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Nota Informativa dell’Ufficio sindacale

 

LA FEDERMECCANICA MASCHERA CON IL RISPETTO DELLE REGOLE LE SUE PREGIUDIZIALI E I SUOI TENTATIVI DI DISCRIMINAZIONE VERSO LA PIATTAFORMA DELLA FIOM.

Il 20 gennaio si è svolto il primo incontro per la vertenza per il rinnovo del Contratto nazionale dei metalmeccanici, contratto Federmeccanica.

E’ bene ricordare che per la prima volta da quarant’anni al tavolo sono presenti diverse piattaforme delle varie organizzazioni sindacali. E’ bene anche ricordare che quella presentata dalla Fiom è stata sottoposta a referendum e che oltre 444.000 metalmeccanici entro il 17 gennaio, più altri 10-15.000 lavoratori nelle date successive, hanno partecipato al voto. La piattaforma ha avuto un consenso del 97% tra i votanti. Si può dire quindi che 460.000 metalmeccanici hanno complessivamente condiviso e sostenuto la consultazione e la proposta della Fiom.

Al tavolo delle trattative la Federmeccanica, con il suo presidente, ha presentato un documento che complessivamente la Fiom ha giudicato estremamente negativo perché nei fatti rifiuta il negoziato. Saranno i prossimi incontri, a partire da quello previsto per il 3 febbraio, a verificare se la Federmeccanica intenda trattare o meno, in ogni caso le pregiudiziali contenute nel documento e le forzature interpretative sulle regole dell’accordo del 23 luglio 1993 sono per la Fiom inaccettabili.

Il documento della Federmeccanica

L’associazione degli industriali ha presentato un quadro molto negativo della situazione industriale del settore. In particolare è stata evidenziata la contrazione dell’attività produttiva complessiva nel biennio 2001-2002, concentrata in particolare nei settori dei mezzi di trasporto, delle telecomunicazioni e dell’elettronica.

E’ questo un dato evidente, così come quello della crisi Fiat, che secondo la Federmeccanica raggiunge fino a un milione di lavoratori. E’ per questo che la Fiom ha chiesto, sinora inascoltata, un confronto con le principali aziende e con tutte le istituzioni, a partire dal governo, sullo stato del settore metalmeccanico. Sarebbero necessari interventi straordinari e strategici nel settore delle politiche industriali, mentre invece anche la Federmeccanica non spiega in alcun modo per quali ragioni si stia assistendo a una perdita di competitività dell’industria e complessivamente del sistema paese.

Il documento non accenna in alcun modo a nessuna ragione strutturale su questo, in realtà non se la prende neppure, come tradizione, in maniera esclusiva con il costo del lavoro, di cui si lamenta comunque la crescita eccessiva. Per l’organizzazione degli industriali le difficoltà e le crisi in atto sono inspiegabili e inspiegate.

In ogni caso le difficoltà del settore non possono essere prese a giustificazione per le posizioni assunte sul contratto. La stessa Federmeccanica non lo fa. Infatti non argomenta i propri no con la situazione di fatto, ma con pregiudiziali politiche che si fondano tutte sull’interpretazione che l’associazione degli industriali dà dell’accordo del 23 luglio e della politica dei redditi.

La Federmeccanica e il 23 luglio

Secondo l’associazione degli industriali le piattaforme sono “tutte non conformi al Protocollo del luglio ’93 (…) quella della Fiom si caratterizza per radicalità, onerosità e soprattutto, distanza dalle regole del Protocollo di luglio”.

E’ bene ricordare che la Federmeccanica, per un lungo periodo, è stata molto critica verso il protocollo di luglio, e che per diversi contratti essa ne ha contestato l’applicazione. Nel contratto salariale del ’96 la Federmeccanica riconobbe la validità protocollare dei calcoli sindacali sul recupero salariale, ma si rifiutò di accettarli lo stesso e il contratto si chiuse con una mediazione del ministro del Lavoro. Ora, improvvisamente, la Federmeccanica si scopre tutrice rigorosa delle regole del protocollo. Al di là della strumentalità è bene allora chiarire che quelle regole sono molto articolate e che gli stessi contenuti della politica dei redditi sono legati a più fattori, che naturalmente in gran parte la Federmeccanica trascura.

