UFFISIND5

 

I diritti e le agibilità democratiche delle organizzazioni

e dei lavoratori nel nuovo quadro sindacale.

 

 

Premessa

Il 4 novembre si è tenuto presso la Fiom nazionale un seminario organizzato dalla segreteria nazionale e dalla consulta giuridica contrattuale della Fiom per esaminare il quadro complessivo dei problemi di agibilità politica della Fiom nelle fabbriche e quello dell’esercizio dei diritti sindacali nel mutato contesto delle relazioni tra i sindacati.

Tutti le relazioni, nonché gli interventi, hanno sottolineato la novità radicale di un quadro di rapporti sindacali radicalmente mutato, ma collocato in un sistema formale e in una pratica di esercizio dei diritti democratici concepiti per essere gestiti assieme tra le tre confederazioni.

La pratica degli accordi separati e la conseguente fine dell’unità d’azione preventiva tra le tre confederazioni, porta in una terra assolutamente nuova, nella quale occorre concepire l’iniziativa sindacale con pratiche e mentalità differenti che nel passato.

In questo nuovo contesto, se si rimanesse legati alla vecchia pratica sindacale, ci si troverebbe di fronte ad una situazione rovesciata rispetto alle esigenze di unità e partecipazione dei lavoratori. Gli accordi, infatti, possono essere realizzati e sono validi nell’industria e in tutti i settori privati, indipendentemente dalla rappresentatività di chi li sottoscrive. Rispetto all’accordo separato non vale alcun potere di veto. Viceversa c’è il rischio che il veto di chi firma separatamente, impedisca il pieno esercizio dei diritti democratici per le organizzazioni non firmatarie dell’accordo e per i lavoratori.

Per questa ragione è evidente che la Fiom ha interesse vitale a battersi affinché sia comunque garantito il pieno esercizio e il pieno utilizzo dei diritti di democrazia sindacale definiti nei contratti e nella legge. Questo anche per contrastare il tentativo del Governo e della Confindustria di stabilire, attraverso la pratica “dell’accordo con chi ci sta”, il principio del “riconoscimento reciproco” tra aziende e sindacato, come nuovo elemento fondante della rappresentatività sindacale.

Per questo il seminario ha affrontato i temi più urgenti, legati alla scadenza contrattuale, non nascondendosi però la necessità di un’iniziativa di più vasto respiro.

Si ripropone con forza la necessità di una legge sulla rappresentanza e sulla rappresentatività sindacale, visto che nel settore privato c’è oggi la pura legge della giungla, mentre nel settore pubblico, almeno, la contrattazione è sottoposta ad alcune condizioni di rappresentatività. Allo stesso tempo si pone anche la necessità di pensare ad una revisione di quelle norme dello Statuto dei lavoratori che, concepite in una fase nella quale si pensava vicinissima l’unità sindacale organica, oggi permettono alle aziende di porre ostacoli, o addirittura il veto, all’esercizio del rapporto democratico sindacato-lavoratori, quando questo non sia concordato tra tutte le organizzazioni sindacali.

Il potere di veto sull’esercizio della democrazia da parte di chi non intende subire alcun freno nella pratica dell’accordo separato, rappresenta la contraddizione fondamentale che la Fiom deve affrontare nell’esercizio della propria pratica contrattuale. Che, è bene ricordarlo, è invece statutariamente fondata sulla democrazia di mandato. E’ chiaro che le iniziative legali non possono in alcun modo sostituire l’impegno politico dell’organizzazione a tutti i livelli per ottenere adeguati spazi di democrazia sindacale. In ogni caso però la Fiom nazionale, il coordinamento giuridico contrattuale e quello degli uffici legali hanno individuato i seguenti primi punti sui quali uniformare l’attività dell’organizzazione e definire possibili interventi legali a sua tutela.

La rappresentatività reale delle organizzazioni

La pratica degli accordi separati ha accentuato un rischio già contenuto nell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, così come è stato modificato dopo il referendum del ’95. La condizione della firma dei contratti per poter costituire le rappresentanze sindacali in azienda e poter così usufruire di diritti, permessi, ecc., va naturalmente interpretata con giudizio.

