Ufficio Migranti

Relazione Introduttiva di Loris Scarpa della segreteria Fiom Treviso

al seminario sulla Contrattazione e i lavoratori migranti del 13 giugno 2005

 

Saluti ed introduzione

Un saluto a tutti i presenti ed un grazie per le disponibilità dimostrate.

La FIOM di Treviso ha deciso di organizzare questo seminario sulla contrattazione ed il lavoro migrante in quanto, importanti per noi sono stati i due anni passati a lavorare con il nostro gruppo dirigente, in attività formative e di discussione, per provare ad affrontare il tema in modo nuovo. Ciò ha portato il nostro sindacato metalmeccanici a considerare l’immigrazione centrale tant’è che abbiamo voluto sottolineare ciò scegliendo Spresiano quale luogo del seminario, in quanto perfetto centro geografico della provincia di Treviso.

Abbiamo inteso necessario darci questo appuntamento, visti i precedenti.

Il 16 novembre 2002 la Fiom nazionale organizza qui a Treviso la prima assemblea delle lavoratrici e lavoratori metalmeccanici migranti.

Il 16 maggio 2003 la CGIL Veneto organizza sempre a Treviso una importante manifestazione contro il razzismo che vede la presenza segretario generale della CGIL G. Epifani.

Il tempo ha fatto maturare le condizioni per cui oggi sia la Fiom di Treviso a voler proseguire su quella strada e speriamo segnarla.

Ora, quanto ci piacerebbe, oggi, in questa occasione, poter descrivere la nostra terra, come luogo che ha fatto tesoro delle sue esperienze, dei suoi sacrifici, in giro per il mondo? Quanto ci piacerebbe, quanto sarebbe importante per i nostri figli, che, chi ieri era migrante, insieme a chi oggi è migrante, nelle scuole, nei momenti d’incontro, nelle osterie, ci raccontasse qualcosa? Magari cosa vuol dire migrare, cosa vuol dire lavorare all’estero, in paesi con culture diverse, con abitudini diverse. Quanto vorremmo che da quelle parole emergesse, la comunanza?

Ieri come oggi, la comunanza, delle necessità, del bisogno di vivere dignitosamente, del voler sognare un futuro diverso. La comunanza del pensare sempre a quei pezzi di sé lasciati a casa.

Quanto sarebbe bello che quelle esperienze avessero fatto maturare idee, pensieri e azioni, di pace, di tolleranza, di reciproca comprensione? Quanto sarebbe bella Treviso come città di tutti, casa di tutti, culla di una nuova cultura, in cui nessuno è escluso? Quanto sarebbe bello vivere in una Treviso senza la preoccupazione, di dover tornare ad emigrare per ridarsi un senso?     

Oggi, partiremo da ciò, perché vogliamo ragionare, vogliamo costruirci un futuro diverso dal presente, un futuro su altri principi.  

Questo seminario avviene dopo un fruttuoso percorso iniziato con il XXIII Congresso Nazionale della Fiom che sta portando grazie all’ importante lavoro dell’Ufficio Migranti Nazionale dei positivi frutti in varie regioni d’Italia. Non solo anche a livello Veneto, come CGIL si stanno vedendo dei grandissimi passi in avanti sulla via del coordinamento delle varie Camere del Lavoro e dei loro sforzi, profusi in questi anni per affrontare quella che era considerata “l’emergenza” per antonomasia e che oggi ha obiettivi e programmi di lavoro specifici. Fondamentale poi il percorso pre-congressuale con l’obiettivo di costruire una delle 12 tesi sul tema dell’immigrazione che ha prodotto degli interessanti e speranzosi obiettivi con l’avvenimento e gli atti conclusivi della III Conferenza Nazionale della CGIL sull’immigrazione che a nostro avviso aprono una nuova stagione all’interno della nostra confederazione, di cui i materiali ovviamente sono a disposizione.

Ci sembra importante sottolineare come il sindacato confederale abbia sempre avuto un ruolo fondamentale di sensore dei cambiamenti sociali. Anche qui a Treviso ci siamo accorti, della fondatezza di ciò, rivedendo i volti dei lavoratori che transitavano nelle nostre assemblee e partecipavano alle nostre manifestazioni in tutti i 60 anni di CGIL. CGIL trevigiana alla quale ovviamente facciamo un grande augurio di longevità e successi per i diritti dei lavoratori attuali e futuri.

 

Considerazioni generali

La contrattazione è lo strumento principe con il quale il sindacato, quello confederale, ha dato il suo contributo al progresso e anche su cui si fonda la democrazia nel nostro paese. Perché la contrattazione serve a diffondere, distribuire le responsabilità e far si che i soggetti che la attuano maturino consapevolezza. La contrattazione nasce da dei bisogni specifici, dalle necessità e dunque significa che è espressione di soggetti vivi, attivi ai quali bisogna riferirsi costantemente. I bisogni nascono dal nostro essere persone, dal nostro essere cittadini dal nostro essere lavoratori. Da ciò nasce l’art. 1 della costituzione che sancisce: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro …” Dunque fondando la nostra cittadinanza sul lavoro, abbiamo stretto un patto tra noi, egualitario, scommettendo che la possibilità, il diritto ed il dovere al lavoro ci desse diritti, ci desse libertà. Dunque la Costituzione stabilisce come prima qualità del cittadino, l’essere lavoratore. Le leggi, invece, in realtà, legano la cittadinanza ed i suoi diritti ad un principio tardo medioevale, cioè ai rapporti di parentela, di sangue.

