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IL LIBRO BIANCO

    Premessa

 

In questi giorni si discute sul ruolo e sulla funzione del "Libro bianco", definito da una Commissione attivata dal Ministero del Welfare e fatto proprio dallo stesso ministero nell'ottobre 2001. Nel vivo del conflitto apertosi sull'articolo 18 sono state espresse da varie parti, compresi alcuni settori del sindacalismo confederale, disponibilità a considerare tale testo come una base utile di confronto e negoziato tra le parti sociali. Si è giunti perfino a sostenere l'esistenza di rilevanti contraddizioni tra le scelte concrete del Governo sul mercato del lavoro e quanto scritto nel Libro bianco. Si è anche arrivati a proporre una sorta di "scambio": tra lo stralcio da parte del Governo dell'intervento sull'articolo 18 e una trattativa che faccia propria l'impostazione del Libro bianco.

 

Queste note hanno anche lo scopo di dimostrare come non esista alcuna differenza tra quanto sostenuto nel Libro bianco del Ministero del Welfare e le deleghe richieste dal Governo in materia di mercato del lavoro. Finora le misure del Governo rappresentano solo una parziale attuazione di tutto l'ampio sistema di analisi e proposte contenute nel Libro bianco che in alcuni casi è perfino più radicale delle misure attuate dal Governo. Il Libro bianco non solo ispira organicamente l'azione del Governo, ma coincide esattamente con quanto sostenuto dalla Confindustria sui temi del mercato del lavoro, della contrattazione, delle relazioni sindacali, del fisco e della previdenza. E' impossibile quindi contrapporre tale testo all'azione di Governo o addirittura farne un elemento funzionale alle politiche sindacali. Il Libro bianco non può che essere respinto complessivamente, vista anche l'organicità della sua impostazione. Questo se il movimento sindacale vuole difendere ed estendere fondamentali conquiste del mondo del lavoro sul piano dei diritti individuali e collettivi.

 

1.     La filosofia del Libro bianco

 

Il principio ispiratore che guida tutto il testo può essere condotto a questa affermazione: l'Italia ha un gap di sviluppo e di occupazione rispetto agli altri paesi europei soprattutto a causa delle rigidità contrattuali e dei vincoli del mercato del lavoro. Tali vincoli complessivi impediscono la crescita dell'occupazione e del tasso di attività, che resta largamente inferiore a quello della media europea. Per superare questa situazione e raggiungere entro i prossimi 5, 6 anni un tasso di occupazione e di attività più vicino a quello europeo bisogna intervenire sull'intero sistema di diritti, regole e contratti del nostro Paese, al fine di superare tutti gli impedimenti che bloccano la crescita occupazionale. In particolare bisogna intervenire sulla segmentazione del mercato del lavoro, ove a un'area di lavoratori considerati privilegiati e ipertutelati si contrappone una vasta area di lavoro nero e sommerso. Per far riemergere il lavoro sommerso e aumentare l'occupazione occorre "rimodulare" le tutele di tutto il mondo del lavoro, compreso quello più garantito.

 

Con il sistema federalista definito dalla recente riforma costituzionale sarà inevitabile un ruolo diverso delle Regioni nel mercato del lavoro. Occorrerà allo stesso tempo rafforzare il principio della "sussidiarietà orizzontale", cioè l'intervento del privato in tutto il sistema.

Passaggio di competenze dallo Stato alle regioni e dal pubblico al privato, maggiore leggerezza delle norme, riforma della giustizia del lavoro, creazione di collegi arbitrali, che siano in grado di dirimere le controversie in tempi rapidi, ricorso a codici volontari di comportamento, devono ispirare e accompagnare la redazione di un Testo Unico sul lavoro, volto a semplificare e a chiarire l'insieme delle regole. Tale testo dovrà essere accompagnato da un nuovo "Statuto dei lavori". Questo insieme di norme e misure dovrà comportare un cambiamento di filosofia nella tutela del lavoratore, passando dalla tutela nel e del posto di lavoro alla tutela nel mercato.