E’ evidente il rischio che attraverso questa norma e la pratica delle controparti e di una parte delle organizzazioni sindacali passi il principio che è l’azienda a decidere della rappresentanza sindacale in azienda, sulla base delle intese che fa sottoscrivere. E’ vero però che un’organizzazione storicamente rappresentativa come la Fiom non può subire dalla sera alla mattina la negazione della rappresentatività.

Al fine di evitare che la norma in questione permetta la costituzione di quelli che lo Statuto dei lavoratori all’art. 17 chiama “sindacati di comodo”, la Corte Costituzionale ha stabilito che la firma dell’accordo diventi indice di rappresentatività quando quell’accordo sia il risultato di una iniziativa, di una lotta condotta dal sindacato, che ha così raggiunto i suoi obiettivi. Al contrario è altrettanto evidente che un sindacato che ha firmato e continua a firmare accordi aziendali, nazionali, confederali, non può semplicemente essere privato dei suoi diritti perché non sottoscrive il contratto nazionale.

Fermo restando naturalmente il fatto che la Fiom è impegnata a conquistare il nuovo contratto nazionale, è bene dunque tranquillizzare, le strutture e i delegati, i lavoratori sul fatto che le aziende non possono dalla sera alla mattina decidere che la Fiom è un’organizzazione sindacale non più formalmente rappresentativa.

In ogni caso il principio di “ultrattività” del contratto, stabilito all’articolo 36, disciplina generale, del contratto Federmeccanica, principio secondo il quale il contratto resta in vigore in tutte le sue parti finchè non viene rinnovato, dà ampio spazio alla tutela dell’agibilità sindacale della Fiom. Infatti, si può intendere quell’articolo come valido per tutte le parti sottoscrittrici del contratto, anche prese separatamente. Di conseguenza se la Fiom non dovesse sottoscrivere un nuovo testo contrattuale, sottoscritto separatamente da altri sindacati, l’organizzazione e i suoi iscritti potrebbero comunque pretendere, sulla base dell’articolo 36 sovra citato, la continuità del contratto precedente, di cui l’organizzazione è firmataria. Questo naturalmente non risolve in nessun modo le questioni politiche relative al peso di un accordo separato, ma in ogni caso rappresenta un deterrente all’idea che sia facile per le controparti sbarazzarsi della Fiom in azienda.

E’ chiaro che un’eventuale intesa separata nella quale vi fosse un aumento salariale, accompagnato però da altre clausole inaccettabili per la Fiom e per i lavoratori, richiederebbe una risposta più articolata. Sostanzialmente l’organizzazione non firmataria del nuovo accordo potrebbe considerare l’incremento salariale una sorta di “acconto” sulle future spettanze e continuare la lotta per ottenere il contratto corrispondente alle sue richieste. Eventuali pratiche discriminatorie sul salario da parte delle aziende potrebbero essere affrontate anche sul piano legale, facendo riferimento in particolare all’articolo 36 della Costituzione e al principio dell’”equa retribuzione”.

In conclusione le strutture e i delegati della Fiom non devono temere la possibilità che in breve tempo la loro rappresentatività e le conseguenti agibilità sindacali siano messe in discussione. Naturalmente questo non elimina la necessità di conquistare con la lotta il nuovo contratto, che sanzioni contemporaneamente la rappresentatività formale e quella sostanziale.

 

Il diritto all’assemblea

La pratica comune e gli accordi tra organizzazioni hanno sinora disciplinato il diritto di assemblea. E’ chiaro che ora non é più possibile affidarsi, per l’esercizio di questo diritto, all’accordo preventivo con le altre organizzazioni, pena il rischio della paralisi della democrazia sindacale.

Il principio al quale riferirsi é quello contenuto nello stesso articolo 20 dello Statuto dei lavoratori. Il diritto ad usufruire di 10 ore di assemblee retribuite all’anno é un diritto individuale dei lavoratori. Ogni lavoratore ha diritto a partecipare ad assemblee retribuite per un massimo di 10 ore all’anno, poi incorrerebbe nella penalizzazione salariale. Le rappresentanze sindacali aziendali sono invece investite del diritto di convocazione delle assemblee.

