Same
Deutz-Fahr, Treviglio (Bg) La
Same Deutz-Fahr di Treviglio,
una delle imprese italiane più importanti nel comparto della produzione di
trattori (1.400 addetti), il 25 settembre ha firmato con la Rsu Fiom e la Fiom
territoriale il precontratto. È
un risultato importante, addirittura storico, se si pensa all’alto numero di
partecipanti al referendum, organizzato solo dalla Fiom, che ha visto
l’adesione di 823 lavoratori su 1.100, e la vittoria del sì con 791 voti
(pari al 96,58%). L’intesa
prevede un aumento salariale uguale per tutti di 120 euro, l’ultrattività del
Ccnl del 1999 – quindi senza il recepimento delle norme previste dalla Legge
30 riguardanti il mercato del lavoro, i nuovi orari superflessibili – e sul
precariato si prevede che, trascorsi 12 mesi di attività continuativa, il
rapporto di lavoro si trasformi a tempo indeterminato. Abbiamo
chiesto a Martino Signori,
segretario generale della Fiom di Bergamo, un’analisi del suo
territorio e del percorso seguito per l’apertura delle vertenze per il
precontratto. A seguire, le impressioni di due delegati (Giuseppe
- Simone) della Rsu Fiom in Same, di
come hanno vissuto questa esperienza.
Giuseppe, delegato Rsu Same, Treviglio Lavora
in Same da 23 anni, e dal 1996 fa parte della Rsu. È al reparto motori,che è
stato sui giornali negli ultimi tempi, perché dovrebbe essere smantellato nei
prossimi anni.
Allora, come è iniziata la vertenza per il precontratto?A
Treviglio c’è stata una grande spinta con la manifestazione del 23 giugno,
che ha coinvolto tutte le maggiori fabbriche della zona. Visto che non si
facevano più manifestazioni cittadine, è stata l’occasione per il rilancio
delle attività sindacali e quindi per il precontratto. La protesta è stata
effettuata anche da lavoratori di altre aziende, i lavoratori Same si sono
sentiti più caricati e finalmente abbiamo avuto un riscontro anche sui giornali
locali, che fino a quel momento avevano completamente snobbato la Fiom.
Avete avuto l’appoggio dei lavoratori?Da parte loro c’è stata molta convinzione, credevano in questa azione a tal punto che non c’è stata una grande difficoltà a seguirci, anche perché la nostra forza è concentrata tutta sulla produzione, che occupa la maggioranza dei lavoratori. Su 1.400 dipendenti, quasi 1.100 sono divisi tra operai diretti – quelli cioè coinvolti nella produzione (linee di montaggio, officina, macchine utensili) – e indiretti (manutenzione, magazzini, ricambi) quelli insomma che sono di appoggio alla produzione e non vengono messi in linea. C’è stata unità tra operai e impiegati?Gli impiegati sono stati un nostro punto debole, c’erano sì gli affezionati che hanno partecipato ad alcune iniziative, ma l’adesione totale non c’è stata, è una difficoltà che abbiamo anche a livello di contrattazione aziendale. Passando a distribuire i volantini con l’ipotesi di accordo ci siamo accorti che c’era molta ignoranza da parte loro sulle questioni in discussione, soprattutto per ciò che riguarda i soldi. È vero che leggendo solo i giornali, pensavi che il 7° livello avrebbe guadagnato solo 2 euro in più, però nell’arco dei due anni avrebbe recuperato qualcosa come 415-420 euro. Nei direttivi che facciamo diamo tutti la stessa valutazione: è un problema comune che si presenta tutte le volte che c’è una contrattazione aziendale e una nazionale, ogni volta che si sciopera. Ad eccezione di quando ci sono difficoltà aziendali, quando rischiano tutti il posto e allora partecipano in massa anche gli impiegati. Il problema vero è trovare nuove forme di protesta, bisogna pensare a un sistema per poterli coinvolgere: la cassa di resistenza potrebbe essere la cosa