Affrontiamo questa contraddizione, tra Costituzione e leggi, per affermare che la nostra storia di sindacato che costruisce e tutela  i diritti dei lavoratori dipendenti come interesse generale del paese, dimostra in realtà che la cittadinanza attiva, la possibilità di costruirsi un futuro, di avere l’opportunità di essere appagati, felici, passa tramite il lavoro ed il diritto ad esso. E’ come se partendo dai diritti universali della persona il lavoro aprisse le porte a tutti gli altri diritti. Non è un caso, come CGIL si sia deciso di adoperarsi per una campagna europea, “Diritti senza confine” che pone il diritto alla cittadinanza non più come un privilegio o come un caso della natura, ma legato alla residenza, all’esserci. E dunque il vivere in Europa come un’opportunità per tutti.

Col prossimo congresso della CGIL, crediamo e ci auguriamo, si avvii un processo di trasformazione del nostro sindacato generale in cui vi sia una confederazione impegnata strategicamente e straordinariamente per i diritti di cittadinanza dei lavoratori dipendenti e le categorie impegnate per il riconoscimento di tali diritti all’interno dei luoghi di lavoro. Crediamo sia il necessario sbocco, del nostro impegno degli ultimi 15 anni sul tema dei diritti. Strumento centrale per l’attuazione di questo disegno torna ad essere la pura e vera contrattazione quella sociale della confederazione e quella del lavoro delle categorie. E’ chiaro dunque che vi sono temi generali di rivendicazione in ambito confederale e in ambito categoriale e alla luce di ciò diventa di notevole importanza che i due livelli si muovano in sinergia, magari ognuno stimolando l’altro.

Ora riflettiamo su due affermazioni del prof. Livi Bacci importante demografo dell’ Università di Firenze il quale dice:

   “Non è più vero che l’Italia ha livelli d’immigrazione più bassi della media europea: nella realtà dei fatti il paese ha accettato, soprattutto negli ultimi anni, flussi di immigrazione tra i più alti d’Europa, e lo stock di immigrati si pone oggi nella media della UE-15.”

2° “Non è più vero che, per l’Italia, l’immigrazione è un fenomeno recente e giovane, considerazione spesso avanzata a giustificazione delle incerte politiche finora seguite e della presunta impreparazione della società (istituzioni ed individui) a metabolizzarlo. E’ ormai più di trenta anni che l’Italia riceve immigrati, un tempo più che sufficiente per apprendere e governare, anziché subire, questo straordinario cambiamento.”

Da queste due affermazioni, importante è introdurre alcune cifre.

Nel 1994 gli immigrati nel paese erano circa un milione, per 2/3 regolari e per 1/3 irregolari.  Nel 2003 la Caritas, stimando la sanatoria, ci disse che erano 2 milioni e mezzo. Oggi sappiamo che sono 3 milioni  regolari e circa 500.000 gli irregolari. Esattamente il 5% della popolazione italiana. A Treviso ci sono oltre 60 mila stranieri di 140 paesi diversi. Insomma in un decennio la presenza di immigrati si è più che triplicata e l’afflusso stesso si è talmente intensificato che oggi possiamo dire che l’Italia insieme alla Spagna è il paese con la più alta affluenza di immigrati. Le previsioni per il futuro danno questa tendenza al consolidamento se non addirittura al rafforzamento.

Oggi a livello nazionale la CGIL ha circa 170.000 iscritti immigrati ed è l’associazione sociale che organizza il maggior numero di cittadini migranti.

Nel nostro piccolo la Fiom di Treviso ha il 20% di iscritti di provenienza da altri paesi. Nell’andamento mese su mese abbiamo punte di 80 nuovi iscritti immigrati su circa 100-150 nuove adesioni!

Da ciò appare chiaro che la società italiana, la CGIL e la FIOM stanno cambiando pelle, è come se anno su anno questo paese e il suo destino sia sempre più legato alle sorti dei cittadini migranti.

Cerchiamo di sostanziare meglio questa ultima affermazione.

Diamo uno sguardo a noi cosa sta avvenendo alla popolazione autoctona, ed immaginiamo per un attimo che non vi sia immigrazione.

Molti studiosi di statistica e demografia parlano di “depressione demografica” della popolazione italiana, autoctona.

Pensando al prossimo ventennio si stima che la popolazione tra i 20 e 40 anni che a fine 2004 era di 15,3 milioni sarà di 10,5 milioni – 31%. Ciò è dovuto sostanzialmente alla drastica diminuzione delle nascite, iniziata negli anni ’80. Ovviamente stiamo parlando della parte del paese più giovane, vitale e mobile anche professionalmente, aperta ella novità e capace di innovare, insomma più coraggiosa, nonché fautrice di nuovi nati e future generazioni.

Nella fascia d’età tra i 40 e 60 anni ci sarà, sempre nel prossimo ventennio, una diminuzione di 1,5 milioni di persone mentre oltre i 60 una crescita di 3,2 milioni di individui con poi una forte diminuzione.

