee, se ci si ritrova, come è capitato al sottoscritto e ad alcuni suoi colleghi che avevano aderito a una sigla sindacale, la nostra, la Fiom-Cgil

«Per tutto ciò abbiamo deciso di dire basta a queste minacce psicologiche, a questa continua violenza che ci nega i diritti più elementari. Combatteremo e continueremo a combattere usando  tutte le forme di lotta, anche a costo di arrivare davanti alla cittadinanza, sapendo che verremo compresi e che riceveremo solidarietà dalla popolazione del nostro territorio, che l’ha già dimostrato aderendo e partecipando allo sciopero generale del Samunto, proclamato dalla Cgil-Cisl-Uil lo scorso sabato 29 maggio.»

«Le nostre iniziative continueranno finché verranno ritirati i tre licenziamenti e si arriverà un confronto con l’azienda per il ripristino della nostra dignità e i nostri diritti.»

«Grazie ancora compagni e compagne della Fiom, grazie ancora per la solidarietà che avete dimostrato.» (Applausi dalla platea)

Dalla presidenza del Congresso: «Mi dicono che proprio oggi i tre segretari generali di Fim, Fiom e Uilm hanno inviato la lettera alla presidenza del Consiglio per chiedere un incontro.»

Altomare: «Vi ringrazio a nome di tutti gli operai». (Applausi)

Gianni Rinaldini: «Pronto, mi senti?»

Altomare: «Sì, sì, la sento.»

Rinaldini: «No, dammi del tu, non darmi del lei, non si usa tra di noi.» (Applausi)

«Ho saputo che stamattina si sono rotte le trattative. È vero?»

Altomare: «Stamattina abbiamo aperto la trattativa con la signora Polti, c’è stata una discussione molto accesa ma ha rifiutato di ritirare i licenziamenti. Addirittura ci accusa che noi qui in azienda stiamo bene, che lei non ha sbagliato nulla, che siamo noi che troviamo le scuse per non lavorare.»

Rinaldini: «So che ha proposto di trasformare i tre licenziamenti in cassa integrazione…»

Altomare: «Questo non è stata accettato dalle tre sigle sindacali, né dalla Cgil, né dalla Cisl e dalla Uil, ma hanno continuato a riproporre la cassa integrazione, e quindi noi ci siamo alzati dal tavolo e siamo andati via, perché tre operai sono come tre gocce d’acqua in un’azienda di 200 persone. Mi sembra un pochino strano che in un’azienda come la Polti non si riesca a ripristinare noi tre in qualche altro settore, perché noi abbiamo un contratto come tutti gli altri colleghi. Non so se tutti lo sanno, io sono una Rsu da poco eletta, e appena arrivata la comunicazione all’azienda che ero diventato Rsu e anche Rls per la Fiom-Cgil , neanche tre ore dopo, mi hanno licenziato in tronco. Qui siamo davanti a una vera e propria iniziativa antisindacale, contro la Fiom-Cgil

Rinaldini: «Avete fatto bene a rompere le trattative questa mattina (applausi). La proposta dell’azienda è inaccettabile. Proprio per questo, quando abbiamo saputo dell’interruzione della trattativa, noi abbiamo chiesto un incontro urgente con la presidenza del Consiglio, perché siamo di fronte a un evidente atto antisindacale e illegittimo, per tre licenziamenti di un delegato e due lavoratori iscritti al nostro sindacato. Noi ti salutiamo dandoti tutta la solidarietà della Fiom alla lotta che state conducendo (applausi). Decideremo in questo congresso, anzi lo abbiamo già deciso, che interverremo con la Cassa di resistenza a sostegno della vostra lotta (applausi)

Altomare: «Grazie ancora da parte mia e di tutti gli operai. Terremo conto veramente di questa solidarietà. Ringrazio veramente a nome di tutti.»

Rinaldini: «Siamo noi che ti ringraziamo… ciao Alessandro».


IMG_1672.jpg (103405 byte)Riportiamo alcuni passaggi dall’intervento di Massimo Brancato, segretario generale della Fiom-Cgil Napoli.

«La vertenza di Melfi è stato un modello di lotta. Con essa abbiamo anche avuto modo di toccare con mano la crisi del modello organizzativo della Fiat ed è stato sconfessato quel postulato secondo il quale le condizioni generali del Mezzogiorno garantiscono il pieno controllo della situazione e del comando aziendale.»