 

2.     Il Giudizio sul mercato del lavoro italiano.

 

Il testo del Governo analizza criticamente l'insieme delle contraddizioni del mercato del lavoro italiano, in primo luogo quella tra livello complessivo dell'occupazione e media europea, poi quella tra Nord e Sud, poi quella tra donne e uomini, tra giovani e anziani, tra lavoro precario e disoccupazione di lunga durata. Pur ammettendo che questo insieme di contraddizioni strutturali debbano essere affrontate con politiche industriali, fiscali ed economiche più vaste, poi il testo finisce per considerare primaria l'azione nel mercato del lavoro e sui diritti. Questo perché il Governo sostiene che esistono troppe "asimmetrie tra flessibilità in entrata e rigidità in uscita". Inoltre, "lo scarso legame esistente tra produttività aziendale e condizioni del mercato locale del lavoro, da un lato, e retribuzioni, dall'altro, si traduce quindi in più bassi livelli occupazionali". Sono troppo "scarsi gli incentivi alla prosecuzione dell'attività lavorativa" dai 55 ai 64 anni. Infine, per quanto riguarda la componente femminile dell'occupazione, se è vero che la crescita occupazionale per le donne nell'ultimo quinquennio è stata più consistente, specie nel Centro nord, rimane la differenza con la media UE, ancor di più per il Mezzogiorno. In questo senso occorre ulteriormente sviluppare gli strumenti di flessibilità del mercato del lavoro, a partire dal part time assieme a misure di sostegno alle famiglie con figli minori.

 

Per il Governo, per affrontare tutte queste contraddizioni, sono necessari interventi e terapie d'urto ben diversi da quelli finora attuati. In particolare non possono che essere messi in discussione da un lato il sistema di contrattazione collettiva che "ha mantenuto, dunque, caratteristiche di centralizzazione che si sono rivelate eccessive e inadatte ad assicurare quella flessibilità della struttura salariale capace di adeguarsi ai differenziali di produttività e di rispondere ai diversi disequilibri del mercato". Per questo "un aumento dell'offerta di lavoro al Nord ed una significativa riduzione della disoccupazione al Sud possono richiedere, fra le altre cose, una più accentuata differenziazione dei rispettivi salari reali".

D'altro lato occorre un intervento complessivo sul mercato del lavoro e sulle politiche attive e passive del lavoro. Tale intervento deve superare il sistema attuale fondato sull'eccesso di rigidità nella regolamentazione dei rapporti di lavoro e sulla tutela dei rapporti in essere.

 

3.     Il giudizio sulla concertazione degli anni '90.

 

In più parti il Libro bianco esprime il seguente giudizio sulla concertazione degli anni '90.

Gli accordi del 31 luglio 1992 e del 23 luglio 1993 hanno avuto la funzione positiva di permettere l'entrata del Paese nel sistema della moneta unica e di favorire il risanamento del bilancio pubblico. Tuttavia questi accordi hanno comportato una centralizzazione della contrattazione e delle dinamiche salariali. Se questa centralizzazione ha permesso di ottenere il positivo risultato della moderazione salariale, tuttavia il contenimento delle dinamiche dei salari all'interno dei vincoli dell'inflazione programmata, costituisce un sistema troppo rigido rispetto alle differenze di produttività e sviluppo esistenti in Italia, in particolare rispetto al differenziale tra il Nord e il Sud. D'altra parte, questo sistema ha finito per svolgere compiti ben al di là degli obiettivi di sviluppare un corretto rapporto tra le parti. Il processo di concertazione "è stato progressivamente snaturato e portato a ribaltare la logica culturale che l'aveva innestato … Vi è stato un uso eccessivo della concertazione … Si è determinato un uso distorto e viziato della concertazione stessa", Nella sostanza si accusa la concertazione di aver assegnato un potere di veto alle organizzazioni sindacali e di avere sottratto al Governo il potere di iniziativa. Per queste ragioni, di contenuto e di forma, il Libro bianco sostiene "l'impossibilità del modello concertativo degli anni '90 di affrontare la nuova dimensione dei problemi economici e sociali".

Per queste ragioni il Governo intende passare dalla politica dei redditi degli anni '90 ad una "politica per la competitività", che imponga l'adozione di una nuova metodologia di confronto.

Il Governo intende in questo modo il "dialogo sociale". Il Governo o la Regione competente definiscono la materia e gli interventi necessari sul mercato del lavoro, anche con un'ampia consultazione delle parti sociali. Terminata questa prima fase di consultazione, da contenere in tempi ragionevolmente brevi, "alle parti sociali dovrebbe essere offerta l'opportunità di negoziare sul tema che forma oggetto dell'iniziativa in questione, assegnando anche in questa occasione un termine ben determinato. Solo in caso di rifiuto delle parti sociali di impegnarsi in un negoziato, ovvero nell'ipotesi di un esito infruttuoso del medesimo, l'iniziativa legislativa ... potrà riprendere il suo corso". E' sulla base di questa impostazione che il Governo sta operando con le deleghe.

