UFFISIND7 Nota Informativa
dell’Ufficio sindacale
AUTORITARISMO,
UNILATERALITA’, ACCORDI SEPARATI, IL VERSANTE NELLE RELAZIONI SINDACALI DELLA CRISI FIAT. La crisi Fiat ha molti aspetti, produttivi, finanziari, di mercato, di ricerca e progettazione, ma è importante sottolineare che un progressivo degrado delle relazioni sindacali, che per altro sono state sempre di basso livello, ha accompagnato tutta l’evoluzione negativa della crisi del Gruppo. Si può dire che dall’accordo con General Motors in poi (marzo 2000), il già asfittico sistema di relazioni sindacali nel Gruppo si è completamente atrofizzato. L’aggravamento della crisi è stato scandito da una degenerazione dei rapporti sindacali che è poi sfociata nell’ultimo atto senza precedenti, quello di un accordo tra governo e azienda che esclude il sindacato e i lavoratori, ma riguarda soprattutto loro. Vogliamo qui elencare i principali passaggi di questa degenerazione e cogliere alcuni punti di fondo. Cronologia
Marzo 2000. Si realizza l’accordo tra Fiat e Gm. Alle organizzazioni sindacali l’accordo viene comunicato a cose assolutamente fatte. Non si svolge alcun incontro nel quale vengano spiegati e discussi i programmi e gli obiettivi dell’intesa, né tanto meno si assumono impegni. E’ bene ricordare che nello stesso periodo la Opel (società tedesca della Gm) sottoscrive con la IgMetal l’impegno a salvaguardare gli impianti e i livelli di occupazione fino a oltre il 2005. Nel
sistema di relazioni Fiat sono previsti incontri di carattere non contrattuale,
ma come realizzazione del sistema partecipativo, nei quali l’Azienda fornisce
periodicamente valutazioni e informazioni. Negli incontri di commissione
Paritetica auto e di holding che si sono svolti dopo l’accordo con Gm il
livello medio delle informazioni fornite è mediamente inferiore a quello
accessibile sugli organi di stampa. Luglio
2000. Viene presentata la piattaforma per il rinnovo del Premio di
risultato. La piattaforma, oltre che la rivendicazione salariale, contiene
la richiesta di una discussione sulle prospettive del gruppo dopo l’accordo
con Gm e la richiesta di impegni sul futuro degli stabilimenti e
dell’occupazione. Pur con espressioni generiche la piattaforma chiede anche di
discutere il rapporto tra le produzioni allocate in Italia e i programmi di
sviluppo all’estero. La Fiat ha sempre respinto la richiesta di rinnovo del
Premio di risultato, che è rimasto bloccato ai livelli del ’96, anzi al di
sotto di essi visto il risultato vero degli indici legati al bilancio. Su tutti
gli altri temi, a partire dagli impegni occupazionali la Fiat rifiuta qualsiasi
trattativa dichiarando che l’unica sede di confronto sono le commissioni
paritetiche di cui sopra. La Fiat diventa così la più importante azienda
italiana che elude la contrattazione aziendale. In quello stesso periodo
l’Amministratore delegato del gruppo chiede il superamento dei due livelli di
contrattazione e la riduzione di essi ad uno soltanto. In ogni caso anche sul
salario la Fiat agisce unilateralmente. Poco tempo prima dell’avvio della
vertenza di gruppo l’azienda aveva distribuito, unilateralmente, un premio di
qualità ad una parte dei lavoratori dello stabilimento di Rivalta a Torino.