E’ bene ricordare che gli impegni specifici del protocollo del 23 luglio ’93 riguardavano l’impegno comune all’ottenimento di un tasso di inflazione allineato alla media dei paesi comunitari economicamente più virtuosi e quello alla riduzione del debito e del deficit dello Stato ed alla stabilità valutaria. Grazie alla moderazione e ai sacrifici salariali dei lavoratori questi obiettivi sono stati raggiunti.

Ma il protocollo pone tra i suoi obiettivi la difesa del potere d’acquisto delle retribuzioni e delle pensioni e quindi il sindacato deve valutare concretamente le condizioni per il quale questo obiettivo può essere realizzato. Il protocollo comporta impegni per tutte le parti e un sistema di regole, che poi è stato trasferito nei contratti nazionali. E’ evidente, allora, che gli impegni di tutte le parti sono la condizione perché vi sia una politica dei redditi concertata.

Le inadempienze del governo e delle imprese

Il governo e la Confindustria hanno esplicitamente dichiarato di non voler concertare una politica dei redditi, ma di puntare esplicitamente a un non meglio precisato dialogo sociale. E’ evidente allora che sono i risultati concreti degli impegni delle parti a definire l’applicazione reale della politica dei redditi. Il protocollo impegna il governo, i titolari d’impresa, i gestori delle imprese a comportamenti coerenti. L’andamento dei prezzi dei servizi, delle tariffe, della spesa sociale non solo non è stato discusso con le organizzazioni sindacali, ma è stato lasciato andare o deciso in maniera assolutamente libera.

Siamo di fronte ad aumenti tariffari dei servizi, delle prestazioni sociali che eccedono largamente non solo i tassi di inflazione programmata, ma anche quelli ufficiali registrati dall’Istat. Quindi siamo di fronte a comportamenti inflazionistici di parti che avrebbero dovuto, invece, essere le prime a garantire l’applicazione della politica dei redditi.

In questo contesto l’individuazione di tassi programmati d’inflazione, al di fuori della definizione di “obiettivi comuni” tra le parti sociali, che comprendano anche la crescita del prodotto lordo e dell’occupazione, rappresenta un atto unilaterale del governo che non può impegnare e vincolare le organizzazioni sindacali.

E’ evidente infatti che se il governo, in assenza di qualsiasi politica condivisa sul fisco, sulle tariffe, sull’occupazione, decide comunque tassi di inflazione programmata largamente inferiore all’inflazione reale, il governo stesso programma la riduzione del potere d’acquisto dei salari. Non esiste regime sindacale al mondo nel quale, in assenza di concertazione tra le parti, il sindacato debba attenersi alla dinamica dell’inflazione decisa del governo. Tranne che nei regimi autoritari. Per queste ragioni quella di Federmeccanica è una pura interpretazione di parte del 23 luglio, coerente con le posizioni sempre assunte da quella organizzazione e non può in nessun modo essere accettata come interpretazione autentica delle regole.

Ulteriori inadempienze del protocollo del 23 luglio

Se si prende in considerazione l’intero protocollo è bene considerare che la politica dei redditi è parte di impegni complessivi sul piano dell’occupazione e dello sviluppo che oggi non sono attuati. Il governo, in particolare, avrebbe dovuto garantire uno sviluppo dell’innovazione e della ricerca tale da garantire una crescita di competitività positiva del sistema italiano. Il protocollo del 23 luglio indicava l’obiettivo di far crescere la spesa per la ricerca e per l’innovazione dall’1,4% del Pil al 2,5-2,9% di quello su cui si attestano i paesi più industrializzati. L’obiettivo intermedio era quello di raggiungere una spesa per la ricerca e l’innovazione pari al 2% del Pil. Attualmente le spese per la ricerca sono sotto l’1% del Pil e è di questi giorni la clamorosa protesta dei rettori, e di tanti istituti di ricerca pubblica, per il taglio alle spese per la ricerca. Così pure il protocollo prevedeva l’obbligo scolastico fino a 16 anni, mentre la riforma attuale lo prevede fino a 15.