Uno sconvolgimento della società italiana! Società italiana che dovrà avere, politica ed economia permettendo, un adeguato sistema sociale e di benessere.

A questo punto, avendo un approccio da scienziati più che da sindacalisti, mettiamo assieme le due statistiche quella sull’immigrazione e quella sull’andamento demografico della popolazione autoctona. Diviene chiaro quanto i destini dei migranti intersechino quello degli autoctoni e quanto sia fondamentale l’apporto dell’immigrazione per il mantenimento, equilibrato e stabile della nostra società. Soprattutto da ciò, nasce la necessità, a nostro avviso, di ripensare profondamente il nostro sistema sociale e di benessere (welfare), trasformandolo da esclusivo ad inclusivo. Pensando non più a chi ne ha diritto ma ha come farlo diventare un diritto di tutti. Con il rischio ovviamente che se ciò non viene preso in seria considerazione vi sia un collasso del nostro paese. E’ necessario dunque governare, più che altro, questo inevitabile cambiamento, altrimenti assisteremo come assistiamo oggi, passivamente, a profondi squilibri e conflitti.

La CGIL ha definito all’ultima Conferenza Nazionale, l’immigrazione e l’apporto di un nuovo modo di concepire la cittadinanza, come un’opportunità che ci è data, spiegando che mettendo insieme le necessità e le esperienze loro alle nostre e stabilendo delle regole di convivenza, rispettose e condivise si apre per tutti una grande possibilità.

Con  ciò smentiamo chi crede e/o continua a farci credere che l’immigrazione sia un fenomeno temporale e congiunturale e che se non ci saranno più le condizioni per una vita accettabile qui, basterà reimbarcare i migranti sui barconi con cui sono venuti.

L’immigrazione è strutturale e come abbiamo visto diviene necessaria per mantenere un costante livello di certezze per il futuro. Dunque occorre fare in modo che le politiche e la legislazione sull’immigrazione siano centrate sul consolidamento e moltiplicazione delle possibilità/opportunità e non sulla precarietà e le limitazioni. Dunque come dimostrato dai dati e non solo dai conflitti innescati, prima la legge Turco – Napolitano ed oggi la sua modifica Bossi-Fini ed il loro sistema di flussi non ha per nulla funzionato e anzi è deleterio in quanto alimenta clandestinità ed illegalità.

Come può essere che un permesso di soggiorno e poi il futuro contratto di soggiorno possano, rinnovandoli anche ogni sei mesi con tempi di attesa fino ad un anno garantire stabilità, dare certezze e sicurezza per autoctoni e immigrati?

La Legge Bossi-Fini alimenta sacche di irregolarità, e quel che è peggio disgrega la società rendendola conflittuale per le restrizioni!

Mutuiamo allora le parole di Piero Soldini responsabile dell’ uff. Nazionale Immigrazione della CGIL nella relazione di apertura alla Conferenza Nazionale: “In virtù di questa legge, invisa ormai a tutti, immigrati, imprenditori e famiglie italiane, il lavoratore immigrato è costretto alla clandestinità, obbligato ad arrivare clandestinamente nel nostro paese, a cercare qualcuno che per amicizia o a caro prezzo gli certifichi un lavoro falso per avere un permesso di soggiorno che gli consenta di fare un lavoro vero ma sistematicamente in  nero!”

Noi diciamo: “Quale cittadinanza futura responsabile ed impegnata costruiamo con queste leggi che invece di af-fidare i cittadini alla legalità li fanno scappare da essa?

In Europa c’è un dibattito aperto sulle questioni dei migranti. La CGIL e la FIOM hanno detto un no secco ad un’ “Europa fortezza” perché gli stessi problemi che vive oggi l’Italia, li vivono anche altri paesi. La Germania di Schroeder ha attuato una politica di ristrettezze sociali in generale ed in particolare per gli immigrati, consegnando il governo in mano alla destra, cosa che credo sia avvenuta anche in Italia qualche anno fa. Mentre la Spagna di Zapatero accordandosi con le richieste sindacali attua una grande sanatoria e riduce drasticamente la clandestinità, proponendo un meccanismo di regolarizzazione permanente. Anche da qui, nasce la nostra proposta come CGIL di introdurre il “permesso di soggiorno per ricerca occupazione” che garantirebbe una drastica diminuzione della clandestinità e delle prestazioni lavorative in nero, nonché un’opportunità, una possibilità per la persona.

Dunque gli obiettivi della contrattazione a tutti i livelli debbono mirare alla stabilizzazione degli immigrati, alla loro inclusione nel sistema di benessere (welfare), alla costruzione di pratiche antidiscriminatorie dentro e fuori dal lavoro, una cosa simile a quanto si sia concepito per le pari opportunità tra uomo e donna.

Definiti, gli obiettivi: i diritti di cittadinanza; gli strumenti: la contrattazione; definiti i soggetti: tutti i lavoratori dipendenti; va costantemente ricercata l’unità del lavoro dipendente e rimossi gli ostacoli ad essa.

Oggi per affrontare il tema della contrattazione occorre partire dalla rimozione della precarietà sociale e dell’esclusione, in particolar modo per gli immigrati quella voluta dalla Bossi-Fini. Occorre abrogare il decreto legge 276 che rende impossibile a tutti, nessuno escluso, il progettarsi una vita.

