NOTA STAMPA
Industria
della difesa. A Roma, Assemblea nazionale I rapporti tra politica industriale, commercio estero e collocazione internazionale dell’Italia sono stati al centro dell’Assemblea nazionale dei delegati delle aziende del settore difesa che è stata promossa dalla Fiom-Cgil e che, con la parola d’ordine “Prima di tutto la pace”, si è tenuta a Roma martedì 18 marzo. Nella sua relazione introduttiva, Riccardo Nencini, segretario nazionale della Fiom ha innanzitutto disegnato un’immagine del contesto internazionale oggi drammaticamente segnato dall’annunciato intervento militare angloamericano in Iraq. “Contrariamente a quello che raccontano certi giornali interventisti, non c’è nessuna contraddizione tra il fatto di lavorare in un’impresa che produce apparecchiature e armamenti per la difesa e la volontà di essere attivi nel movimento per la pace.” Il problema, infatti, nell’impostazione tradizionale della Fiom, non è se avere o meno un’industria delle difesa ma quali indirizzi e quali finalizzazioni dare a quest’importante settore. “Negli anni Novanta – ha ricordato Nencini – la Fiom ha lavorato per guidare la ristrutturazione del settore difesa verso una sua decisa integrazione europea.” Questa scelta aveva una duplice valenza: industriale e politica. Da un punto di vista industriale, le dimensioni delle maggiori imprese italiane del settore sono troppo piccole per consentire a queste imprese di porsi da sole come competitrici sul mercato internazionale ma sono abbastanza sviluppate da consentire a queste stesse imprese di ricercare le opportune alleanze su scala europea in modo da costruire consorzi e joint ventures finalizzati alla progettazione e alla produzione di apparati capaci di reggere la competizione internazionale. Da un punto di vista politico, ha poi ricordato Nencini, tale scelta significa dare un contributo strutturale alla costruzione dell’Europa intesa come soggetto capace di agire politicamente su scala globale. Il governo Berlusconi ha invece abbandonato questa linea di integrazione europea e tende a favorire una collocazione delle imprese italiane quali semplici subfornitrici dell’industria militare degli Stati Uniti. Una scelta negativa, da un punto di vista politico, perché antieuropea e disastrosa, da un punto di vista industriale, perché deprime le potenzialità innovative e competitive delle nostre imprese. Un altro aspetto negativo delle scelte politiche compiute dal governo Berlusconi è che in questa collocazione di subfornitura verso i colossi della difesa statunitense diventa assai più difficile lo sviluppo di quelle tecnologie duali che possono favorire operazioni di riconversione da produzioni strettamente militari a produzioni dotate di elevato interesse rispetto alle loro possibili utilizzazioni civili. Un terzo aspetto negativo della politica portata avanti dall’attuale maggioranza è quello del rapporto tra produzione di armamenti e commercio estero. La Legge 185/1990, tuttora vigente nel nostro paese, ha, a giudizio della Fiom un’utile funzione restrittiva nel senso che è volta a impedire la vendita di armamenti a paesi impegnati in conflitti bellici o noti per la loro propensione a violare i diritti umani. Nel 2000 – ha ricordato Nencini – sei paesi europei hanno firmato in Inghilterra, in occasione della fiera di Farborough, un documento con cui si proponeva di creare uno spazio industriale e commerciale finalizzato a impedire che, attraverso il meccanismo delle cosiddette triangolazioni, le vendite di armamenti da un paese produttore a un paese lecitamente acquirente finissero poi per arrivare nelle mani di un terzo Stato che invece, a causa dei propri comportamenti, non dovrebbe riceverle. In altri termini, l’accordo di Farborough doveva portare a un miglioramento della capacità effettiva della legislazione europea di impedire le forniture di armamenti a paesi caratterizzati da comportamenti non corretti. L’attuale maggioranza sta però cercando di utilizzare l’opera di aggiornamento della Legge 185/90 in tutt’altra direzione, ovvero allargando le maglie della legislazione italiana fino al punto in cui sarà praticamente impossibile impedire le triangolazioni illecite. A tutto ciò si aggiunge il ricordo di quanto avvenne durante la guerra del Golfo del 1991 quando il rafforzamento delle misure di sicurezza nelle imprese del settore difesa portò a una oggettiva limitazione delle libertà di movimento e di azione non solo delle organizzazioni sindacali ma dei singoli lavoratori. Su tutti questi terreni, ha affermato Nencini, la Fiom è quindi impegnata per contrastare le linee della politica dell’attuale governo. Nel corso del dibattito, cui hanno partecipato i delegati di varie importanti aziende del settore (Agusta, Galileo, Alenia Spazio, Mbda), sono intervenuti anche rappresentanti del comitato “Fermiamo la guerra” e di Archivio disarmo. Fiom-Cgil/Ufficio stampa Roma, 19 marzo 2003 |