Mancano inoltre in tutta Italia interventi mirati sull’occupazione e sullo sviluppo e una politica della qualità del lavoro che era tra gli impegni del protocollo. Anzi, il governo con il Patto per l’Italia e le deleghe sul mercato del lavoro, non solo ha messo praticamente in discussione qualsiasi modello concertativo, dichiarandolo esplicitamente. Ma è anche intervenuto su temi già definiti nel protocollo, in particolare peggiorandone tutte le parti relative alla flessibilità e della precarietà del lavoro.

La posizione della Fiom

La Fiom ha elaborato la sua piattaforma tenendo conto di tutto il sistema delle regole, esercitando solamente un proprio autonomo diritto di valutazione sui riflessi che la crisi della politica dei redditi, dovuta a comportamenti sbagliati del governo e delle imprese, ha avuto sul salario dei lavoratori e sulla sua tutela.

La Fiom ha costruito la propria richiesta salariale sulla base di tre addendi, assolutamente compatibili con le regole prevista dal protocollo.

Il primo è il recupero del differenziale tra inflazione programmata e inflazione reale nel biennio precedente. Non si può chiedere alla Fiom, che non ha sottoscritto l’accordo separato del 2001, di applicare quel calcolo riduttivo del differenziale, che è proprio la ragione della mancata sottoscrizione dell’intesa.

Il secondo è una previsione sull’inflazione attesa, visto che oggi il tasso di inflazione ufficiale è del 2,8%, mentre quello programmato nel 2003 è all’1,4%. Non essendoci obiettivi comuni, come previsto dal protocollo, tra le parti nell’inflazione programmata è assolutamente legittimo che la Fiom eserciti il suo diritto alla tutela del potere d’acquisto dei salari sulla base di stime realistiche dell’inflazione.

Il terzo è determinato dalla redistribuzione tra tutti i lavoratori di una quota di produttività media di settore.  Il protocollo del 23 luglio non esclude assolutamente che l’andamento della produttività di settore possa venire discusso nei contratti nazionali. La stessa Federmeccanica ha accettato nel passato contratto di discutere in presenza di questa richiesta, anche se poi ha rifiutato di sottoscriverla. Anche in questo caso siamo dunque di fronte a posizioni legittime sulle quali la risposta può essere solo di merito e non pregiudiziale.

E’ bene inoltre ricordare che il contratto nazionale riguarda non solo il biennio salariale, ma anche il quadriennio normativo. Occorre quindi che al tavolo delle trattative le parti ragionino non solo sullo stato immediato del settore, ma anche sul suo futuro per un periodo medio. Non possono, quindi, essere sollevate obiezioni di compatibilità alle altre richieste contenute nella piattaforma, quelle sull’orario, sull’inquadramento, sui diritti e soprattutto a quelle sulla precarietà del lavoro.

Qui la Federmeccanica scrive che la Fiom vorrebbe forzare ambiti e competenze del Contratto nazionale “usandolo come ariete contro le leggi di flessibilizzazione e modernizzazione del mercato del lavoro che il Parlamento italiano ha varato sia nell’attuale che nella precedente legislatura”. Anche qui è inaccettabile ogni pregiudiziale in quanto da sempre i contratti hanno rappresentato un’occasione per migliorare le normative di legge. La Federmeccanica può non essere d’accordo sulla estensione dei diritti e sulla riduzione della precarietà, ma non può presentare pregiudiziali, né tantomeno pretendere che il Patto per l’Italia sia una sorta di allegato clandestino all’accordo del 23 luglio.