Occorre facilitare i ricongiungimenti famigliari perché è la famiglia prima certezza di stabilità. Occorre vedere la mobilità delle persone come qualcosa che fa parte dell’individuo e dunque inevitabile. Occorre pensare alla prima accoglienza, ostelli etc. non solo come un “dove sto” o “dove li metto”, ma anche come un’opportunità per imparare, conoscere, formarsi e collocarsi professionalmente.

Occorre favorire la cittadinanza, trasformandola da un diritto di sangue e dunque esclusivo ad un diritto di residenza, “chi c’è”, “chi paga le tasse”.

Stiamo spendendo milioni di euro in espulsioni che non servono a nulla. Non si risolvono i veri problemi, quelli dell’accoglienza e della clandestinità, che è vita senza certezze, fatta di espedienti.

L’ultima Finanziaria ha messo a disposizione 115 milioni di euro per le espulsioni e per finanziare una lobby che gestisce, una tra le più grandi vergogne del paese, i CPT. Solo 29 milioni di euro sono stati programmati per le politiche dell’accoglienza e per il sostegno all’immigrazione regolare. 

La legalità e la sicurezza pubblica non si combattono con le armi e la forza.

Questo deve essere il primo compito della contrattazione sociale, confederale, nonché una battaglia di tutti.

La contrattazione sociale ovviamente riguarda più soggetti e deve affrontare i temi dello sviluppo della società, e delle regole nel quale i vari soggetti si muovono, operano, vivono.

Pensando, la contrattazione sociale nell’ottica dei diritti di cittadinanza viene più chiaro riferirci alle varie categorie che compongono l’universo del lavoro dipendente, immigrati e immigrate delle varie nazionalità, giovani, donne, uomini, famiglie, singles, coppie di fatto, pensionati.

Da qui, dobbiamo partire per affrontare le rivendicazioni e le proposte per includere chi oggi è totalmente o parzialmente escluso.

I giovani rimangono a casa con i genitori fino ad un’età avanzata.

Le questioni della non autosufficienza degli anziani sono autogestite dalle famiglie con le badanti clandestine.

Nelle famiglie si torna a prediligere il lavoro, se si trova, alla scuola per i figli. Etc.

Questi sono sintomi che denunciano il fatto che si sta formando una ghettizzazione della società che non vede emarginati solo i migranti ma categorie di cittadini.

Fino ad ora gli immigrati hanno risolto parte delle emergenze discriminatorie e di accessibilità al sistema di benessere mettendosi assieme, per gruppi etnici o per nuclei famigliari. Così hanno affrontato almeno in via generale parte dei problemi, quali, casa, in affitto o di proprietà, accesso al credito e assistenza ai figli e famigliari.

C’è da sottolineare poi  che i migranti, alla luce di ciò, si rapportano con la società mediamente solo con l’associazionismo, di stampo etnico e/o religioso, facendo in modo che le dinamiche dei paesi di provenienza anche contrastanti col nostro sistema culturale vengano riproposte qui da noi.

Per questo secondo noi c’è la necessità di investire sui luoghi in cui è centrale la figura dell’individuo e in cui ci si rapporta come tali. Dunque sul sistema dei bisogni, sul lavoro, sulla scuola e sulla sanità pubblica.

C’è la necessità di affrontare il problema casa e dell’accesso al credito a partire dalle condizioni reddituali e famigliari. Occorre pretendere, affinché si limitino le discriminazioni, ruoli da protagonisti nell’edilizia e nel mercato degli immobili degli enti provincia e regione. A Treviso il fondo di rotazione per gli affitti rimane totalmente inutilizzato. Ciò significa che la provincia a messo a disposizione dei soggetti interessati a questa contrattazione, Sindacato e Aziende, uno strumento non adeguato per sostenere le richieste di alloggio dei lavoratori migranti, i quali non riescono ad accedervi, ne rimangono esclusi.

E’ per questo che ai temi del diritto alla casa sia essa di proprietà o in affitto, i temi della formazione e della scuola, del sostegno al reddito e dell’assistenza, dei servizi alla persona, del collocamento e della mobilità, che sono generali, occorre rispondere al come fare per renderli accessibili a tutti. Oggi solo chi può vantare dei redditi elevati non è afflitto da questi problemi. Il sistema di welfare deve essere subito disponibile, dunque deve essere legato al solo Permesso di Soggiorno.

Per includere gli immigrati in un sistema sociale più equo occorre partire secondo noi dall’affermazione “pari doveri, pari diritti”, ci riferiamo alle tasse, ci riferiamo al diritto di voto ed ai sistemi partecipativi. Ci sono comuni in cui la presenza di immigrati è così alta da far sembrare minoranza quella degli autoctoni, e magari se andiamo a vedere le differenze di reddito scopriamo che in quel comune vivono molti “ricchi”.

L’idea, può essere quella per cui pochi godono con tutti i diritti e molti faticano senza poter dire la propria e senza poter godere di ciò per cui hanno sudato?

E’ un’idea feudale che rischia di diventare la norma. Occorre pensare a dei sistemi partecipativi, che diano la possibilità agli immigrati di verificare il proprio stato di inclusione nel tessuto sociale e che coadiuvino comuni e province. Tutto ciò almeno fino a quando non vi sarà una legge che riconoscerà il diritto di voto anche ai nuovi cittadini.