giusta, perché la Fiom deve pensare che agli operai questa situazione inizia a pesare, noi continuiamo a dire che bisogna stare uniti, però comincia a diventare difficoltoso. Qual è stata la strategia che avete seguito per arrivare al precontratto?Io penso che la firma di questo accordo sia dovuta soprattutto al fatto che lo scorso anno all’interno di questa azienda c’è stato un cambio di dirigenza, e ci ha avvantaggiato la nostra conoscenza di quello che era il piano produttivo, così le nostre azioni di lotta sono state organizzate in modo da essere più efficaci. All’inizio in realtà c’è stata qualche difficoltà, perché abbiamo effettuato ore di sciopero cercando di accontentare un po’ tutti i lavoratori, per cui abbiamo passato periodi in cui si faceva sciopero le ultime due ore di venerdì e logicamente c’era una maggiore partecipazione dei lavoratori, e il caldo di quest’estate è stato un nostro alleato. Il problema vero è arrivato quando abbiamo fatto altre iniziative intervallate durante la settimana, che terminavano sempre di venerdì, e questi scioperi durante gli orari settimanali pesavano sulla produzione. Fermavamo una linea, poi proseguivamo su una seconda linea, spostandoci nei vari reparti, in modo tale da non bloccare la produzione nella singola attività per non far pagare troppo ai lavoratori, ma per mettere in difficoltà l’azienda, tant’è che dopo ogni azione di questo tipo corrispondeva una chiamata da parte loro per manifestarci la loro preoccupazione. Quali pensavate che sarebbero stati gli scogli maggiori nella trattativa?Nel costruire la piattaforma, abbiamo seguito i punti indicati dalla griglia della Fiom nazionale, sul salario e sull’ultrattività del contratto del ’99; rimaneva la questione del precariato, ed era una delle cose sulla quale pensavamo che l’azienda avrebbe posto delle grosse problematiche, perché avevamo avuto una vicenda analoga lo scorso anno, dove per la prima volta con la nuova dirigenza erano stati espulsi dei lavoratori. Sono stati assunti poi con altre forme contrattuali, quando si sono accorti della bontà delle nostre posizioni. Questa nuova dirigenza non aveva conoscenza né del territorio né dell’andamento aziendale, parlo proprio a livello delle persone. Ma con l’esperienza dello scorso anno ci ha avvantaggiato nella trattativa per il precontratto sui lavori atipici e sul precariato. Ci sono stati momenti in cui avete pensato di non farcela?La trattativa è andata avanti con alti e bassi, per esempio alla fine di luglio sembrava che le cose andassero nella direzione giusta, tant’è vero che, forse noi abbiamo sottovalutato la fase organizzando lotte meno incisive, non spezzettate all’interno della giornata mentre forse bisognava accelerare. Da noi, poi, ci sono delle aree dove il blocco degli straordinari è impossibile, impossibile non sulla produzione, ma su quello che ormai viene effettuato normalmente all’interno dell’azienda. Abbiamo dovuto agire là dove potevamo farlo – sulla produzione – e siamo riusciti a ottenere dei risultati. Ovviamente l’azienda si è trovata in difficoltà e ha fatto dei tentativi per recuperare la produzione che veniva a mancare; tra l’altro quando c’erano azioni di lotta – è capitato un paio di volte – hanno tentato di far funzionare la linea, il giorno dopo rispondevamo immediatamente alla provocazione, per cui a un certo punto l’azienda ha rinunciato a fare cose che mettessero in condizione le linee di funzionare per far produzione durante gli scioperi. Cosa è successo con i delegati delle altre organizzazioni sindacali?Ci sono stati dei tentativi che ci hanno lasciato un po’ l’amaro in bocca da parte di un