 

Infine c'è da sottolineare che il Libro bianco dichiara in molti passaggi di volersi ispirare al meglio della legislazione e delle pratiche dell'Unione Europea. Intendendo con questo fare propria un'impostazione che guidi il sistema delle regole verso un apparato legislativo leggero, largamente affidato alla contrattazione collettiva o individuale e all'autonomia del privato. Il sistema europeo viene inteso come un sistema di "leggi minime", che definiscano regole e diritti di base essenziali e affidino poi alla società civile e al mercato la regolamentazione. Si respinge quindi un'impostazione fondata sulla prescrizione, a favore di un sistema definito per obiettivi. La filosofia è quella di escludere in Europa rigidi interventi di armonizzazione nell'area della politica sociale, mentre va sviluppato un sistema flessibile in cui il recepimento delle esperienze degli altri stati membri dell'Unione sia accompagnato anche da quello di "esperienze extracomunitarie di paesi che con noi competono su scala globale come gli Stati Uniti e il Giappone". Questa impostazione è la stessa sostenuta dalla Confindustria in un recente convegno a Torino.

 

4.     La contrattazione in deroga

 

Partendo da un giudizio critico sulla stagione dei "patti nazionali" e scegliendo una visione regionalista delle politiche del lavoro, il Libro bianco si dichiara a favore di un sistema nel quale il recepimento delle direttive e degli indirizzi dell'Unione Europea, si traduca su scala territoriale in "utili deroghe concordate nei confronti della legislazione e contrattazione a livello nazionale".

Pur adottando formalmente il principio della "non regressione" nell'applicazione di norme e direttive europee il Governo ritiene che la trasposizione in Italia delle norme comunitarie debba evitare quelli che vengono definiti "elementi distorsivi della concorrenza". Per il Governo non sono più ripetibili esperienze come quella della trasposizione della direttiva europea sul part time, che secondo il Libro bianco ha rappresentato un irrigidimento della normativa italiana. Il principio della sussidiarietà deve regolare il rapporto tra Unione europea e sistema nazionale e tra questo e quello regionale e territoriale, anche sul piano delle relazioni sociali. Quindi il sistema contrattuale viene rovesciato in un sistema di deroghe a cascata. Il contratto nazionale può derogare a regole comunitarie, quello regionale e territoriale può derogare a quello nazionale, il contratto individuale, da "rivalutare convenientemente" può derogare a quello collettivo. A tale scopo "il Governo chiede alle parti sociali se e a quali condizioni sia possibile modificare l'attuale contesto normativo che inibisce al datore e al prestatore di lavoro di concordare condizioni in deroga non solo alla legge ma anche al contratto collettivo, se non entro il limite, sempre più ambiguo, delle condizioni di miglior favore". Il Libro bianco prende ad esempio situazioni di altri paesi europei, per proporre alcuni possibili scambi in deroga alle condizioni di miglior favore: "un livello salariale inferiore in cambio di maggiore sicurezza del posto di lavoro, scambio fra miglior trattamento retributivo ed allungamento del nastro orario, rinuncia all'indennità natalizia a fronte di azioni della società e così via".

      In conclusione il Governo invita le parti sociali a "valutare la possibile ridefinizione del rapporto fra momento collettivo ed individuale nella regolazione del rapporto di lavoro …". A sostegno di questa ipotesi si propone di realizzare una sorta di "derogabilità assistita secondo meccanismi di certificazione e/o validazione della volontà individuale".

 

5.     Cambiare il sistema con "norme leggere"

 

Tutto l'impianto del Libro bianco si basa sull'idea liberista di sostituire le norme regolatrici e i diritti, con regole "leggere" e con diritti minimi, lasciando il resto alle parti sociali e al mercato. In questo senso si sostiene che debba essere messa in discussione l'ordinamento giuridico del lavoro in Italia perché "costruito sul presupposto che i rapporti tra datore e prestatore di lavoro siano presidiati da regole vincolanti, dettate dal legislatore o convenute in sede di contrattazione collettiva. Un'impostazione precettiva e prescrittiva che, nella normalità dei casi, produce norme inderogabili, cioè tali da escludere la libera pattuizione individuale.

Sulla base di tale giudizio il Governo punta, una volta realizzata l'intera opera "riformatrice" delineata nel Libro bianco, a realizzare un "Testo Unico" sul lavoro che ricomprenda, drasticamente semplifichi e naturalmente ridimensioni il sistema attuale di leggi e tutele del lavoro.