«La conclusione positiva della vertenza ha determinato un avanzamento della situazione generale e, forse, anche dei rapporti unitari. Ma nonostante questo successo, occorre tener presente lo stato di crisi in cui versa il sistema industriale e il Mezzogiorno. Tutti gli indicatori economici confermano che la recessione sarà lunga, produrrà danni rilevanti per il nostro paese e che risulta infondato l’ottimismo di quanti sostengono che la ripresa economica è imminente.»

«La crisi, vista dal Sud, risulta ancora più profonda, il quanto cresce in numero delle famiglie con un reddito sempre più vicino alla soglia di povertà, salgono i prezzi al consumo e non si assiste a una perdita d’acquisto dei salari. A ciò bisogna aggiungere che il Pil manifatturiero non cresce, che aumenta il tasso di mortalità delle imprese e il loro indebitamento verso il sistema creditizio. In un contesto simile, quindi, non deve destare meraviglia se il fenomeno del “nanismo” industriale assume dimensioni rilevati.»

Per Brancato dal congresso deve emergere la necessità di una vera svolta nella politica economica e industriale del paese e in essa il Mezzogiorno deve essere considerato un punto centrale.


bianchi.jpg (61912 byte)Sandro Bianchi, nel suo intervento, dà atto a Rinaldini che a suo tempo ebbe ragione a voler indire il congresso. La sua relazione e lo spessore degli interventi ne sono una valida dimostrazione.

In passato Bianchi spesso ha sentito dire che la Fiom è un ostacolo, che è paragonabile ad una banda di estremisti e che ha la testa voltata all’indietro. Ma oggi, dopo l’accordo Fincantieri e, prima ancora, quello della Fiat di Melfi, si chiede se è la Fiom ad avere lo sguardo rivolto al passato o sono gli altri che non sono in grado di leggere ed interpretare la realtà in cui si muovono.

Alla Fincantieri la conquista dell’accordo è paragonabile al viaggio che Cristoforo Colombo intraprese per scoprire l’America. Nel corso della traversata qualcuno avanzò dei dubbi sull’esito del viaggio ma, quando scoprirono il nuovo mondo, grande ed entusiasmante fu la gioia e l’orgoglio per l’impresa portata a termine. Così è stato anche per questa vertenza, nel corso di questi mesi ci è stato chi ha espresso dei dubbi, ma quando si è giunti al momento della firma grande è stata la soddisfazione della Fiom.

Le iniziative messe in campo dalla Fiom, come i precontratti, le lotte e il conflitto sono gli strumenti con cui la nostra organizzazione sta tracciando un percorso rivendicativo e contrattuale praticabile alternativo alle regole stabilite con l’Accordo del luglio ‘93.

Anche a Monfalcone, così come a Melfi, l’accordo Fincantieri nei prossimi giorni verrà sottoposto al voto libero e democratico dei lavoratori. Perché, si chiede allora Bianchi, Caprioli si ostina a sostenere che il referendum non può diventare lo strumento naturale per misurare il consenso dei lavoratori?

Ma con queste vertenze la Fiom ha anche compreso che se non ci fossero stati tanti giovani a protestare, a lottare non si sarebbe riusciti a ottenere risultati così importanti. Le dure condizioni di lavoro di questi ragazzi sono state la molla che hanno fatto scattare una protesta dai tratti duri  e con azioni clamorose; come il blocco del varo di una nave a Monfalcone.

In ultimo, Bianchi ribadisce la sua contrarietà alla privatizzazione della Fincantieri, poiché troppo spesso queste operazioni hanno prodotto un solo risultato: la scomparsa di importanti pezzi del apparato industriale italiano.

 


 

3 giugno 2004:

 

ORE 9.00: Arrivano i primi delegati, non si vedono quasi nel piazzale ancora

vuoto, ma è il segnale che il congresso comincia! E‘ tutto pronto? Quasi tutto …

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Ultimi frenetici ritocchi, ma il grosso del lavoro è fatto. I compagni dell’organizzazione sono qui da giorni per  preparare tutto, per offrire da subito un gran colpo d’occhio. Cosa risalta di più? La bandiera della Pace, un telo arcobaleno gigantesco: 30x20 metri, grande come la nostra voglia di pace, grande come l’impegno delle compagne che l’hanno cucito.

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Ore 9.30 – 10.00: Arrivano le prime delegazioni: Lombardia, Sardegna, Emilia Romagna, Veneto, e via via tutti gli altri. 

