(Da : “Il Riformista”, mercoledì 13 dicembre 2006)

 

FISCHI, NON FIASCHI. CGIL, CISL E UIL HANNO PESO E SEGUITO

Mirafiori? Io dico che i sindacati hanno vinto

Preoccupante sarebbe stato il disinteresse degli operai

  di Fernando Liuzzi

 

Dite quel che volete, ma secondo me Epifani è uscito rafforzato dall’ormai citatissima assemblea delle Carrozzerie da lui tenuta, il 7 dicembre, a Mirafiori. Fischi compresi? Fischi compresi. E non solo perché aveva ragione Churchill, o chiunque altro sia stato, quando affermò “Che si parli male di me, purché si parli di me”. Ma perché ciò che è realmente successo a Mirafiori non è affatto una sconfitta né per la Cgil, né per i sindacati confederali. Anzi, questa memorabile giornata offre ai sindacati una buona carta da giocare ai tavoli che si apriranno a gennaio con Governo e Confindustria.

Partiamo dunque dai fatti, o meglio dalla loro immagine. Indubbiamente ciò che di quella giornata è arrivato all’opinione pubblica, intesa nel senso più ampio e generico, è un messaggio non positivo. “Mirafiori, contestato Epifani” ha titolato La Stampa di venerdì 8. “Fiat, contestati i leader sindacali”, ha fatto coro La Repubblica dello stesso giorno. Ma come? Gli operai fischiano i sindacalisti? Anzi, di più: gli operai di Mirafiori, la fabbrica più famosa del nostro paese, fischiano i leader di Cgil, Cisl e Uil, ovvero i tre sindacalisti più importanti in circolazione? Una notiziona, devono essersi detti in più di una redazione. Perché è una notizia che assomiglia molto al classico esempio dell’uomo che ha morso il cane. E giù paragoni storici, immagini d’archivio, riquadri e poi commenti e ancora commenti. Manca solo la foto della feroce contestazione.

Passiamo allora ai fatti. Tornate a scorrere con attenzione i racconti scritti in presa diretta dai cronisti d’agenzia o dai quotidianisti veramente presenti e scoprirete che la feroce contestazione non c’è stata. Ci sono state invece, come si direbbe in sindacalese, tre assemblee “vere”, tenute in una grande fabbrica metalmeccanica. Dalle 2.000 alle 1.500 persone radunate nello stesso capannone con due ore di tempo per far capire ai leader massimi del sindacalismo nostrano che cosa pensano della finanziaria, del proprio lavoro e della propria vita.

Come sa ogni sindacalista, il vero pericolo, in questi casi, è il disinteresse. Oppure, la distanza, la distrazione, la noia. Epifani, invece, è stato ascoltato con attenzione e quindi anche interrotto, fischiato, applaudito. Ma non contestato. Semmai, ciò che è stato “contestato”, e questo è il punto, è la condizione operaia in questo inizio di quel che viene simpaticamente chiamato terzo millennio. Perché siamo ancora lì. Fatica fisica nel senso stretto del termine. Insomma muscoli e acido lattico. Orari pesanti e tali da rendere difficile i rapporti con gli altri (6.00-14.00, 14.00-22.00). E il tutto in cambio di salari molto, molto modesti.

Perché dico che Epifani, Bonanni e Angeletti sono usciti dai cancelli di Mirafiori più forti di come c’erano entrati? Perché a prezzo di qualche fischio, di qualche grido, di qualche più o meno rumoroso dissenso, dentro alla notizia della “contestazione” antisindacale sono riusciti a farne  passare un’altra. Anzi, ne hanno fatte passare altre due o tre, come i compagni di Ulisse aggrappati sotto alle pecore di Polifemo.

Primo: che l’Italia è un grande paese industriale con grandi fabbriche che producono beni di consumo durevole. Ed è appunto questo il messaggio che viene veicolato mostrando che, dopo anni di incertezza e di crisi, la Fiat è tornata a produrre a Mirafiori con volumi crescenti. Secondo: che in queste fabbriche lavorano migliaia di signori e signore che indossano apposite tute. Insomma gli operai non sono un ricordo del passato, ma sono nostri contemporanei. Terzo: che i lavoratori dell’industria, oltre a essere nostri contemporanei non sono neanche pochi. Su 16 milioni di lavoratori dipendenti attivi in Italia, gli addetti all’industria metalmeccanica, tanto per fare un esempio, sono circa 2 milioni. Insomma, un lavoratore su otto. Quarto: che queste signore e questi signori non sono particolarmente contenti della loro condizione lavorativa, dei loro salari e, più in generale, del posto che occupano nella società. Anzi, sono scontenti e diffidenti. Nei confronti  delle imprese, certo. Della politica, anche. E, perché no, dei sindacati. I quali, come ha sottolineato giustamente Bonanni, in fabbrica comunque ci entrano e con i lavoratori discutono.

Morale della favola. La rappresentanza sociale è una cosa difficile Anche dura. Ma, soprattutto, seria. Adesso tutti sanno che Epifani, Bonanni e Angeletti non sono solo tre individui isolati. Trattano in nome e per conto di persone concrete.