Allo stesso modo si concepisce la realizzazione di uno "Statuto dei lavori". Su questo tema il Governo dichiara di ritenere "ormai superato il tradizionale approccio regolatorio, che contrappone il lavoro dipendente al lavoro autonomo, il lavoro nella grande impresa al lavoro in quella minore, il lavoro tutelato al lavoro non tutelato". C'è uno zoccolo duro di diritti fondamentali che deve costituire la base comune di tutti i lavori. Vi sono cioè degli standard minimi di tutela che vanno riconosciuti a tutti mentre per gli ulteriori istituti i campi di applicazione dovranno essere applicati in modo sempre più circoscritto e delimitato. Il Governo non condivide l'impostazione della legge (denominata Smuraglia) non andata in porto nella precedente legislatura, e respinge ogni idea di "estendere rigidamente l'area delle tutele senza prevedere alcuna formula di rimodulazione all'interno del lavoro dipendente". Nella sostanza si definisce un sistema di diritti astratti o letteralmente "un sistema di tutela a geometria variabile" esattamente come sostiene la Confindustria. A un nucleo minimo di diritti fondamentali, i diritti umani, si sovrapporrebbe un'area di diritti inderogabili relativamente, cioè disponibili a livello collettivo o individuale. Salta dunque il concetto giuridico, fondamentale nel nostro ordinamento, di diritto indisponibile. Nel Libro bianco si sottolinea che a questo nuovo sistema flessibile dei diritti dovrà corrispondere un riassetto delle prestazioni previdenziali.

E' evidente che la conclusione di questo processo di destrutturazione dell'ordinamento giuridico non può che portare a una messa in discussione della stessa funzione del ruolo della giustizia del lavoro. Da qui la proposta centrale dell'arbitrato.

Il Governo ritiene che l'istituto arbitrale debba essere modificato e diventare sostitutivo della normale giustizia del lavoro. A Tale proposito diventa necessario superare tutte quelle norme che vincolano "l'arbitro al rispetto della legge e dei contratti collettivi, impedendo così giudizi basati sull'equità". Questi giudizi arbitrali, che superano leggi e contratti non potrebbero essere più impugnati di fronte alla magistratura se non per vizi procedimentali e solo in unico grado davanti alla Corte d'appello. In questo modo si tenta di aggirare il limite di natura costituzionale che impedisce di dichiarare il lodo arbitrale non impugnabile. Nel Collegio arbitrale può essere affrontata anche la questione dei licenziamenti. Infatti, il Governo propone di valutare "la possibilità di conferire allo stesso collegio arbitrale di optare per la reintegrazione o per il risarcimento, avuto riguardo alle ragioni stesse del licenziamento ingiustificato, al comportamento delle parti in causa, alle caratteristiche del mercato del lavoro locale".

 

6.     Politiche dell'occupabilità

 

Il Libro bianco sostituisce il concetto di occupabilità a quello di occupazione. Questo concetto significa che per far sì che coloro che non sono occupati o sono precari trovino migliore collocazione nel mercato del lavoro, occorre rendere la loro assunzione più conveniente per le imprese. Questo può avvenire sia con misure che favoriscano la qualità della forza lavoro, formazione o altro, sia con misure che incentivino l'assunzione di forza lavoro rendendola più appetibile dal lato della flessibilità. Anche qui si riafferma il principio secondo il quale si deve "rimodulare la protezione accordata al lavoratore occupato" così come si deve "stimolare l'adattabilità dei dipendenti".

In questo contesto il Governo valuta positivamente l'esperienza in atto per iniziativa del Comune di Milano, cioè l'accordo separato realizzato dall'Ente locale con Cisl e Uil nel quale si è garantita l'occupabilità di categorie a rischio di esclusione con deroghe complessive al sistema contrattuale. In sintesi il principio che ispira tutte le politiche e le misure concrete che il Governo intende attuare con il "Libro bianco" è quello di superare un sistema  che realizza "la protezione del lavoratore in quanto titolare di una posizione lavorativa, garantendo agli insiders una posizione di privilegio a scapito degli outsiders sostanzialmente abbandonati a se stessi da strutture di collocamento pubblico del tutto inadeguate.

A tale scopo il Governo ritiene necessario affidare il collocamento anche ad un sistema privato che si ponga in concorrenza con quello pubblico. Questo tra l'altro impone di modificare la legge che ha introdotto in Italia il lavoro interinale. Per il Governo le Agenzie di lavoro interinale potrebbero diventare, a determinate condizioni, "operatori privati polifunzionali" rivolti a tutto il collocamento della forza lavoro.