Noi, poi crediamo, sia necessario porre al centro, anche un’altra questione, quella della comprensione/conoscenza. Non abbiamo disponibili statistiche, ma di solito i numeri servono a fondare le impressioni. Noi crediamo, occorra fare una denuncia sociale forte e tornare a parlare di analfabetismo e semi-analfabetismo, che oggi è una grave emergenza. Nei luoghi di lavoro e non solo, spesso non ci si capisce, per strada, negli uffici ci sono furbi che approfittano di queste situazioni! (firma qui, lavora e tasi etc.) Occorre metterci a discutere come dare il diritto alla comprensione/conoscenza della persona a partire da come l’abbiamo diffuso nel nostro paese a milioni di Italiani. Cioè con la scuola pubblica ed il diritto allo studio. Diciamo la verità, che i corsi privati e le agenzie di formazione private che insegnano l’italiano a leggerlo e a scriverlo non sono altro che l’ennesimo modo per togliere fondi alla scuola pubblica.

E’ necessario affrontare il tema dell’immigrazione anche in rapporto alla Pubblica Amministrazione. Serve pensare a come fornire strumentazione a chi lavora in essa. Deve essere definita finalmente la figura professionale del mediatore culturale. Occorre però iniziare a chiedersi quando costruiremo la possibilità per i lavoratori migranti di essere tali anche nella Pubblica Amministrazione. Abbiamo il dovere di dare delle risposte alle discriminazioni, a tutte. Occorre affrontarle sostenendo in generale i cittadini vessati.

Ci dovrà pur essere un punto dove posso rivolgermi è trovare subito giustizia?

Sfioro solamente il tema della reciprocità e del mantenimento dei diritti acquisiti, importanti gli sforzi della CGIL e la novità della veste internazionale che dovrà sempre più avere l’INCA sul tema della sicurezza sociale, pensionistica. Credo che per parlare di globalizzazione dei diritti occorra partire dal riconoscimento dei contributi pensionistici, dalle convenzioni internazionali e dai progetti di sviluppo, che come CGIL a livello nazionale, ci vede particolarmente coinvolti soprattutto in Africa. Sappiamo bene che ciò è differente dal sistema della beneficenza.

Alla luce di tutto ciò e di quanto diremo poi, crediamo sia chiaro che il tema dei diritti dei migranti è un tema di tutti, che ci fa crescere in via generale nei diritti acquisiti, consolidandoli e sviluppandoli.

Crediamo, comunque che occorra tenere in considerazione la necessità che la contrattazione confederale, sociale e quella di categoria, aziendale faccia un salto di qualità, ponendo al centro la questione culturale nelle nostre terre anche in modo coraggioso. Perché siamo convinti che la discussione aiuta a crescere a costruire un’alternativa, a differenza del silenzio e dell’indifferenza, che mantengono le persone chiuse, bigotte e soprattutto non in grado di essere realmente padrone della propria vita. In questo senso è stata importante la manifestazione del 28 maggio scorso a Treviso per i diritti dei migranti, che crediamo abbia iniziato un percorso fatto di concretezze e di nuove discussioni anche nella nostra provincia.

 

La contrattazione nei luoghi di lavoro

Partiamo dalla democrazia. Sindacato libero e autonomo è sinonimo di democrazia e la Costituzione Italiana stabilisce che esso debba avere uno statuto democratico. Ma noi sappiamo che la firma di un contratto vale per tutti i lavoratori indistintamente e senza appello, guai non fosse così, e dunque per mantenere fede a quel principio costituzionale è necessario nonché dovuto che i lavoratori possano votare sulle rivendicazioni da avanzare e sull’esito delle trattative. Ciò deve diventare un diritto di tutto il lavoro dipendente, altrimenti sosterremmo a livello generale in modo zoppo la battaglia per il diritto di voto ai migranti. Dunque, chiediamo che le pratiche proposte dalla Fiom diventino patrimonio di tutte le categorie e del sindacato confederale. Solo nell’industria metalmeccanica un immigrato può votare, dunque dire la sua sulla contrattazione!

Oggi la contrattazione non è sicuramente sufficiente in tema di lavoro migrante, e tutte le pratiche anche positive che siamo riusciti a mettere in campo, sono prassi non scritte, perciò ancora distanti dal diventare un diritto!

Attualmente abbiamo uno strumento fondamentale che entra in tutti i luoghi di lavoro ed è il Contratto Collettivo Nazionale. Noi non vogliamo una contrattazione specifica per i lavoratori migranti, sarebbe pericoloso e metterebbe ulteriormente a rischio il mondo del lavoro già notevolmente frammentato. A nostro avviso c’è la necessità forte di rivedere quanto già contrattato in un’ottica differente, e integrarlo con nuove fattispecie e casistiche. Pensiamo alla prima parte dei contratti nazionali la dove si fa riferimento al sistema partecipativo Azienda, OO.SS. RSU, Osservatori sull’andamento di settore, sistema delle informazioni, e Commissioni pari opportunità. Sono capitoli che vanno riscritti in un’ottica antidiscriminatoria, non ci sono solo differenze di genere, ma si deve tener conto delle provenienze e anche delle discriminazioni religiose. Vi è la necessità di mettere dentro anche le piccole e medie imprese o aprire ragionamenti per filiere produttive. Il rischio è che vi siano segregazioni settoriali, in cui l’occupazione sia divisa per nazionalità, o comunque, nelle aziende vi sia separatezza etnica.