delegato di un’altra organizzazione, che probabilmente pressato esternamente, durante un’azione di lotta all’interno della fabbrica, mentre eravamo impegnati con il megafono nei reparti dove avevamo qualche debolezza e quindi c’era bisogno della nostra presenza per stimolare i lavoratori a lottare, questo delegato ci ha accusato di limitare la possibilità di lavoro, cosa assurda, sembrava fossimo su una riva del fiume e loro lavoravano sull’altra parte della riva. Ci sono stati altre provocazioni, alcuni delegati andavano tra i lavoratori a sostenere che non avremmo mai ottenuto alcun risultato, non c’era alcuna possibilità. Poi l’11 settembre abbiamo presidiato le portinerie, con la presenza dei lavoratori, per un’ora e mezza, ed è stato il giorno in cui si è sbloccata la situazione ed è entrata nel vivo la trattativa, anche perché quando siamo rientrati dalle ferie siamo partiti subito con 2 ore di sciopero nella prima settimana, e con azioni spezzettate all’interno dei reparti con manifestazioni interne: anche in questa occasione l’azienda è intervenuta subito dicendo che non si poteva continuare con questa situazione a quel punto abbiamo capito che la possibilità di sbloccare la situazione l’aveva in mano solo il nostro segretario, per cui abbiamo fatto una riunione e abbiamo deciso che toccava a lui portare avanti la trattativa, e infatti si è dimostrata la valutazione esatta. E dopo?Quando siamo arrivati all’ipotesi di accordo, la cosa è cambiata anche per i lavoratori iscritti alle altre organizzazioni, alcuni hanno disdettato le tessere, altri hanno cominciato a dire che avevamo ragione, e il cambiamento c’è stato: quando ci sono di mezzo i soldi, pochi o tanti che siano, si dimentica l’appartenenza a quel sindacato. La dimostrazione più bella che la Fiom aveva ragione c’è stata con il referendum, dove il risultato è stato senza dubbio il migliore in Same negli ultimi anni. Come ci si sente a portare avanti una trattativa così importante?Adesso, a risultato raggiunto, mi sento stressato anche perché noi veniamo da un periodo di contrattazione permanente: prima il nostro contratto interno, poi è uscita la questione dei lavoratori che dovevano essere lasciati a casa, poi siamo ripartiti col nuovo accordo. Avevamo appena firmato l’accordo – agli inizi di giugno – poi è uscita la questione del precontratto, per cui siamo passati dalla padella alla brace, per quanto riguarda l’impegno sindacale. E’ stato complicato gestire una situazione così, la Rsu Fiom è numerosa e mettere d’accordo tutte le teste è stato difficile, perché c’era quello più entusiasta e quello meno, però poi sul campo sono stati tutti compatti, tutti molto efficaci e convincenti. Il tuo atteggiamento qual è stato, che ruolo hai avuto all’interno della Rsu?Io facevo le opportune mediazioni fra i compagni della Rsu Fiom, ma devo dire che all’inizio la cosa sembrava molto difficile, chi ci credeva di più era Simone, lui lavora in un’area dove le difficoltà in produzione sono maggiori , sulle linee di montaggio dei trattori, Simone è il più critico che abbiamo, abbiamo un carattere completamente diverso. Io lavoro al reparto motori, ma durante le lotte non sapevo più dove lavoravo, andavo in tutti i reparti. Quando i lavoratori di un’area si sentivano depressi e bisognava caricarli, in altri reparti erano più “gasati”, pertanto bisognava mediare per poi andare avanti tutti insieme. Penso comunque che adesso il risultato si è ottenuto, oggi dopo il referendum abbiamo firmato, l’ipotesi di accordo è diventata accordo per tutti, meglio di così non poteva andare.
Simone, delegato Rsu Same, TreviglioLavora alla linea trattori.