 

7.     Incentivi e ammortizzatori sociali

 

Il Libro bianco propone una revisione complessiva del sistema delle politiche attive e passive del lavoro, cioè degli incentivi alle assunzioni e degli ammortizzatori sociali in caso di crisi o disoccupazione. Il Governo intende riregolare il rapporto tra apprendistato e contratti di formazione e lavoro, assegnando al prima definitivamente la funzione di formazione per il "mercato" e al secondo quello di formazione "per l'impresa". Il Governo ritiene che siano possibili, a determinate condizioni, superare i limiti nell'uso degli strumenti, in particolare quelli legati a determinate età. Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali il criterio ispirativo della riforma è quello di estendere le tutele minime abbassando quelle medie o almeno quelle giudicate troppo alte. Il Governo stesso ammette che la spesa complessiva per ammortizzatori sociali dell'Italia dista dagli standard dell'Unione europea per oltre un punto in percentuale di Pil (quindi oltre 10 miliardi di Euro). Tuttavia il Governo non propone un aumento della spesa, ma un suo riequilibrio. Per cui i passi concreti verso l'estensione delle tutele andranno intrapresi "man mano che le risorse necessarie si renderanno effettivamente disponibili". In ogni caso poi dev'essere affermato il principio che gli ammortizzatori sociali non possono diventare un disincentivo ad accettare il lavoro che viene offerto per questo "l'erogazione di qualunque forma di ammortizzatore sociale dovrà preventivamente basarsi su un'intesa con il percettore affinchè questi ricerchi attivamente un'occupazione secondo un percorso che possa avere anche natura formativa e che eventualmente potrà vedere anche il coinvolgimento di operatori ed intermediari privati, da concordare preventivamente con i servizi pubblici per l'impiego".

E' chiaro che in questo modo si afferma il principio anglosassone, secondo il quale, tutte le forme di sostegno al reddito o le integrazioni ad esso possono essere tolte alla persona che non dimostra sufficiente disponibilità a lavorare alle condizioni offerte dal mercato.

Nel nome di un intervento a favore dell'occupazione il Libro bianco fa un'affermazione che si è poi tradotta nell'intervento del Governo a modifica dell'articolo 18.

Il Libro bianco infatti sostiene che ulteriore elemento attivo nel mercato del lavoro al fine di incentivare l'occupazione potrebbe essere quello che "lo stesso contratto a tempo indeterminato potrebbe essere considerato non computabile - sempre che esso sia funzionale alla creazione di occupazione aggiuntiva, ancorchè temporaneamente, per incentivare le imprese a sfuggire alla sindrome del nanismo, espandendosi quindi oltre le dimensioni occupazionali minime stabilite per l'applicazione di taluni istituti del diritto del lavoro".

 

8.     La qualità del lavoro

 

Il Libro bianco del Governo cambia lo stesso concetto della qualità del lavoro da perseguire nelle politiche e nelle relazioni industriali. Infatti, per esso "la qualità del lavoro è da misurare non solo e non tanto con riferimento a specifiche caratteristiche, salariali e non salariali, dei singoli rapporti di lavoro concreti, quanto con le chances che a questi si associano di ulteriore progresso nel mercato del lavoro, innanzi tutto in termini di chances lavorative future". Questo trasferimento della qualità del lavoro dalla condizione concreta alle prospettive o promesse di carriera permette al Governo di evitare di entrare nel merito su cosa sia effettivamente oggi una buona qualità del lavoro e di trasformare tutta la materia in un altro capitolo della "occupabilità".

Per il Governo operare per la qualità del lavoro consiste prima di tutto nel definire norme che permettano l'emersione del lavoro sommerso e nuove regole sull' immigrazione.

Per quanto riguarda l'emersione del lavoro in nero, che per il Governo rappresenta l'elemento fondamentale di negatività sia rispetto alla quantità che alla qualità dell'occupazione, il Libro bianco sostiene che occorre intervenire sul fatto che esso è più conveniente rispetto a quello regolare per entrambi i contraenti. Per queste ragioni i contratti di gradualità,  di emersione e di riallineamento retributivo non sono considerati "in grado di fornire risposte soddisfacenti … essi si limitano a neutralizzare temporaneamente, con un incentivo economico, il disincentivo alla regolarizzazione rappresentato da norme sul lavoro che risultano impraticabili in alcune aree del Paese … la vera soluzione pare dunque quella di affrontare alla radice i problemi del mercato del lavoro e dell'economia italiana, sia attraverso una seria politica industriale che … incentivi le imprese a intraprendere i necessari cambiamenti, sia attraverso un adattamento delle regole del mercato del lavoro".

L'intervento sul mercato del lavoro è quindi per il Governo l'elemento centrale per regolarizzare il lavoro non dichiarato. Per realizzare questo intervento occorre definire forme di incentivi per le imprese tali da rendere conveniente per esse l'emersione definitiva dal lavoro nero. Anche il lavoro a tempo indeterminato deve rientrare in questa logica, quella cioè di superare un sistema ove "legislazione e contrattazione mantengono come obiettivo centrale la conservazione del posto di lavoro piuttosto che la mobilità del singolo … determinando in questo modo anche una crescente divaricazione rispetto alle necessità delle imprese". Per migliorare la qualità del lavoro occorre dunque incentivare il ricorso al contratto di lavoro a tempo indeterminato evitando però che si diffondano forme di flessibilità in entrata per aggirare i vincoli o comunque le tutele predisposte per la "flessibilità in uscita". In questo senso, e anche qui si prefigura l'attacco all'articolo 18, il Governo ritiene che per incentivare l'uso del contratto a tempo indeterminato debba essere accertata "l'eventuale esistenza di ostacoli normativi che frenino il ricorso a questa tipologia contrattuale". A questa conclusione si giunge dopo aver elencato tutte le situazioni in Europa nelle quali nel licenziamento per giusta causa la reintegra nel posto di lavoro sia sostituita da un risarcimento economico.