Stabilimento che poi verrà chiuso. Marzo
2001. Si svolge senza risultati presso il ministero del Lavoro l’ultimo
incontro sulla vertenza di gruppo. La Fiat rifiuta ancora una volta la
richiesta sindacale di discutere dei programmi produttivi e occupazionali
arrivando a respingere anche la richiesta di determinare il livello di organici
corrispondente alla produzione di auto che dichiara di voler fare. L’azienda
respinge anche qualsiasi richiesta di salvaguardia degli stabilimenti e di
discussione sul rapporto tra produzione in Italia e produzione all’estero. Sul
Premio di risultato la Fiat dichiara scarsissime disponibilità, chiedendo in
cambio la totale flessibilità del lavoro. L’azienda chiede un accordo che le
conceda mano libera, senza ulteriore contrattazione con le Rsu, per la
istituzione di nuovi turni di lavoro, la notte, i sabati e la domenica e per la
generalizzazione del Tmc2, (sistema di tempi in vigore a Melfi, ma non in altri
stabilimenti del gruppo). Anche per queste ragioni la trattativa fallisce e dopo
quell’incontro non ci saranno più negoziati sulla vertenza di gruppo. Marzo
2001. Nello stesso periodo in cui fallisce la trattativa di gruppo, la
Fiat da il via agli accordi separati. Che dunque precedono e aprono la
strada a quanto avverrà poi nel contratto nazionale. A Cassino l’azienda
concorda con Fim, Uilm e Fismic il taglio dei tempi e il peggioramento
complessivo delle condizioni di lavoro e del regime di flessibilità per
lanciare la Stilo. L’azienda si impegna su un programma di assunzioni che poi
non verrà rispettato. La Fiom non sottoscrive l’intesa non solo per il
peggioramento che comporta nelle condizioni di lavoro, ma anche per gli aspetti
negativi del progetto industriale Stilo, che puntualmente si sono verificati. La
Fiom propone un refendum sull’accordo separato che, nonostante la raccolta di
firme, non si effettua perché ad esso l’azienda si frappone formalmente. Dopo
questa intesa si realizzano in diversi stabilimenti
del gruppo intese separate sulla flessibilità. Aprile
2002. Si svolge l’ultimo incontro a livello di holding previsto dal
sistema partecipativo sulla situazione del gruppo. La Fiat non accenna a
nulla della crisi nella quale sta precipitando. Luglio
2002. Nuovo accordo separato presso il ministero del Lavoro, che
prevede la mobilità per 2.442 lavoratori prossimi alla pensione, l’assunzione
di 200 giovani ingegneri e l’inserimento di 200 venditori. Il testo
dell’accordo, sottoscritto da Fim, Uilm e Fismic, giustifica la richiesta di
mobilità con “un piano di riassetto finanziario industriale del gruppo
Fiat” determinato dal deterioramento della congiuntura economica
internazionale. I programmi industriali previsti nel piano e i livelli di
finanziamento e investimento sono gli stessi che verranno previsti nei documenti
successivi, compreso l’ultimo concordato con il governo. La Fiom non
sottoscrive l’accordo non solo perché in disaccordo con i tagli
occupazionali, ma perché, manca qualsiasi impegno èer il futuro, mentre è
evidente l’assoluta inconsistenza della quantità e della qualità degli
investimenti previsti. L’’accordo del luglio 2002 prefigura già quello che
la Fiat intende fare per risolvere la crisi, i programmi successivi non
cambieranno di una virgola quanto ivi previsto. La differenza sta solo nel fatto
che il precipitare della crisi del gruppo costringerà la Fiat in ottobre ad
accelerare quel programma di tagli che l’accordo di luglio 2002 non prevedeva
formalmente, ma solo
implicitamente. Settembre
2002. Nuovo accordo separato, che riguarda in particolare la
Powertrain e Purchaising, cioè gli stabilimenti Fiat di produzioni
meccaniche che sono state assorbiti in una società paritaria con General Motors.
Altri 574 lavoratori vengono posti in mobilità. Ottobre 2002. La Fiat presenta con nuovi tagli il piano per superare la crisi dell’auto, dopo il nuovo crollo delle sue quote di mercato. Il piano presentato è sostanzialmente uguale a quello dell’accordo separato di luglio. Stesso livello d investimenti e di programmi sui modelli, viene persino ripresentata l’assunzione di 200 venditori specializzati di cui all’accordo precedente. L’unica diversità consiste nel fatto che ora si annunciano il taglio di 8.100 posti di lavoro con la chiusura definitiva di Arese e con quella di Termini Imerese, stabilimento per il quale si annuncia già la formula che poi verrà considerata una grande novità nell’accordo Fiat e governo, ossia: “la ripresa della produzione sarà collegata alla crescita dei volumi della Punto”. Per gli altri stabilimenti del gruppo si annunciano tagli consistenti all’occupazione. Il 31 ottobre la Fiat annuncia che ai primi di dicembre invierà le lettere di Cassa integrazione a zero ore. L’azienda
ancora una volta decide di agire in maniera unilaterale, saltando i tempi della
procedura e annunciando la messa fuori dalla fabbrica dei lavoratori in assenza
di qualsiasi trattativa sindacale. Dicembre 2002. Dopo un breve rinvio, su richiesta del governo, la Fiat annuncia che comunque procederà alla messa in Cassa integrazione dei lavoratori. Il governo utilizza questa posizione della Fiat per giustificare l’accettazione del piano aziendale e della messa in Cig dei lavoratori. Altrimenti, dichiara il governo, l’azienda avrebbe effettuato i licenziamenti. L’Accordo