L’andamento reale dei salari

La Federmeccanica sostiene nel suo documento che non esiste una questione salariale dei lavoratori metalmeccanici. A parte la paradossalità dell’affermazione è bene sottolineare che i dati che l’associazione degli industriali utilizza a suffragio della sua tesi sono incompleti e distorti. La Federmeccanica parla di un andamento delle retribuzioni medie lorde metalmeccaniche nel periodo tra il 1995 e il 2002 che registra un incremento del 27,9% rispetto al 17,9% del costo della vita.

A parte il fatto che a seconda del periodo preso si possono registrare rilevanti variazioni, è bene sottolineare che il dato delle retribuzioni medie lorde metalmeccaniche, comprensivo degli straordinari e degli aumenti di merito, è un dato largamente inattendibile per la contrattazione.

Viceversa il dato sulle retribuzioni contrattuali indica un andamento di esse mediamente pari o al di sotto dell’inflazione reale, tranne poche eccezioni, nel periodo considerato. Il costo del lavoro per dipendente al netto della Cig, fatto 100 il 1995, è 105,2 nel 2002, con una dinamica largamente inferiore a quella dell’inflazione. Per quanto riguarda le paghe, mentre operai e apprendisti tra il 1999 e il 2002 hanno visto una caduta leggera delle loro retribuzioni lorde (fatto sempre 100 il 1995, nel 1999 un operaio prendeva 109,7, nel 2002 109,1), mentre dirigenti e impiegati ricevevano 118,4 nel 1999 e 123,2 nel secondo semestre 2002.

Siamo dunque di fronte a un andamento medio che non vuol dire niente. Ci sono lavoratori che con gli aumenti unilaterali delle aziende e con particolari condizioni normative, oltreché con la contrattazione aziendale, hanno tenuto meglio rispetto all’inflazione, tanti altri che sono andati sotto. Per quanto riguarda la Fiom il riferimento è ai salari contrattati e non certo a quelli che si raggiungono con gli straordinari o con gli aumenti che le aziende danno evitando qualsiasi contrattazione.

Se si sta su queste basi, si scopre allora che la qualità e la quantità della rivendicazione della Fiom non solo è legittima, ma rappresenta anche un adeguato recupero di perdite registrate nel passato soprattutto, ma non solo, dai livelli più bassi.

 

 

 

La prosecuzione della vertenza

 

Proprio perché la Federmeccanica non può essere l’interprete unica delle regole non è accettabile che sia essa a decidere qual è il “perimetro” della trattativa. E’ questa una pratica con la quale ci siamo già scontrati in altre vertenze perché il perimetro del confronto è il confronto stesso e nessuna parte può decidere che vi sono richieste che devono essere tagliate o stralciate dalla piattaforma.

Così pure la Federmeccanica non può emettere pregiudiziali rispetto alle lotte che organizza la Fiom.

Il contratto parla chiaramente di azioni dirette rispetto alla trattativa in corso. Non è quindi quella contrattuale una norma antisciopero generale. La Fiom ha da tempo proclamato lo sciopero dello straordinario, che continua, proprio a causa dell’accordo separato del 2001. Chiedere di revocarlo per poter trattare sarebbe un’interpretazione inaccettabile delle regole. Così pure chiedere alla Fiom di non proclamare scioperi a difesa del lavoro e dei suoi diritti, al di fuori del contesto della trattativa, rappresenterebbe un’inaccettabile attacco al diritto costituzionale di sciopero.

La Fiom, quindi, starà al tavolo con la richiesta di vedere discussa punto per punto la piattaforma presentata, perché completamente compatibile con il quadro di regole nel quale si sono svolti tutti i contratti. Sarà il merito a definire le posizioni delle parti, mentre ogni rifiuto pregiudiziale a rispondere su di esso, sarebbe considerato il frutto di un evidente tentativo di discriminare un interlocutore rappresentativo al tavolo della trattativa.

La stessa posizione proporrà la Fiom alla Confapi e alle associazioni cooperative per gli incontri di apertura della vertenza contrattuale che si svolgeranno ai primi di febbraio. 

Ulteriori valutazioni saranno compiute dall’Assemblea dei delegati Fiom

prevista per il 14 febbraio a Bologna.

F I O M

Roma, 21 gennaio 2003