Nella sostanza il lavoratore ha 10 ore di assemblea da spendere e può scegliere di impiegarle presso questa o quell’altra organizzazione che ha convocato l’assemblea.

Naturalmente la prassi, e l’interesse delle aziende a evitare che ci fosse un’eccessiva articolazione delle assemblee, hanno sinora determinato un regime comunitario di gestione di quel diritto. Ora però, con la situazione cambiata tra le organizzazioni sindacali, bisogna tornare allo spirito autentico di quel principio. O almeno a come esso è stato disciplinato dall’accordo interconfederale sulle Rsu. Sulla base di quell’accordo, 7 ore delle assemblee sono convocabili dalle Rsu, mentre 3 dalle organizzazioni. Per le prime la nostra interpretazione è semplice: la Rsu decide, anche a maggioranza e senza necessariamente coinvolgere tutte le organizzazioni, di convocare le assemblee e le aziende non possono frapporre ostacoli. Per quanto riguarda le 3 ore spettanti alle organizzazioni, l’accordo tra Fim, Fiom, Uilm di convocarne 1 sola per ognuna non è un obbligo formale, ma una intesa unitaria tra le organizzazioni. E’ evidente che il cambiamento avvenuto dopo gli accordi separati non obbliga più nessuno a mantenere tale pratica, soprattutto se essa impedisce l’esercizio della democrazia.

Sul piano formale la Fiom ha il pieno diritto di convocare tutte e 3 le ore di assemblee riservate alle organizzazioni, saranno i lavoratori a decidere se partecipare o no ad esse. Per queste ragioni va inviata tempestivamente la richiesta alle aziende. Non perchè la tempestività costituisca un maggiore diritto a convocare l’assemblea. Ma semplicemente perchè se altre organizzazioni convocassero prima le 3 ore, poi i lavoratori, se avessero partecipato a quelle assemblee e avessero esaurito così le 10 ore, potrebbero vedersi non retribuita la partecipazione all’assemblea Fiom. Che però in ogni caso deve essere concessa dalle aziende. Nel caso di aziende che neghino il diritto di assemblea alla Fiom o che non riconoscano la decisione a maggioranza delle Rsu, c’è tutto lo spazio per un immediato ricorso secondo l’articolo 28 dello Statuto.

E’ bene ricordare che tale impostazione aderisce al testo del contratto Federmeccanica, quello Confapi è differente e richiede ulteriori specifiche valutazioni. Per la Fiom le norme Confapi non superano, ma si aggiungono a quelle dello Statuto dei lavoratori.

E’ chiaro che ovunque sia possibile sarà meglio concordare con le altre organizzazioni l’esercizio del diritto di assemblea. Ma là ove le altre organizzazioni ostacolino l’esercizio di questo diritto, magari spalleggiate dalle aziende, bisogna agire con grande fermezza ricorrendo al giudice. Ne va della possibilità stessa per la Fiom di mantenere fede all’impegno di consultare i lavoratori su accordi e piattaforme.

 

Il referendum

Non c’è dubbio che l’istituto del referendum sia quello più vincolato (art. 21 dello Statuto dei lavoratori) all’accordo unanime delle organizzazioni sindacali. Abbiamo già avuto casi nei quali le aziende hanno rifiutato di fornire elementi essenziali per lo svolgimento del referendum, quale ad esempio l’elenco dei dipendenti, con la motivazione che la consultazione non era stata promossa da tutta la Rsu e da tutte le organizzazioni sindacali. D’altra parte è vero che il legislatore, quando varò lo Statuto dei lavoratori, privilegiò la democrazia rappresentativa unitaria tra le organizzazioni, a danno della democrazia diretta e della partecipazione immediata dei lavoratori alle decisioni. Per questo lo Statuto dei lavoratori contempla un sostanziale diritto al veto di organizzazione nell’effettuazione del referendum agevolato o riconosciuto dalla controparte.

