Da Melfi alla Sevel: l’eguaglianza e la dignità avanzano in Fiat

 

Maggio 2005. Val di Sangro, Atessa in provincia di Chieti, stabilimento Sevel, 5.000 dipendenti diretti, 500 interinali e 500 terziarizzati che lavorano all’interno dello stabilimento, quindi 6.000 addetti. Producono il Ducato con una joint venture con la Psa, che ha uno stabilimento analogo a Valenciennes in Francia. Fra aprile e maggio si è definito un accordo su salario, occupazione, investimenti industriali e diritti per la Sevel.

Perché è una cosa eccezionale? Perché Sevel è una società di Fiat Auto e quindi dovrebbe essere in piena crisi, ma il Ducato si vende e il Nuovo Ducato ha una prospettiva di vendita identica, se non migliore.

In realtà è il vento di Melfi che colpisce, perché la Sevel, costruita nel 1981 con un accordo che prevedeva salari più bassi del resto di Fiat Auto e una tempistica dell’organizzazione del lavoro basata su un’applicazione del Tmc avanzato (e quindi con tempi di produzione più stressanti per i lavoratori) aveva sempre rifiutato di applicare l’equiparazione con il resto del Gruppo Fiat.

A luglio del 2004 l’azienda chiamò le organizzazioni sindacali e memore di quanto era avvenuto a Melfi propose una semplice perequazione sulle maggiorazioni, così come si era realizzato a Melfi. I compagni della Sevel non accettarono questa impostazione e anche utilizzando un dibattito che si era aperto in fabbrica, grazie alle richieste presentate dalla Fiom lo stesso anno – a febbraio del 2004 con un precontratto votato dalla maggioranza dei lavoratori – decisero che l’equiparazione doveva essere fatta su tutto il livello di diseguaglianza che esisteva con il resto del Gruppo Fiat. La cosa più bella è che questo venne fatto e portato avanti con tutte le sigle sindacali, unitariamente da tutto il gruppo dei delegati che votarono a ottobre una vera e propria piattaforma rivendicativa, presentata all’Azienda a novembre. L’Azienda fece finta di niente, disse che non aveva margini di trattativa e propose gli scambi sull’organizzazione del lavoro e sull’introduzione del terzo turno, altrimenti avrebbe portato tutta la produzione in Brasile.

Testuali parole del direttore del personale di Fiat Auto, a una trattativa in Unione industriali di Chieti.

Iniziarono le lotte, cortei interni con tutti i lavoratori, compresi i segretari nazionali che svolgevano le assemblee e che vennero diffidati dalla direzione dello stabilimento a percorrere le navate dello stesso. Indifferenti a tutte le diffide e le contestazioni continuarono a scioperare con i lavoratori. Il fatto eccezionale era che queste iniziative di lotta portavano con sé l’adesione di oltre il 90% dei lavoratori. L’Azienda incominciò a mandare lettere di richiamo, arrivando al licenziamento di un delegato della Fim, per un diverbio con un responsabile di officina. È ancora in corso il procedimento giudiziario, perché ovviamente noi abbiamo sempre detto che era del tutto ingiustificata la scelta di Fiat di effettuare questo licenziamento. Ovviamente questa azione repressiva aveva lo scopo di intimidire e bloccare le iniziative di lotta. Ma non servì a nulla. Così come non servì la richiesta di Fiat di sospendere gli scioperi durante le trattative.

Una fase ulteriore di iniziative di lotta fu quando la Sevel pretese di comandare l’effettuazione dei sabati di straordinario in presenza della piattaforma rivendicativa. Ancora una volta la risposta, al di là delle presenze al sabato mattina alle quattro, per verificare chi entrava al turno del sabato mattina davanti ai cancelli, fu la totale adesione dei lavoratori che decisero di non accettare l’invito dell’azienda a recarsi al lavoro; a parte gli interinali e quelli che erano in trasferta da altri stabilimenti. E finalmente l’Azienda decise di muoversi dalla concessione della semplice equivalenza salariale delle maggiorazioni, concedendo un aumento per le specificità della Sevel e – contemporaneamente – accettando di modificare il rapporto esistente di un programma di sviluppo dello stabilimento con i criteri di assunzione per i lavoratori interinali che, nell’arco di un anno, vengono assunti a tempo indeterminato.

La sintesi dell’accordo che alleghiamo è la chiara dimostrazione che si può ottenere, quando c’è il lavoro, anche in un momento di crisi, qualche significativo risultato. Con questo accordo si chiude, nel panorama italiano, l’esistenza in Fiat di stabilimenti con valori salariali differenti tra Sud e Nord, e tutti i lavoratori hanno la stessa dignità. Ora la battaglia si trasferisce sulle condizioni di lavoro, sull’organizzazione, sulla metrica. In realtà sull’ipotesi che ancora il Gruppo Fiat possa esistere in Italia.

Ovviamente il tutto è stato votato, sia all’andata che al ritorno, da tutti i lavoratori con un referendum che alla fine ha dato il risultato del 70% a favore e del 30% contrario.

 

Lello Raffo, coordinatore settore auto per la Fiom-Cgil