di programma Fiat - governo. L’intesa Fiat governo rappresenta una innovazione negativa senza precedenti nelle relazioni sindacali. Governo e azienda si presentano al tavolo dell’incontro con il sindacato con un testo predefinito e concordato tra loro. Alle organizzazioni sindacali resta solo di decidere se aderire o no. Il testo è un vero e proprio accordo tra parti, ove sparisce il ruolo e la funzione dell’organizzazione sindacale nazionale. I richiami alla funzione del sindacato sono fatti esclusivamente per l’applicazione nelle singole unità produttive degli effetti dell’accordo. Manca qualsiasi definizione di un ruolo di verifica e informazione per il sindacato nella sua dimensione nazionale. L’organizzazione sindacale è quindi cancellata nella sua dimensione nazionale e confederale e ridotta a rappresentanza aziendalistica. Se questa è la filosofia antisindacale dell’accordo, i suoi contenuti sono anche peggiori. Premesso che l’elenco degli impegni che assume il governo viene considerato dalla Fiat vincolante per le sue decisioni, con un condizionamento persino della funzione del Parlamento, l’accordo da il via libera ai licenziamenti. Infatti, esso recita testualmente che i vari interventi predisposti con gli ammortizzatori sociali sono concepiti in modo: “che consentano la riduzione significativa del numero delle eccedenze e rafforzino le garanzie di rientro dei lavoratori, riducendo al minimo il numero di coloro per i quali si dovrà operare per individuare una ricollocazione esterna”. E’ la prima volta da danti anni a questa parte che in un grande accordo di crisi a un tavolo governativo, si dice espressamente che una parte dei lavoratori non rientrerà al lavoro, senza alcuna clausola di garanzia a loro favore. Inoltre, l’accordo interviene su materie squisitamente sindacali quali la rotazione della Cassa integrazione e soprattutto sulle condizioni di lavoro. E’ bene sottolineare la gravità in termini di principio di un testo in cui governo e azienda concordano tra loro su quello che devono fare i sindacati e i lavoratori, siamo alla lesione di principi costituzionali. In questo contesto l’accordo recepisce un’istanza che la Fiat aveva già posto al tavolo del ministero del Lavoro nel marzo 2001 come sopra ricordato. Si ripropone infatti per Termini Imerese la totale flessibilità del lavoro come condizione per l’occupazione. Il testo recita infatti che: “lo sviluppo e la garanzia della missione produttiva a Termini Imerese si potrà realizzare previa regolamentazione di modalità di utilizzo della prestazione che consentano all’azienda una più efficace e competitiva risposta alle esigenze del mercato in particolare in materia di orario di lavoro e organizzazione del lavoro. Quanto sopra al fine di trasformare lo stabilimento in un polo di eccellenza competitiva volta anche al superamento di vincoli logistici derivanti dall’ubicazione geografica e dalle carenze infrastrutturali del territorio”. In questo modo si prefigura anche un nuovo attacco a tutti i diritti dei lavoratori del Mezzogiorno che con la loro fatica devono recuperare i problemi di competitività del territorio. Il modello di Melfi viene esteso così a tutto il Mezzogiorno. Conclusione
Il percorso qui riassunto chiarisce come la crisi della Fiat sia anche un risultato di un sistema autoritario di relazioni sindacali che, invece che essere sottoposto a revisione, man mano che la crisi si aggravava veniva accentuato. In questi ultimi due anni tra sindacato e azienda non c’è mai stata una trattativa degna di questo nome e al massimo si è oscillato tra accordi separati, che comunque sottoscrivevano decisioni unilaterali dell’azienda e rotture tra l’azienda e tutte le organizzazioni sindacali. Sono stati ceduti stabilimenti ed intere attività produttive, dall’alluminio alla componentistica, attività strategiche per il paese, come la Fiat Ferroviaria, senza nessun confronto con le organizzazioni sindacali, senza alcun rendiconto in sedi istituzionali. Si è dato luogo ad un gigantesco processo di scorpori, terziarizzazioni, decentramenti chiamando il sindacato solo a ratificar decisioni già operative. Anche il livello dell’informazione è infimo. Le organizzazioni sindacali non dispongono neppure di un testo ufficiale del piano aziendale, se non quanto riassunto nell’accordo separato di Luglio e nei comunicati stampa effettuati successivamente dall’azienda. Se confrontiamo il livello informativo che forniscono le grandi aziende europee durante i processi di ristrutturazione alle organizzazioni sindacali con quanto avviene in Fiat siano fuori dall’Europa, con una palese violazione di tutte le direttive europee sui diritti di informazione dei sindacati nei processi di ristrutturazione e della stessa Carta di Nizza. I drammatici scontri in atto per il governo dell’azienda tra i diversi gruppi di potere politico e finanziario del capitalismo italiano non debbono far smarrire la continuità antisindacale di fondo che ha ispirato i comportamenti dell’azienda e che è stata condiva e sottoscritta dal governo. Bisogna sapere che una soluzione positiva della crisi Fiat è anche una grande questione di relazioni sindacali. Così come occorrono investimenti e l’intervento pubblico, così come bisogna impedire i licenziamenti e sostituire i contratti di solidarietà alla Cassa integrazione a zero ore, così bisogna costruire un nuovo sistema di relazioni sindacali senza il quale la Fiat continuerà ad avvitarsi in scelte autoritarie che aggravano la crisi aziendale. FIOM |