Ufficio Migranti

Manifestazione per i diritti dei migranti

Rassegna stampa del 23 ottobre 2005

 

"Liberazione"

Manifestazione per bloccare il nuovo superCpt: una gabbia alta cinque metri, porte elettriche alle celle, perfino il televisore chiuso da una grata

Gradisca d'Isonzo contro il lager che piace a Pisanu

Checchino Antonimi
Gradisca d'Isonzo nostro inviato
«Guantanamo, Ponte Galeria, al confronto sono alberghi a 5 stelle… mai vista una cosa del genere. C'è una rete di cinque metri a un passo dalla porta elettrica delle celle, perfino il televisore è chiuso da una grata. Gli "ospiti" saranno divisi per sesso ed etnia… ricorda il braccio della morte dei film americani ma tutto realizzato dalle fabbriche trevigiane, come fai a non diventarci pazzo?».

Sole a scacchi, anche quello sul cielo elettronico del teleschermo. Perfino gli addetti ai lavori restano di stucco dopo il giro turistico nel Cpt nuovo di zecca di Gradisca d'Isonzo, ricavato da una delle tante caserme dismesse che punteggiano il Friuli. L'anonimo addetto ai lavori sembra dare ragione ai tremila che sfilano sotto le mura della ex Caserma Polonio presidiata da carabinieri e polizia degni di un paese in guerra permanente, con agenti in borghese che filmano da ogni posizione i manifestanti e lo stesso fa l'elicottero che sorvola la zona anche dopo il tramonto. Dal corteo si stacca un ragazzo, scrive col pennello grande sul muro bianco, «lager comunale», volano petardi al di là delle fortificazioni, ricadono nel lager sotto forma di scie di fuochi artificiali. I sound system rompono il silenzio della campagna sotto le colline del Carso. Zona di tocai e cabernet, di commercio e artigianato. A pochi passi da una frontiera che, vista da vicino, sembra ancora più inutile. I senza volto col passamontagna arcobaleno, gli stessi che il giorno prima hanno convinto - con una pacifica invasione - la Croce verde locale a ritirarsi dall'appalto per gestire i servizi nel Cpt, chiuderanno il corteo aperto da una delegazione dei «cancellati» della ex Jugoslavia. In mezzo ci sono migranti e italiani venuti da Brescia, dalle case occupate di Milano, da Torino, Genova, Bologna, oltre che da tutto il nordest. Sono giovani comunisti, anarchici che seguono fantocci di legno avvolti dalla fascia tricolore, disobbedienti dietro gli scudi trascinati dai carrelli del supermercato, artisti contro la guerra, donne in nero che domandano «accoglienza e diritti a chi scappa per vivere», tanta gente di Rifondazione, dei coordinamenti migranti, delle Rdb, delegazioni dalle vicinissime Austria e Slovenia, metalmeccanici Fiom, gli unici confederali ad aver scioperato contro la crisi industriale denunciando l'impasto tossico di legge 30 e legge Bossi-Fini: «I primi detenuti di Gradisca potrebbero essere proprio gli operai immigrati che stanno perdendo il posto e con esso il permesso di soggiorno», spiega Massimo Masat, segretario friulano della Fiom. Mamadou è uno di questi: «mauritano di Gradisca», 30 anni di cui 10 passati in Italia, ha appena finito il periodo di mobilità. Se non trova un nuovo lavoro fisso rischia l'espulsione ma è voluto venire alla manifestazione che è iniziata nel primo pomeriggio dall'altra parte dell'Isonzo. Il gruppo di case si chiama Poggio Terza Armata a ricordare il massacro di 6965 fanti e 185 ufficiali «gasati» su Monte S. Michele. Le bombe abbassarono di 12 metri la cima del colle. Molti dei morti erano soldati che scappavano dalla guerra. Uno di loro, si dice, potrebbe essere il milite ignoto. Ma come per quel soldato anche la sorte del paesino è stata stabilita dalla retorica savoiarda. Il paesino si chiama, in realtà, Sdraussina, anche la sezione del Pci si chiamava Gradisca-Sdraussina. E con quel nome era designato nel '42 il campo di concentramento gestito dalla polizia fascista dove sparivano partigiani, civili croati e sloveni spediti a Mathausen. Ora è una fabbrica tessile in disarmo. «Non c'è nulla che spieghi il signicato di queste pietre», dice Roberto Pignoni, docente universitario e attivista antirazzista. La rimozione della memoria è stata così forte che non solo gli aguzzini sono stati riabilitati e passano per vittime delle foibe ma dopo 63 anni e 2 mesi dall'altra parte del ponte sta per sorgere un altro lager. «Anche la caserma Polonio era un luogo di tortura dei repubblichini», ricorda Luigi Bon, consigliere provinciale Prc. Suleyman racconta la storia di Veljmir, classe '69, campione di scacchi di Capodistria, uno dei18mila «cancellati» che hanno smesso di esistere ufficialmente quando è stata istituita la Slovenia , nel '91. Molti sono spariti, altri sono stati in prigione, o resi invisibili nelle case in cui erano nati. «Un genocidio digitale condannato dalla stessa corte costituzionale slovena ma che non ha fermato la pulizia etnica». «La loro vicenda approderà a Strasburgo», assicura Giusto Catania, europarlamentare Prc.