Questo non vuol dire che sia inagibile per la Fiom la possibilità di consultare tutti i lavoratori con un voto segreto di tipo referendario. Naturalmente in questo caso si rientra nella fattispecie dell’esercizio della attività sindacale, garantito dall’Art. 14 dello Statuto dei lavoratori.

La Fiom può dunque organizzare un referendum “non ufficiale”, utilizzando le ore di assemblea non retribuite, o mettendo banchetti e urne fuori dalla fabbrica, o utilizzando le salette sindacali e qualsiasi altra sede aziendale nella quale normalmente si svolgano le attività sindacali. Le aziende non possono inibire questo tipo di attività, altrimenti incorrono in comportamenti sanzionabili come attività antisindacale.

D’altra parte il regolamento unitario Fim Fiom, Uilm prevede una formalizzazione dell’istituto del referendum solo con carattere abrogativo e nell’ambito delle vertenze aziendali. Nulla è normato rispetto ai contratti nazionali. Se si può rivendicare all’azienda il referendum sulla vertenza aziendale (anche se esso non è recepito nel contratto, il che ha dato origine a comportamenti contraddittori della magistratura), il referendum sul contratto nazionale si muove in una “terra di nessuno” che non può che essere arata dai comportamenti concreti.

Per queste ragioni le strutture della Fiom dovranno organizzare il referendum previsto dal 9 al 13 dicembre, come una grande iniziativa democratica e un’espressione sovrana delle regole interne della organizzazione, che le aziende non possono impedire. Starà alle strutture della Fiom calibrare le iniziative, con lo scopo di ottenere il massimo di partecipazione al voto. E’ chiaro che un successo del primo referendum non concordato tra tutte le principali organizzazioni, cambierebbe il quadro di riferimento per le imprese e per i sindacati, costituendo un fatto nuovo con il quale tutti dovrebbero misurarsi.

E’ chiaro che la questione del referendum rimanda ancora una volta a quella della misura della rappresentatività dell’azione sindacale, in particolare rispetto agli accordi. La mancata attuazione dell’art. 39 della costituzione in tutto il settore privato, mentre in quello pubblico abbiamo almeno una misurazione della rappresentatività di coloro che sottoscrivono accordi, ripropone la necessità di una legislazione sulla rappresentanza e sulle regole di democrazia sindacale.

Conclusioni.

I temi più urgenti qui affrontati non esauriscono tutte le questioni della democrazia sindacale ed in particolare quella della funzione e delle regole delle Rsu. La Fiom non intende tornare alle Rsa, ma questa scelta impone che siano definitivamente chiarite tre questioni. La prima è che le elezioni avvengano automaticamente e senza intralci, alla scadenza prefissata. La seconda che valga sempre il principio delle decisioni di maggioranza e che la Rsu sia considerata una rappresentanza globale e non un insieme di Rsa indipendenti. La terza infine e che prima o poi venga si superi il principio del terzo garantito, e addirittura paritetico, tra le organizzazioni confederali. Sono questi temi che a Fiom non intende affrontare immediatamente, ma che si porranno necessariamente all’ordine del giorno.

Su tutti i temi della democrazia sindacale sarà necessario costruire una iniziativa che accompagni la vertenza contrattuale. Siamo entrati in una fase totalmente nuova, nella quale l’unità tra le organizzazioni non è più un presupposto dell’azione sindacale. Siamo entrati in una fase nella quale si possono realizzare momenti specifici di unità, ma senza la protezione dell’unità d’azione preventiva. A differenza che negli anni 50 e 60, questa situazione si colloca in un contesto nel quale la legislazione sui diritti democratici e sindacali è stata invece concepita quando si aveva in mente la possibilità che a breve si realizzasse un unico sindacato. Manca una vera disciplina democratica del pluralismo sindacale. In questo terreno nuovo sta alla Fiom “normare con la pratica”, in maniera da affermare il più possibile i principi della democrazia e della partecipazione dei lavoratori nell’esercizio dell’attività sindacale.

 

FIOM

Roma, 12 novembre 2002