Per quanto riguarda l'immigrazione, il Libro bianco fa propria l'impostazione che ha portato il Governo ad intervenire sulla legge Turco/Napolitano giudicata "di faticosa attuazione". Centrale per il Libro bianco è l'introduzione del "contratto di soggiorno per lavoro", nel quale dovrebbero esservi comprese sia le condizioni di assunzione del lavoratore sia la durata del permesso di soggiorno, che non può in ogni caso travalicare un limite di tempo oltre la cessazione del contratto di lavoro. Nella sostanza, il Libro bianco appoggia l'impostazione del Governo che porta a far coincidere assunzione e permesso di soggiorno, licenziamento ed espulsione dal Paese.

 

9.     Misure per la flessibilità

 

Accanto all'impostazione complessiva fin qui illustrata, il Libro bianco del Governo elenca una serie di misure dettagliate e specifiche tese ad allargare tutte le condizioni di flessibilità nell'assunzione e nell'utilizzo della forza lavoro. Questo sulla base del principio sempre ribadito secondo il quale l'attuale quadro regolatorio è oramai superato. In concreto:

 

-          sul part time il Governo si propone di mettere in discussione gli ultimi decreti legislativi di attuazione di direttive europee emessi dai governi di Centrosinistra, in quanto ritenuti non rispettosi della volontà delle parti sociali a livello comunitario e portatori di "nuovi vincoli". Nella sostanza, il Governo vuole rendere flessibile tutto il contratto di lavoro part time , sia rispetto alla quantità delle ore, sia la dimensione e alla regolazione delle ore supplementari, sia rispetto alla loro collocazione nel tempo, e all'intermittenza della prestazione. A tale scopo il Governo propone di superare il diritto del lavoratore di denunciare l'accordo di part time volontariamente stipulato, quando l'impresa cambi la distribuzione degli orari. Nella sostanza si vuole dare mano libera alle imprese nella gestione degli orari part time, una volta che questo tipo di contratto sia stato accettato dal lavoratore. Lo stesso si propone per il cosiddetto "job-sharing", cioè per l'assunzione di due lavoratori che si dividono un solo posto di lavoro.

 

-          Per quanto riguarda il lavoro interinale il Governo lamenta che la legislazione italiana sia più restrittiva di quella esistente in numerosi paesi dell'area comunitaria. Il Governo si propone di ampliare le funzioni delle società di lavoro interinale, permettendo loro di diventare veri e propri uffici di collocamento privati e nello stesso tempo propone una armonizzazione delle norme che regolano il lavoro temporaneo e contratti a termine. Infatti il Governo sostiene che è "necessario estendere alcune forme di flessibilità recentemente introdotte affinchè il lavoro temporaneo tramite Agenzia non risulti ingiustamente penalizzato". La liberalizzazione dei contratti a termine deve dunque comportare una adeguata liberalizzazione dell'utilizzo del lavoro interinale.

 

-          Anche rispetto ai processi di outsourcing, esternalizzazione e terziarizzazione del lavoro il Governo ritiene "necessario avviare un percorso di riforma complessiva della materia". Per questo il Governo intende ripensare criticamente l'impianto complessivo della legge 1369/1960 che regola gli appalti e vieta tutte le forme di somministrazione di lavoro per conto terzi se non nelle forme attualmente regolate dalla legge e dall'articolo 2112 del codice civile. Nella sostanza, il Governo propone la liberalizzazione totale di tutte le forme di appalto e la fine della parità contrattuale per i lavoratori terziarizzati. Questa impostazione è già stata trasferita  nelle deleghe.

 

-          Il Governo inoltre intende introdurre sotto la definizione di "lavoro intermittente" una forma di contratto part time uguale a quella respinta recentemente dai lavoratori della Zanussi, cioè il lavoro a chiamata. In tale rapporto di lavoro il dipendente è a disposizione dell'impresa permanentemente e l'impresa decide quando e come utilizzarlo.