Ma il Cpt aprirà a novembre, sembra certo, per imprigionare 400 persone che non hanno commesso alcun reato ma hanno l'impareggiabile torto di non possedere documenti. Aprirà, sembra, nonostante questa cittadina di nemmeno settemila abitanti non lo voglia, e non lo vogliono la provincia di Gorizia e la Regione. Tutti insieme hanno fatto un ricorso al Tar contro la «struttura marziana», così la chiama Roberto Antonaz, assessore regionale alle politiche per la Pace e all'istruzione. Pisanu però l'ha pretesa questa nave degli orrori incastonata tra due centri commerciali stravolgendo destinazioni d'uso e vincoli ambientali. «La linea del governo sta nella solita logica emergenziale, inaccettabile sul tema dell'immigrazione - spiega la deputata Prc Graziella Mascia - e si concretizza nell'utilizzo di vecchie e inutili caserme per imporre i Cpt». Così si aggirano i mal di pancia di territori sempre più recalcitranti, vuoi per sensibilità antirazzista e solidale, vuoi per paure meno nobili. A Gradisca prevalgono le ragioni della solidarietà. Un imprenditore del luogo, che aveva provato a fomentare i suoi concittadini contro il Cpt, agitando lo spauracchio della svalutazione degli immobili, non è andato oltre la prima riunione. Il coordinamento dei partiti cittadini è nettamente contrario e anche il municipio. «Piuttosto la gente sembra rassegnata - osserva Greta Defend, giovane consigliera comunale Prc - anche per l'atteggiamento accondiscendente del sindaco che non ha neppure provato a fare ostruzionismo e a rallentare gli allacci di acqua, luce e gas per il lager». «Anche il parroco è un po' timido sulla questione del Cpt - aggiunge Gianfranco Marega, commerciante e segretario locale di Rifondazione - è dal 2001 che ci si batte contro una struttura che è costata 17 milioni di euro». Chissà quante cose potrebbe fare una regione con un tale budget per le politiche di accoglienza. «Ma il percorso per chiudere tutti i Cpt continua - dice Roberta Fantozzi, responsabile immigrazione per il Prc - il 3 dicembre ci sarà una manifestazione nazionale a Roma per dire che l'orrore di Lampedusa è quello di ogni Cpt. Chiediamo una svolta radicale, a chi si candida a sostituire Berlusconi sulle politiche dell'accoglienza, mai più logiche da apartheid».


"il manifesto"

Bari in piazza contro il nuovo cpt
Il «laboratorio Puglia» sfila per dire no a quello che diventerà il più grande «lager» per immigrati d'Italia. In corteo il sindaco Emiliano e la giunta regionale, capofila della campagna per la chiusura
CINZIA GUBBINI
INVIATA A BARI