In attesa che comincino i lavori, i delegati scorrono per gli spazi che il Congresso offre loro: dopo una sosta al bar, si può visitare l’AREA STAND e l’AREA MOSTRE.

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Cosa si prova a “vedere” qui la storia della FIOM, scandita nelle date come un percorso della metro, tappe di lotta, di vita operaia, di impegno a fianco dei lavoratori: lo chiediamo direttamente a chi passa di qui.

 

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IMG_1557.jpg (65587 byte)Antonino Regazzi, segretario generale della Uilm, pur non condividendo alcuni passaggi della relazione di Gianni Rinaldini, ha evidenziato i temi sui quali è possibile una convergenza con la Fiom. E cioè,  schematicamente: una politica industriale non più basata sulla compressione dei salari; un vero piano industriale della Fiat che rilanci i siti produttivi in crisi come quelli di Mirafiori e di Cassino; lo studio di una piattaforma comune da presentare il prossimo ottobre in occasione del rinnovo del biennio economico del contratto; il ruolo centrale che ricopre il Contratto nazionale di lavoro e il superamento del patto di solidarietà in materia di elezioni delle Rsu.

Il punto su cui permane una divergenza è il ricorso al referendum. Per Ragazzi, la Rsu di fabbrica riveste un ruolo di primo piano sia per quanto riguarda la rappresentanza, sia per la piena titolarità di cui dispone per contrattare. Il ricorso al referendum mette in discussione queste due peculiarità delle Rsu. Il suo uso non può essere considerato lo strumento ordinario per valutare un accordo o un Contratto nazionale di lavoro.


IMG_1558.jpg (70797 byte)Per Giorgio Caprioli, segretario generale della Fim, il congresso della Fiom è un occasione di riflessione utile per tutto il sindacato italiano.

Il Patto per l’Italia o la firma separata del Contratto nazionale dei metalmeccanici sono sicuramente stati degli eventi difficili, traumatici. Oggi, però, si registrano delle convergenze molto importanti, le quali consentono al movimento sindacale tutto di non giocare di rimessa con il Governo e con Confindustria.

In questi anni si è assistito ad una crisi industriale senza precedenti. La sottrazione della ricchezza del settore industriale è andata a tutto vantaggio della rendita finanziaria. Colpevole di questo spostamento è il governo, il quale ha privilegiato la creazione di nicchie protette in cui dirottare la ricchezza.Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la produttività del settore metalmeccanico ha subito un calo allarmante.

Anche per Caprioli delle convergenze con la Fiom sono possibili. Al pari della Fiom, la Fim crede che sia giusto ed utile avviare un percorso che porti alla nascita di un contratto industriale. Così come è positivo che su alcune vertenze, come quella Fincantieri, si sia giunti ad un percorso comune.

Le divergenze sulle quali occorre avviare un confronto investo temi quali le scelte di politiche salariali, la validità dell’impianto della accordo del luglio ’93 e il ricorso al referendum.


IMG_1574.jpg (60239 byte)Giuliano Giuliani crede che la Fiom sia una delle poche organizzazioni che coltiva il valore della memoria. Solo la Fiom ha capito cosa realmente è successo a Genova, e cioè che Carlo Giuliani è stato assassinato due volte: una prima quando è stato sparato, una seconda con l’archiviazione del caso per impedire che la verità fosse svelata in un’aula di un  tribunale.

Da approfondite ricostruzioni con molta probabilità, al 99 per cento, a sparare Carlo non fu l’ausiliario Placanica, bensì una terza persona, forse un sottufficiale. Di tutto questo, però, non se ne parlerà mai, poiché i quattro consulenti del pubblico ministero hanno messo in piedi piste false per depistare le indagini. Questo fatto non deve sorprendere più di tanto, in quanto questi periti sono gli stessi che hanno contribuito a rendere impossibile accertare fino in fondo come fu assassinata la giornalista Ilaria Alpi.

Giuliani ritiene che per un accertamento completo della verità sia necessario istituire una commissione d’inchiesta parlamentare. Commissione che dovrebbe accertare quali responsabilità ricadono sugli esponenti del governo che erano presenti nella centrale operativa delle forze dell’ordine durante quella fatidica giornata del G8 di Genova.

Giuliani ha voluto chiudere il suo intervento ribadendo l’importanza di aderire alle manifestazioni indette per domani per rimarcare con forza come la maggioranza degli italiani ritengono la guerra un’offesa per la nostra nazione e per il popolo iracheno.