 

-          Per il lavoro a tempo determinato il Libro bianco e il Governo esprimono un giudizio positivo sull'accordo separato che ha visto Cisl e Uil concordare un'ampia liberalizzazione dell'utilizzo di tale istituto. L'accordo separato viene considerato un modello per quanto riguarda l'utilizzo del lavoro flessibile.

 

-          Il Governo intende inoltre introdurre una nuova figura contrattuale "il lavoro a progetto" che dovrebbe assorbire sia una parte delle collaborazioni coordinate e continuative, sia una parte di rapporti lavoro dipendente. Il lavoro a progetto è naturalmente un lavoro a termine finalizzato ad un obiettivo definito dall'impresa sulla base di un contratto nel quale possono essere definite anche delle vere e proprie normative, quali l'impegno orario settimanale, le pause, che non dovrebbero comportare compensi aggiuntivi, eventuali trattamenti in caso di malattia, gravidanza e infortunio. In questo modo il lavoro a progetto rischia di diventare un nuovo contratto individuale al di fuori di tutte le normative esistenti.

 

-          Il Governo considera estremamente positiva la recente "riforma della disciplina giuridica del socio di una cooperativa di produzione e lavoro". Per il Libro bianco la recente riforma ha travolto "una giurisprudenza di legittimità acriticamente arroccata su posizioni formaliste di chiusura". Viene ritenuta di particolare rilevanza la "soluzione aperta che quasi arieggia la tradizione contrattuale anglosassone" con la quale si estendono tutti i confini nei quali un rapporto di lavoro subordinato può essere trasformato in quello di socio di cooperativa. Viene considerata di particolare interesse "la possibilità di derogare ai minimi salariali contrattuali in crisi aziendali o start-up di nuova imprenditorialità". Si aggiunge che: "in caso di collaborazioni non occasionali (cioè coordinate e continuative) i compensi dovranno essere ragguagliati ai prezzi di mercato, senza interventi della contrattazione collettiva". Tutta questa impostazione è sufficientemente chiara e non ha bisogno di commenti.

-          Per quanto riguarda l'orario di lavoro il Governo intende intervenire sulle restrizioni di contratto e di legge che limitano sia l'orario giornaliero che quello settimanale. Il Libro bianco sostiene che la mancata trasposizione della direttiva europea sugli orari, rispetto alla quale non è stato sufficiente l'avviso comune sottoscritto tra le parti sociali, crea problemi interpretativi da risolvere. In particolare per il Governo è necessario intervenire su quelle restrizioni che "vorrebbero subordinare la possibilità di modulare l'orario di lavoro su base settimanale, mensile o annuale al vincolo delle 8 ore di lavoro giornaliere come orario normale". Per ottenere la massima flessibilità negli orari il Governo ritiene quindi necessario intervenire sulle "disposizioni riguardanti il riposo giornaliero, la pausa giornaliera e le ferie annuali".

 

10.     Sicurezza del lavoro

 

Il Libro bianco propone anche su questo piano la deregolamentazione proposta per tutti gli altri aspetti della condizione e del rapporto di lavoro. Partendo dalla constatazione che gli infortuni sono saliti dell'1,2 per cento nel 2.000, il Governo attribuisce questa situazione alla legislazione "complicata e burocratizzata". Rivendicando l'attuazione di criteri prevenzionistici specifici, in particolare per le piccole imprese e per l'agricoltura, il Governo si propone di costruire un "Testo Unico" che riordini tutte le norme vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori. Tale operazione dovrebbe portare alla semplificazione delle disposizioni, alla delegificazione e riordino delle norme tecniche di sicurezza delle macchine e al riordino dell'apparato sanzionatorio, con lo scopo di realizzare la "rimodulazione delle sanzioni amministrative accanto a quelle penali convenzionali". Questo intervento complessivo, accanto a quello sul sistema assicurativo, che dovrebbe essere fondato su una sorta di principio bonus-malus a carico delle imprese, prefigura una complessiva messa in discussione della struttura legislativa e assicurativa a tutela della sicurezza del lavoro.

 

11.       Relazioni industriali

 