Il centro di permanenza di Bari Palese sembra già una cattedrale in mezzo al deserto. I muri di cinta sono color ocra, e sono praticamente l'unica cosa che è possibile osservare fatta eccezione per un cancello d'entrata elettronico con l'inquietante targa "Centro di Permanenza per Immigrati Irregolari". Il nuovissimo cpt è solo l'ultimo pezzo di una lunga catena che sorge su un territorio di servitù militari. Prima la roulottopoli circondata di reti dove alloggiano al momento 500 richiedenti asilo, poi l'aeroporto militare, poi la "cittadella della Finanza", un enorme fortino. E infine il cpt. Un capolavoro di architettura securitaria che fa a cazzotti con l'altra immagine della Puglia e di Bari, quella che è scesa in piazza ieri, quella dei movimenti antirazzisti ma anche dei rappresentanti degli enti locali, primo fra tutti il sindaco Michele Emiliano. Nichi Vendola, il governatore paladino del fronte anti-cpt non c'è. «Purtroppo è a Parigi», fanno sapere i suoi. Però ci sono gli assessori della giunta regionale, tutti pronti a dire che Bari non vuole quel centro. E' partito dalla roulottopoli l'«horror tour», un giro panoramico per vedere in che posto il governo ha pensato di piazzare il cpt più grande del sud. «Qui vicino sorge il quartiere San Paolo - spiega don Angelo Cassano, da sempre al fianco delle lotte per i diritti - e io che sono stato parroco di quel quartiere degradato posso dire che soffro, perché è incredibile pensare che siano stati spesi 5 milioni di euro per costruire questo luogo». A manifestare davanti al centro sono arrivate persone da Roma, da Napoli, da Palermo. Ci sono le bandiere delle Rdb, dei Cobas, della Cgil, dell'Arci e soprattutto gli striscioni della Rete No Cpt e del Comitato immigrati. Ci sono la deputata dei Ds Alba Sasso, Giovanni Russo Spena e Titti De Simone del Prc. Tutti in piazza per una manifestazione che non fa sconti a nessuno: chiudere tutti i cpt, slegare il permesso di soggiorno dal contratto di lavoro. E non è un caso che i numeri non siano esaltanti: le elezioni sono vicine e si vede.

Il sindaco Emiliano, ex giudice e volto simbolo di una Puglia che si è lasciata alle spalle dieci anni di destra ribadisce la sua posizione: «Io ritengo che i cpt siano anticostituzionali. Come amministratore ho espresso molto chiaramente la contrarietà mia e di tutta la giunta a che il centro venga aperto. Ma la situazione è paradossale: ho chiesto al prefetto con una lettera pubblica di essere informato su quando hanno intenzione di aprire il cpt e su chi lo gestirà. Al telefono mi ha risposto con voce imbarazzata. Se le cose stanno così si prepara un grave scontro istituzionale».

Il sindaco però non condivide la richiesta che arriva dalla Rete No Cpt, che Andrea Russo sintetizza così: «Dopo il Forum dei governatori organizzato da Vendola, che è stato un passo molto importante, chiediamo di vedere i fatti: disobbedienza amministrativa. Il comune impedisca l'allaccio di acqua, luce e gas». «Il Comune non deve subire ricatti ma non li deve neanche esercitare», risponde Emiliano. Un'opposizione istituzionale, dunque, che però si trova a suo agio in una mobilitazione che porta in piazza gli striscioni: "Chiudere i lager, aprire le frontiere". Cofferati è lontano anni luce. Intanto il corteo circonda il centro, attraversando quel poco di terra ancora coltivata a cavoli, finocchi e alberi da frutto perché i contadini sono stati espropriati per fare spazio al simil-carcere. Non succede nulla, neanche una scritta imbratta i muri immacolati. Chi voleva impegnarsi in un'azione più diretta lo ha fatto il giorno prima, occupando la sede della Croce Rossa per chiedere che l'ente non partecipi al bando per la gestione del centro. «L'esperienza pugliese può essere un laboratorio, capace di spostare in avanti le politiche nazionali - dice Nicola Fratoianni, segretario regionale del Prc - qui abbiamo visto un fronte istituzionale che non solo ha lanciato una parola d'ordine, ma se ne è fatta carico».

Nel pomeriggio il corteo si sposta in centro, attraversa il quartiere Libertà dove si riappropria di una scuola abbandonata che viene drappeggiata con uno striscione che dice: "Chiudere i cpt, aprire spazi sociali". I ragazzini del quartiere si impossessano immediatamente del campetto di calcio. I numeri crescono rispetto alla mattina e il laboratorio pugliese mostra tutti i suoi volti. Ci sono persino le Acli e poco più avanti i passamontagna arcobaleno dei senzavolto. Il corteo passa sotto al Comune e sono applausi per il sindaco Emiliano, che alla fine riscende in strada in maniche di camicia. Sull'asfalto restano le scritte contro i cpt ma anche contro don Cesare Lo Deserto, condannato per le violenze nel cpt di Lecce. Il corteo finisce di fronte alla sede della Croce rossa. Tutti si danno appuntamento è per la manifestazione nazionale del 3 dicembre a Roma.

