L’Italia ancora oggi affronta ogni questione connessa all’immigrazione come questione di carattere emergenziale. Non basta che siano ormai almeno 3 milioni gli uomini e le donne migranti regolarmente residenti, non basta che oltre 500.000 minori frequentino le scuole italiane, non basta che quasi il 6% del lavoro dipendente regolarmente registrato e retribuito sia composto da manodopera migrante. Legge dopo legge, dal 1990 ad oggi, l’immigrazione è stata affrontata solo come problema di emergenza e ordine pubblico, e non come cambiamento strutturale della società. La legge Bossi Fini ha portato all’ estremo tutti questi aspetti negativi. E’ una pessima legge che va totalmente abrogata. Sembra che l’obiettivo del legislatore italiano sia stato costantemente quello di rendere precaria la condizione della regolarità e favorire la trasformazione dei “regolari” in “terribili clandestini” Si preferisce avere a disposizione un esercito di uomini e donne da poter tenere o cacciare a piacimento in base alle esigenze del mercato del lavoro, tanto è vero che è un contratto di lavoro che oggi da diritto o meno a permanere in Italia. Di fronte a ogni immigrato irregolare “sanato” da un provvedimento di regolarizzazione, due “regolari” perdono il diritto al soggiorno, in una logica perversa che non sembra avere fine, e a cui solo meccanismi di regolarizzazione permanente e a regime possono porre parziale rimedio Il recente documento presentato da Amato non intacca l’impianto della Bossi Fini in materia di ingressi e detenzione amministrativa. La proposta di costituire “uffici di collocamento” nei consolati italiani all’estero – consolati che sono in gran parte zone inaccessibili a chi non è italiano- unito al mantenimento della chiamata nominativa, costruisce un sistema inapplicabile di rapporto fra domanda di lavoro e offerta, che mantiene i migranti in una condizione di subalternità. Nel contempo si interviene con progetti costosi, inutili e a rischio di produrre tragedie come il progetto FRONTEX per pattugliare il Mediterraneo in acque internazionali e “contrastare” gli ingressi non consentiti, impedendo di fatto l’accesso al diritto d’asilo. Si dichiara la necessarietà dei cpt e di sistemi anche differenziati di detenzione amministrativa. Ottenere l’asilo politico è diventato quasi impossibile, del resto il nostro è rimasto l’unico paese europeo privo di una normativa in materia. L’Italia deve dare piena attuazione all’art. 10 della sua costituzione, articolo che se rispettato sopravanza la stessa Convenzione di Ginevra. Abbreviare i tempi della domanda per la cittadinanza rischia di essere inutile, se non si trasforma il diritto di sangue in diritto di suolo. Bisogna ottenere che dopo i cinque anni previsti, la cittadinanza divenga una diritto automatico e non una concessione su cui ponderare per decenni con totale discrezionalità delle autorità di ordine pubblico. Quello che va superato è il nesso ottocentesco tra cittadinanza e nazionalità. L’Italia deve battersi senza discussioni in sede europea per una riforma che preveda la cittadinanza europea sopranazionale. Forme di palese violazione della democrazia e dei diritti umani come la detenzione amministrativa, in ogni sua modalità – dai cpt ai centri di identificazione per richiedenti asilo -, le deportazioni, gli accordi di riammissione, devono sparire dal nostro ordinamento. Così come non possono essere tollerati abusi costituzionali come quello che in questi giorni si sta realizzando nella città di Roma, dove si effettuano retate sul Lungotevere, si distruggono le baracche di cui sono pieni gli argini, si raccolgono le persone intercettate, anche minori in luoghi sorvegliati dalle forze dell’ordine e in cui si nega l’accesso anche a rappresentanti istituzionali, si espellono infine i nuclei familiari con voli charter anche verso paesi che da gennaio entreranno a far parte dell’U.E. L’ennesimo intervento repressivo costoso e inutile messo lì a dimostrare che i soldi per i charter ci sono, quelli per la