 

Rappresentanza nei luoghi di lavoro.

La facilità con cui i lavoratori migranti hanno identificato il sindacato, con la veste di offerta plurima di servizi, sentendolo come luogo in cui andare per avere risposte, aiuti è stata fondamentale. Oggi ci troviamo tutti nella necessità che l’utenza immigrata al sindacato/servizio faccia un salto di qualità. C’è la necessità che la nostra organizzazione a partire dalla rappresentanza nei luoghi di lavoro sia più congrua alla composizione attuale del lavoro dipendente e fedele ai dati di iscrizione. Siamo convinti di ciò. Le RSU nelle aziende debbono essere composte il più possibile in modo corrispondente a quello che è l’insieme della forza lavoro in un’azienda. Siamo convinti poi che oggi sia il sindacato, per il suo futuro stesso,  ad andare verso i migranti a chiedere, sentire, ascoltare. Pensiamo, per iniziare questo percorso, di sperimentare dei punti di ascolto per tutti i lavoratori, all’interno delle aziende più grandi, che possano essere momento in cui le RSU ascoltino, recepiscano, e conoscano i bisogni dei lavoratori, oltrechè le persone stesse. Tutto ciò, che andrebbe ad aggiungersi ai strumenti e compiti classici già in mano delle RSU, al fine di essere momento di gestazione per le piattaforme contrattuali, nonché possibilità di trovare nuova linfa, nuova militanza.

Siamo molto preoccupati su un tema, come FIOM, qui a Treviso, e cioè quello della condizione della donna immigrata e della sua rappresentanza. Sappiamo poco, nelle assemblee come nel lavoro, l’espressione più comune salvo rare eccezioni è il silenzio. E’ una nostra mancanza non riuscire a trovare il modo per rappresentare delle istanze che ancora non capiamo come raggiungere e che sicuramente ci sono. Dovremo trovare la via, da soli o cercando aiuti esterni.

 

Alfabetizzazione, diritto allo studio.

Come già abbiamo avuto modo di dire, su questo punto siamo veramente di fronte ad una emergenza nazionale. Occorre che in attesa di una rinnovata centralità della scuola pubblica, si prevedano in organizzazione con i CTP ed in ottemperanza con la legge 53/2000, progetti aziendali obbligatori di alfabetizzazione a più livelli, anche aperti agli italiani. Fondi ce ne sono in abbondanza, penso ai fondi interprofessionali. Voglio essere chiaro però, qui le aziende debbono fare la loro parte, non si può parlare di salario diversificato od esigenze tecnico produttive, ma anzi pensare a permessi retribuiti e all’uso delle 150 ore, Non deve esserne messo in discussione il diritto, ai lavoratori, di esigere ciò, ne tanto meno il dovere delle aziende ha farsi, almeno in parte, carico di una necessità sociale. Occorre inoltre che questi progetti poi incidano positivamente sul bagaglio personale dei lavoratori in modo che siano spendibili in qualsiasi luogo di lavoro. Ricordo a tutti che le 150 ore sono nate per l’alfabetizzatone ed il recupero della scuola dell’obbligo  e dunque quello deve essere uno strumento da attualizzare e incentivare in funzione del lavoro migrante di prima generazione e cioè per le persone che vengono da fuori e sono adulte. Questo è uno di quei temi che va affrontato in sinergia con la contrattazione sociale, o meglio che derivi dalle politiche di sviluppo dell’economia, dell’industria etc.

 

Professionalità

Non possiamo eludere il fatto che la manodopera immigrata è impiegata nelle basse professionalità e non ha accesso a percorsi di elevazione lavorativa o sociale.

Il concetto della professionalità e dunque, l’imparare a lavorare, l’accrescimento, la carriera, vale per tutti!

Su questo per esempio oggi c’è confusione, oltre al fatto che tecnicamente è reso inutile nella maggioranza delle imprese per la diffusione di produzioni a bassa professionalità e per la dimensione occupazionale troppo piccola delle imprese. Anzi l’arrivo del lavoro migrante è servito scientemente alle imprese per dividere i lavoratori ed abbassare anche i livelli di tutela sulla professionalità oltre che dei diritti in via generale. Professionalità che in beffa a quanto stabilito dai contratti  è stata legata in questi anni dalle aziende a dei parametri soggettivi di meritocrazia e disponibilità, mantenendo loro esclusiva l’argomento. E’ chiaro che se diciamo che la professionalità e la sua formazione è fondamentale per l’economia ed il futuro del paese nonché per la libertà dei lavoratori di essere padroni di se, è necessario che vi sia un punto vero di crescita delle imprese sull’argomento ed una disponibilità a mettere in campo delle risorse, in tema di potenziamento di permessi retribuiti ad hoc e quote di salario che vangano riconosciute al compimento di percorsi formativi specifici anche a titolo di incentivazione. E’ ovvio a nostro avviso che i percorsi formativi personalizzati o scelti dal lavoratore, indipendentemente dall’impresa necessitano di riconoscimento generale che deve valere come bagaglio personale. Gli strumenti possono essere anche gli stessi dell’alfabetizzazione.