Sulla base dell'impostazione globale assunta, il Governo propone di rivedere il modello contrattuale previsto dall'accordo del 23 Luglio 1993, in particolare rispetto al peso e alla funzione del contratto nazionale. Considerato che quel modello contrattuale, "se contribuisce a regolare la coerenza macroeconomica, tuttavia ostacola gli aggiustamenti relativi dei salari, ciò che aiuterebbe il processo di riduzione della disoccupazione, si vuole operare per un maggior decentramento della struttura contrattuale". A livello nazionale ci dovrebbe essere solo una sorta di salario minimo, testualmente un "minimum wage, fornitore di una protezione minima". Il contratto nazionale così assumerebbe il ruolo di accordo quadro che salvaguardia il potere di acquisto unicamente delle retribuzioni minime. Al tempo stesso andrebbe rafforzata la contrattazione decentrata per "rendere più flessibile la struttura della retribuzione". "A questo fine occorrerebbe che la contrattazione decentrata, pure non prevedendo trattamenti inferiori ai minimi previsti dal Ccnl, fosse concepita in senso non sovrapponibile allo stesso Ccnl". La revisione del modello contrattuale dovrebbe essere accompagnata dall'affermazione "del criterio generale di coerenza complessiva del sistema, volto a far sì che la crescita retributiva e le dinamiche inflattive risultino coerenti non rispetto ad un solo livello di contrattazione (la sede categoriale), bensì considerando l'insieme delle voci di costo collettivamente determinate, quale sia la sede in cui siano trattate". In sintesi il Governo, che chiede alle parti sociali di rivisitare tutto l'assetto contrattuale, fa così propria l'impostazione sostenuta dalla Confindustria e specificamente dalla Federmeccanica, secondo la quale bisogna abbassare il livello di protezione del contratto nazionale e considerare come un unico conto tutte le voci salariali, anche quelle aziendali. In questo modo, pur restando formalmente due livelli di contrattazione, in realtà essi verrebbero assorbiti in un criterio di valutazione unica di compatibilità macroeconomica e delle imprese. E' un sistema che abbiamo definito come quello di due livelli contrattuali che complessivamente danno al lavoratore meno di uno.

 

Questa impostazione si accompagna a una scelta di fondo del Governo sul piano del sistema delle relazioni sindacali. La valorizzazione data agli accordi separati sul mercato del lavoro recentemente realizzati diventa anche affermazione di principio sul piano delle relazioni sindacali. Il Governo dichiara "la propria intenzione di non voler assumere iniziative legislative in materia di rappresentatività degli attori negoziali, nel pieno rispetto della tradizione autoregolamentare delle parti sociali italiane ed in ossequio al principio di reciproco riconoscimento, consolidatosi ormai anche in sede comunitaria". In questo modo il Governo non solo abbandona il criterio della rappresentatività reale, quella misurata dal voto dei lavoratori, ma anche quello della presunzione di maggiore rappresentatività, che bene o male ha sinora orientato i rapporti tra le parti sociali. Se il principio guida è quello del reciproco riconoscimento è evidente che qualsiasi accordo, indipendentemente dal peso di chi lo sottoscrive, è valido. Tale affermazione del Libro bianco è stata confermata dal Governo nella relazione di presentazione delle deleghe sul mercato del lavoro. Anche qui viene assunta l'impostazione della Confindustria che ha teorizzato il principio secondo il quale gli accordi si fanno con chi ci sta.

 

Il Governo infine rilancia i temi della partecipazione e della democrazia economica, soprattutto rispetto alla partecipazione azionaria dei lavoratori all'impresa. Questo tema viene legato  a quella dell'utilizzo del trattamento di fine rapporto, nella salvaguardia del principio di volontarietà, ma con ampia spazi concessi ad applicazioni sperimentali, a differenziazioni nella relativa disciplina, alla contrattazione aziendale.

 

Il Governo intende sperimentare l'istituto del referendum preventivo di accertamento della volontà "di tutti coloro che verrebbero chiamati a scioperare dai promotori del conflitto e come condizione quindi per la legittima proclamazione dello sciopero". Questo principio viene affermato per i servizi pubblici ma è evidente la sua portata più generale, soprattutto se accompagnata al rifiuto del Governo di legiferare sulla democrazia sindacale.

 

 

Conclusioni

 

Tutte le proposizioni messe tra virgolette rappresentano citazioni testuali del Libro bianco. Il resto costituisce in gran parte una pura sintesi di quanto quel testo propone. Sono stati tralasciati i capitoli sulle pari opportunità e sul lavoro minorile perché giudicati irrilevanti. Abbiamo voluto ridurre al minimo i giudizi perchè riteniamo che quella proposta complessiva del Governo sia di per sé chiara.

L'esame svolto conferma il carattere organico di quel testo e la sua impostazione complessiva liberista, tesa a destrutturare l'intero sistema dei rapporti contrattuali e dei diritti del lavoro. Se è vero che il testo non nomina mai formalmente l'articolo 18, diverse delle proposte ivi contenute conducono logicamente alle deleghe del Governo. Per queste ragioni è evidente che il mantenimento di un sistema contrattuale nazionale e la difesa del potere contrattuale dei lavoratori nei luoghi di lavoro impongono un rigetto complessivo di tutta questa impostazione, che non può essere considerata base per alcuna trattativa.

 

Roma, 5 aprile 2002