reale accoglienza e per servizi ai territori no. Bisogna favorire una politica degli ingressi che abbia come elemento centrale la libertà di movimento delle persone e non la subordinazione a limiti imposti dagli stati o peggio ancora da datori di lavoro. In questo senso positiva è l’ipotesi di un permesso di soggiorno per ricerca lavoro, e l’assemblea fa suo l’appello sul decreto flussi presentato da molte associazioni qui presenti. Nello stesso quadro diviene necessaria una forte vertenzialità che veda coinvolti tutti gli attori sociali, per combattere le forme di lavoro nero e di sfruttamento. L’emersione dalla irregolarità, anche attraverso la denuncia di queste condizioni di lavoro, garantendo permessi di soggiorno per ricerca di lavoro e possibilità di regolarizzazione per chi vuole emergere da una condizione imposta di clandestinità, rappresenterebbe un indiscusso segnale di maggiore rispetto per i diritti di chi lavora. La stessa legge finanziaria, ora in discussione deve nei suoi articolati ribaltare la logica secondo cui la quasi totalità delle risorse destinati all’immigrazione sono impegnati per controlli, espulsioni, strumenti di carattere repressivo. Queste risorse vanno viceversa impegnate in politiche di accoglienza reale, di intervento nei territori per favorire processi di inclusione reale, nella creazione di spazi di socialità che riescano ad evitare la nascita e il permanere di forme di ghettizzazione che generano disagio non solo per gli autoctoni ma anche e soprattutto per le donne e gli uomini migranti. Partendo da queste considerazioni di fondo, auspichiamo un confronto con il nuovo governo purché avvenga in forme non rituali, capaci di incidere sui processi reali del paese, (ad esempio una Conferenza nazionale sull’immigrazione), da costruire con le forze sociali e politiche, con le associazioni dei migranti e antirazziste in un contesto di partecipazione reale. Un confronto che parta dalla volontà di rifiutare ogni provvedimento che non segni una reale discontinuità con il passato. Non solo la maggioranza di governo deve sentirsi in dovere di rispettare le proposte elaborate in materia durante la campagna elettorale ma deve tenere conto che le stesse esigenze e istanze delle forze qui rappresentate, chiedono che si ragioni e si legiferi rispetto ad un orizzonte politico molto più avanzato. Il confronto quindi può e deve rappresentare un punto di svolta per definire una nuova legislazione in materia, capace di produrre anche nuova cultura e nuova società. Una legislazione che veda al centro i diritti delle persone, la possibilità di vivere nella società italiana a parità di condizioni, che garantisca la partecipazione attiva alle scelte politiche dell’intera società (diritto di voto compreso) e che miri a ridurre ogni forma di disagio, disuguaglianza e discriminazione. Questa assemblea deve proporsi come uno dei luoghi capaci di disegnare un percorso vertenziale che produca risultati politici e mobilitazione sociale. Dalla manifestazione del 10 settembre a Lampedusa, a tutte le piccole e grandi iniziative che si sono realizzate nei territori, giungono segnali importanti. Si intravede la voglia di esporsi anche di soggetti facilmente ricattabili come le persone in condizione di irregolarità, ci si concentra anche su battaglie e obiettivi specifici con una volontà di costruire nuove soggettività. Per questo l’assemblea ritiene necessaria la realizzazione di un percorso di mobilitazione da cui nessuno deve sentirsi escluso, un percorso fatto di iniziative in cui ogni soggetto possa inserirsi, partecipare o meno senza per questo produrre inutili frammentazioni. Ogni iniziativa, determinata, pacifica e di massa è da ritenersi in rete con questo percorso, in vista di un appuntamento nazionale da costruire insieme e dal basso che punti ad allargare quanto più possibile il fronte dei partecipanti senza modificare la radicalità delle rivendicazioni e delle richieste. Approvato dai partecipanti all’assemblea di Roma, 7 ottobre 2006 |