La professionalità, cioè l’insieme di capacità e conoscenza acquisita, è il tema centrale e strategico per rendere liberi i lavoratori da ricatti e soprusi. Crediamo che occorra specificatamente affrontare il tema delle professionalità e dei titoli di studio acquisiti nei paesi di provenienza, anche se sappiamo comunque che per una società dove mediamente uno lavorando non fa ciò per cui ha studiato, questo è un problema di carattere generale e strutturale.

Sul tema delle professionalità è fondamentale il ruolo delle RSU, e delle Commissioni Paritetiche sulle pari opportunità. E’ necessario che non sia l’azienda a scegliere chi deve fare certi percorsi, ma vengano previsti dei bandi, siano date informazioni in più lingue e le RSU vigilino sul percorso e gli esiti, decidendo eventualmente di accompagnare il lavoratore alla Commissione.

Per quanto riguarda l’apprendistato, crediamo occorra rivedere la questione della diversificazione salariale e dunque del sostegno al reddito, in quanto molti lavoratori e lavoratrici immigrati apprendisti sono anche padri e madri di famiglia. Per le assunzioni deve essere previsto un sistema di trasparenza, e dunque la presenza delle RSU dove ci sono o di soggetti che controllino la correttezza e l’assenza di discriminazioni durante i colloqui.   

 

Contratti di assunzione

La questione della precarietà, del decreto legge 276, è nemica per noi, anche all’idea dell’ opportunità del consolidamento dei migranti. Dunque nelle aziende va assolutamente respinta a rischio di aggravare ulteriormente la condizione della vita delle persone. Se per alcune fattispecie è possibile concepire la temporalità delle assunzioni regolandole, per altre no anzi è un modo per nascondere la qualità e la regolarità dell’impresa escludendola dall’ applicazione degli articoli 41 e 42 della Costituzione Italiana.

 

Diritto agli affetti

A nostro avviso i contratti debbono prevedere un capitolo specifico sul tema, e racchiudere in esso tutte quelle norme  che vanno a tutelare gli affetti, la famiglia e il tempo da dedicarvi. Anche qui dobbiamo credo smentire dei luoghi comuni, le nostre aziende ci hanno abituato a parlare di flessibilità, intendendola “quando mi servi lavori, al contrario stai a casa” dunque sinonimo di precarietà. Qui non è il sindacato che è antico, ma sono le imprese manifatturiere che piccole o grandi che siano sono organizzate mediamente in modo rigido, ancora applicando sistemi fordisti!

(parcellizzazione delle sequenze di lavoro e non intercambiabilità del personale addetto alle macchine, controllo del tempo, etc.) Il diritto all’ assistenza famigliare, col part-time, lo studio lavoro, l’uso di ferie e permessi non sono ancora chiesti liberamente dai lavoratori. Il diritto agli affetti ed il tempo da dedicare alla famiglia e alla propria persona che sono un valore sociale deve trovare il giusto spazio. In questa ottica  deve essere riconosciuto come diritto la possibilità del rientro al paese di origine a immigrati che non abbiano potuto o non vogliano fare il ricongiungimento famigliare. Il riconoscimento deve avvenire con strumenti come banca ore o l’utilizzo di part-time verticali. Occorre prevedere rotazioni tra il personale. Contrattare i calendari delle chiusure collettive in modo che rimanga la possibilità di prendere ferie in qualsiasi momento dell’anno. La legge 53/2000 stabilisce che spettino 3 giorni di permesso retribuito in caso di morte di un famigliare entro il 2°, al lavoratore che ne faccia richiesta, questo per esempio non è un diritto disponibile per un lavoratore africano o di altra nazionalità. Crediamo, in questi casi, debba diventare diritto il poter accedere all’aspettativa. e si debbano prevedere anticipi di somme dal TFR per i funerali o il rimpatrio delle salme. In questo capitolo poi secondo noi dovranno trovare spazio anche le agevolazioni sugli orari per determinate casistiche.

 

Orario

L’orario di lavoro, oggi è strettamente legato al sistema produttivo, che comunque non è più adeguato alle esigenze della globalizzazione. E’ per questo secondo noi che mantenendo fermo l’orario settimanale oggi si deve trovar spazio alle esigenze delle persone in quanto tali. Non possono cadere le norme che vincolano l’ organizzazione dell’orario di lavoro alla discussione con le RSU. Tali momenti di discussione tra azienda e RSU, devono essere lo strumento per cui le esigenze dei lavoratori diventano la risposta alla flessibilità del mercato e non il contrario come avviene oggi. Il lavoro notturno o gli orari disagiati, qual’ora non eliminabili debbono essere equamente distribuiti, nel rispetto delle norme fin qui stabilite nel CCNL.

 

Diritto alla salute e sicurezza

Secondo noi, le traduzioni dei materiali o delle macchine in uso, della cartellonistica, debbono esser previste, se non direttamente dall’ azienda, dalle società fornitrici. Le norme di comportamento debbono essere disponibili in lingue diverse come anche i corsi obbligatori. Oggi sono gli immigrati che pagano il costo più grave per le morti e gli infortuni sul lavoro. Ricordiamo che anche su spinta delle imprese, il governo volendo modificare la legge 626/94 stava trasformando l’obbligo alla sicurezza sul posto di lavoro in una eventualità, possibilità.