Come avete articolato la protesta in Same?Siamo circa 1.400 dipendenti – compresi i lavoratori interinali nei reparti produttivi, che sono una novantina – sulle linee di montaggio ci sono parecchi giovani: più della metà hanno meno di 30 anni, perché il turn over è stato elevato negli ultimi anni. Insieme a loro abbiamo fatto un’assemblea, spiegando che per la Fiom la battaglia sul precontratto diventava una cosa vitale, necessaria per rompere il fronte di Federmeccanica. Siamo partiti con gli scioperi, a cui ha aderito anche il 60% dei lavoratori interinali, abbiamo visto che il consenso era elevato, ci credevano, hanno creduto nella Fiom perché volevano un contratto che migliorasse sia la parte normativa che salariale e che fosse dignitoso. Così siamo partiti con un pacchetto di sciopero di 10 ore, come avevamo concordato con la Fiom, poi abbiamo deciso di raddoppiarlo, a giugno abbiamo fatto un corteo per le vie cittadine di Treviglio che è riuscito benissimo, con la partecipazione di 500-600 persone e finalmente i giornali ci hanno dato uno spazio, hanno scritto che la Fiom scendeva in piazza contro il contratto separato. Durante i nostri scioperi l’azienda non è mai riuscita a fare un trattore-prodotto, perché nel settore produttivo l’adesione agli scioperi è andata anche oltre il 90% in alcuni reparti. Abbiamo fatto cortei interni nello stabilimento, scioperi spezzati – un’ora in una linea, un’ora in un’altra – e la fabbrica è stata con noi. E l’azienda come ha reagito?Era in difficoltà, l’amministratore delegato della Same ha chiesto di proseguire la trattativa con un funzionario esterno, e sono partiti i contatti con il segretario della Fiom di Bergamo, Martino Signori, a cui hanno detto di aver deciso di avviare la trattativa sul precontratto, perché se non facevano i trattori per loro era un problema e a quel punto siamo tornati ancora in assemblea con i lavoratori dicendo che eravamo vicini a una svolta, che il precontratto poteva venire chiuso anche nel mese di luglio, al massimo all’inizio di settembre. Che atteggiamento hanno avuto le altre organizzazioni sindacali?Ci hanno messo i bastoni fra le ruote e per questo l’azienda si è un po’ bloccata, allora abbiamo dato un’accelerata: a luglio abbiamo fatto 20 ore di sciopero, al rientro dalle ferie siamo partiti subito con altri scioperi e a quel punto la trattativa partiva seriamente e dovevamo concluderla in tempi brevi. Quali sono state le richieste che avete fatto a Same?Quando da noi era stata votata la piattaforma per il contratto nazionale, aveva stravinto la scelta “soldi uguali per tutti”, quindi i lavoratori ci hanno sempre chiesto di non ripensarci. Questo è stato il punto fondamentale, siamo partiti col dire che i soldi d’aumento non dovevano essere riparametrati ma uguali per tutti. Poi l’altra cosa che i lavoratori chiedevano era che doveva essere riconosciuta tutta la parte che riguarda l’ultrattività del contratto del ’99; erano disposti per questo a chiedere 115 euro piuttosto che 120. L’abbiamo risolta così: in totale abbiamo fatto 56 ore e mezzo di sciopero, e penso che abbiamo portato a casa un buon contratto. C’è stata unità tra i lavoratori, in questa vertenza?I lavoratori sono stati compatti con noi, sia i giovani che gli anziani. Sì, c’è stato qualcuno spinto dalle altre organizzazioni sindacali che diceva che queste ore di sciopero non avrebbero portato a casa niente, ma noi capivamo che anche l’azienda voleva stringere, avevamo in mano qualcosa da spendere con i lavoratori, eravamo convinti che la cosa era fattibile. Poi ogni giorno bene o male c’era qualche azienda che firmava il precontratto, in Emilia, in Toscana, in Lombardia, e i lavoratori erano fiduciosi. Ora, a firma fatta, anche i più scettici ci fermano e ci dicono: “Complimenti, non credevamo che riuscivate a farlo”. È stato un periodo faticoso, si faceva sempre tardi, e poi se andava male…c’eravamo spesi in prima persona coi lavoratori, è stato importante firmare il precontratto. Ci abbiamo creduto, e questo entusiasmo l’abbiamo trasmesso ai lavoratori. |