articolo
di Cinzia Gubbini pubblicato su "il manifesto" del 6 ottobre
2005
«Bossi-Fini
peggio delle leggi razziali»
La corte d'appello di Venezia rinvia alla Consulta la norma che impone
l'arresto dell'immigrato che non lascia il paese dopo l'espulsione: «Neanche
nel '38...»
La legge Bossi-Fini è persino peggiore delle leggi razziali del 1938. A
scriverlo nero su bianco è la terza sezione della Corte d'Appello di
Venezia, che il 4 ottobre ha emesso un'ordinanza in cui solleva eccezione
di costituzionalità su un articolo della legge. E non su una parte «originaria»,
bensì proprio su quella modificata dal governo dopo la sequela di
bocciature sganciate lo scorso anno dalla Consulta. Il caso riguarda un
cittadino romeno incappato nelle nuove disposizioni della Bossi-Fini
varate nel 2004. Per essere rimasto in Italia senza giustificato motivo
dopo aver ricevuto un'espulsione, l'uomo si è beccato otto mesi di
carcere.
Storie di ordinaria amministrazione: questo dispone il famoso «tagliandino»
del ministro Pisanu. Quando venne approvato quel decreto con cui il
governo fu costretto a cambiare una delle leggi più care alla maggioranza
le discussioni si concentrarono sulla decisione di affidare ai giudici di
pace le convalide delle espulsioni - sottraendole ai magistrati togati. Ma
in quel decreto fu infilato un emendamento che introduceva una novità
altrettanto eclatante: chi si trattiene in Italia dopo aver subìto un
espulsione senza giustificato motivo commette un delitto e non più una
contravvenzione. La pena è durissima: si rischia da 1 a 4 anni.
Un inasprimento giudicato «macroscopico» dai giudici veneziani, e
contrastante «con i criteri di proporzionalità e ragionevolezza, con il
principio di uguaglianza e con il fine rieducativo della pena, principi
cardine del nostro sistema», scrive il magistrato Giancarlo Scarpari,
estensore dell'ordinanza. Il quale, peraltro, sottolinea che l'intervento
legislativo di modifica della Bossi-Fini sembra essere dettato soltanto
dalla necessità «di poter continuare ad arrestare e mantenere in carcere
il disobbediente dopo che la "mannaia della corte
costituzionale" aveva dichiarato illegittima la precedente normativa».
Il governo, infatti, non avanzò altre motivazioni che giustificassero la
decisione di trasformare l'«inottemperanza» in un vero e proprio
delitto, ad esempio l'aumento dell'immigrazione illegale - anzi, il
magistrato fa notare che secondo dati elaborati dalla Commissione europea
il numero delle effettive espulsioni sembra essere diminuito tra il 2003 e
il 2004. Il legislatore, insomma «ha inserito nell'ordinamento un
ulteriore elemento di irragionevolezza - sottolinea la Corte - piegando il
diritto penale sostanziale alle esigenze di quello processuale e ponendo
entrambi a sostegno dell'attività della polizia con un'inversione dei
piani e dei ruoli istituzionali di tutta evidenza». I giudici fanno
riferimento all'articolo 650 del codice penale, in cui si stabilisce che
chiunque non osservi «un provvedimento dato dalla pubblica autorità per
ragioni di sciurezza pubblica o di ordine pubblico» può essere punito
con la sola ammenda. Ed è a questo punto che Scarpari lancia l'affondo:
«E' significativo - scrive - che neanche il legislatore del 1938 per
sanzionare gli stranieri ebrei "inottemperanti" all'ordine di
lasciare il paese dopo la promulgazione delle leggi razziali, non si fosse
allontanato da questa tradizione, limitandosi a prevedere una nuova
ipotesi di contravvenzione, sempre punita con la pena dell'arresto o
dell'ammenda». Insomma, almeno sulla carta, neanche in pieno regime
fascista e in uno degli atti più rivelatori della natura liberticida
della politica mussoliniana veniva previsto il carcere fino a 4 anni per
la mancata ottemperanza a un provvedimento della pubblica autorità.
Quella dei giudici di Venezia non è la prima ordinanza che interroga la
Consulta sulla decisione di trasformare l'immigrazione clandestina in
delitto. All'orizzonte potrebbe profilarsi una nuova stroncatura.
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