Mantovano: «Il centro aprirà»
C'era anche il sottosegretario Mantovano ieri a Bari. E ha polemizzato con il sindaco Emiliano: «Se si contesta l'esistenza in vita dei cpt bisogna dire con altrettanta chiarezza che chiunque può venire clandestinamente in Italia». Dunque il centro barese sarà aperto appena pronto, «con buona pace di chi si oppone»

Lampedusa, sbarco con morto
C'era anche un neonato di un mese sul gommone con altri 23 somali (tra cui sei donne) alla deriva al largo di Lampedusa con mare forza cinque. Avvistato giovedì, se ne erano perse le tracce. Uno dei passeggeri a bordo è caduto in acqua e morto durante il viaggio. Il suo cadavere è stato ripescato a 50 miglia di distanza

GRADISCA
Tremila fischi per il sindaco
MATTEO MODER
GRADISCA D'ISONZO (Gorizia)


In contemporanea con Bari, il popolo del movimento migranti e delle reti antirazziste ha detto ieri no a Gradisca d'Isonzo (Gorizia) a tutti i Centri di detenzione e di identificazione sparsi per l'Italia, chiedendo nel contempo la chiusura dei lager di Bari e di Gradisca che, se ultimato, rischia di diventare uno dei più grandi campi di detenzione per migranti d'Europa. Quasi tremila persone - duemila per la Questura - hanno sfilato per le vie di Gradisca, blindata da centinaia di carabinieri e poliziotti in tenuta antisommossa con blindati, camionette e due elicotteri a "sorvegliare" prima di "punire", con in testa un migliaio di giovani "senza volto", incappucciati d'arcobaleno e con un grande striscione "No ai lager" che non concede niente al compromesso o agli atteggiamenti ondivaghi del centro sinistra su questi temi. I rappresentanti dei movimenti, delle associazioni, dei partiti, dei sindacati, del volontariato sociale ed altri si sono radunati nel primo pomeriggio nella centrale piazza dell'Unità di Gradisca, dopo essere giunti con treni speciali e pullman da Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Marche. Qui sono confluiti i mille "senza volto" che come primo atto simbolico hanno "assediato" il comune di Gradisca, retto da una coalizione Ds-Margherita perché reo di aver deliberato l'allacciamento fognario al Cpt che sorge nell'ex Caserma Polonio. Proprio mentre i «senza volto» erano sotto il comune, il sindaco Luca Tommasini (Ds) vebiva contestato e allontanato dal corteo dagli anarchici.

Il corteo ha poi continuato, tra slogan e musica, in un'atmosfera allegra anche perché la Croce verde gradiscana ha rinunciato ufficialmente alla gara d'appalto per la gestione del Cpt, invitando nel contempo tutto il terzo settore e il volontariato a dire no alla gestione di questi centri, i soli per i quali il Governo ha stanziato forti finanziamenti. «Un atto di grande coraggio quello del commissario Flavijo Bello - ha detto il consigliere regionale del Verdi, Sandro Metz - ma che ha svelato il marcio che c'è anche in alcune organizzazioni del terzo settore, dove per sopravvivere o per guadagnare alcuni sono disposti a farsi carcerieri e kapò dei migranti». Tra le migliaia di partecipanti, indifferenti alla "pressione" poliziesca, anche una nutrita delegazione dei "cancellati" sloveni, quei cittadini che nel 1992, all'atto dell'indipendenza della Slovenia, non potendo dimostrare la loro totale "slovenità", persero i requisiti di residenza permanente e divennero invisibili. Una loro delegazione, prima della manifestazione, ha sostato davanti all'ex lager fascista di Poggio Terza Armata, dove durante la guerra finirono centinaia di donne, vecchi, bambini, rei solo di non essere italiani, saldando così vecchi e nuovi lager.

Davanti al Cpt, circondato da un cordone sanitario, i "senza volto" hanno lanciato fumogeni e alcuni razzi contro la struttura. «Già siamo stati incriminati lo scorso anno per aver distrutto parte del cantiere del Cpt - hanno detto Luca Casarini e Andrea Olivieri - e con questo gesto di oggi vogliamo ricordare a Pisanu che continueremo nella nostra opera di sabotaggio finché questo obbrobrio non sarà definitivamente chiuso». Olivieri e Casarini, prima che la manifestazione si concludesse pacificamente, hanno anche ribadito che ormai è tempo che il centrosinistra che regge comune, provincia e regione si assuma tutta la responsabilità per far chiudere definitivamente il lager gradiscano. «Basta ai tentennamenti che ha avuto nel chiedere che il Cpt non sorga a Gradisca». «Non è più tempo di lettere, ricorsi al Tar, sterili incontri con Pisanu e gli altri - hanno concluso - ora devono dire da che parte stanno e agire di conseguenza o li riterremo complici del governo».