Pericolo scampato grazie al sindacato ovviamente!

Crediamo sia importante il rispetto delle usanze. Affinché ciò non diventi possibilità di non rispetto delle norme sull’igiene o possibilità di inadempienze da parte delle aziende, chiediamo vengano pianificati quegli interventi anche strutturali che vanno incontro a tali esigenze, p.es. i sanitari.

 

Mensa

Nelle mense si dovrebbero pensare anche a menù vari e dunque rispettosi delle diverse culture e religioni.

 

Diritto all’ informazioni e alla comunicazioni.

Diventa sempre più necessario pensare a traduzioni, dalle norme di comportamento, alla sicurezza, ad alcune operazioni sul lavoro, fino ad arrivare a disposizioni interne. Si deve pensare a come rendere disponibile ciò. Noi crediamo sia arrivato il momento, che le imprese, anche sostenute, si dotino di figure professionali adibite a ciò e/o facciano convenzioni con università o scuole superiori, in modo da rendere disponibile questo necessario strumento.

 

Diritto alla spiritualità

Essere laici, a nostro avviso significa dare a tutti le medesime opportunità, e saper scindere tra dimensione pubblica e privata. Seppur sarebbe relativamente facile dare risposte ad esigenze d’orari diversificati in alcuni periodi dell’anno, per feste o preghiere per chi ne faccia richiesta, a quelle dei luoghi per la preghiera non è sempre possibile trovarle. Dunque e questo secondo noi sta alla contrattazione sociale, debbono essere riconosciuti, degli spazzi per la spiritualità nella società. Ci sono per tutte le confessioni cristiane, e nelle grandi città anche per i musulmani! Dunque nella contrattazione aziendale poniamoci il quesito, se il luogo di culto non sia, una risposta da trovarsi al di fuori delle aziende. Questa deve essere una questione, patrimonio della contrattazione sociale della confederazione, per il rispetto dei diritti di cittadinanza di chi vuole liberamente professare una fede. Occorre diventi una rivendicazione non di una religione ma della persona.

Sentiamo la necessità di definire questo capitolo “Diritto alla spiritualità”, perché esso identifica una delle varie dimensioni umane, una delle necessità, quella della spiritualità che in quanto tale non può essere negata e dunque vanno trovate le giuste mediazioni e la giusta dimensione del problema.

 

Doveri di cittadinanza

Si deve scrivere un’ altro capitolo nuovo nel CCNL, quello che ha come tema le necessità burocratiche legate alla cittadinanza. Deve essere previsto un sistema di permessi/recuperi al fine di dare diritto ai lavoratori di assentarsi per l’espletamento degli obblighi burocratici. In modo che ciò non solo sia positivo solo per il lavoratore, ma imponga alla Pubblica Amministrazione ad avere tempi più a dimensione d’uomo.

 

Discriminazioni e vessazioni

Ho già detto sulla necessità dell’istituzione di Commissioni, anche territoriali, per le pari opportunità, e sulla necessità che diventino luogo anche per affrontare il tema delle discriminazioni e aggiungo del mobbing. Occorre a parere nostro che siano non solo un diritto esigibile del lavoratore ma anche il più possibile neutre, esperte ed in grado di influire sulle decisioni aziendali.

Dobbiamo aprire poi una questione di professionalità sui rapporti umani anche per i lavoratori con qualifica intermedia o che si occupano di personale. A volte è proprio in quest’ambito e cioè nei rapporti gerarchici che vengono commessi atti o fatte affermazioni che colpiscono la dignità dei colleghi di lavoro sottoposti.

 

Diritto alla casa

La storia di questi anni ha dimostrato come, il coinvolgere direttamente i datori di lavoro   nei problemi di reperimento di alloggi  dei propri dipendenti abbia ridotto questi ultimi in condizioni ulteriormente gravose e di ricatto. Non è possibile pensare che il tema possa essere affrontato ad un livello di contrattazione che esponga i lavoratori ad un rapporto diretto con i propri datori di lavoro. E’ importante, il tema della mediazione tra proprietari o venditori e lavoratori, per affrontare le discriminazioni. E’ dimostrato inoltre che la mediazione privata in questo senso non tutela in modo adeguato il lavoratore debole migrante, nella necessità di reperire un alloggio, in quanto rappresenta direttamente chi vende o chi affitta. Ribadiamo dunque la necessità di un ruolo da protagonista degli enti pubblici come mediatori o come venditori di immobili, anche come elemento per calmierare il mercato. Sosteniamo che il diritto alla casa è un tema centrale per la contrattazione sociale, confederale.

 

Crisi aziendali

Se il sistema di professionalità, delle pari opportunità funzionasse e i principi di trasparenza venissero applicati veramente crediamo che un problema di discriminazione nel processi di ristrutturazione aziendale non si porrebbe, ma non siamo così ottimisti. Crediamo occorra invece rivedere la legge 223 e la normativa sui licenziamenti collettivi e ribattere sull’estensione dell’articolo 18 della legge 300 anche nelle piccole aziende. Il limite di 15 dipendenti per gli ammortizzatori sociali e per la tutela del posto di lavoro è elemento di esclusione per tutti. E’ anacronistico e incivile. L’immigrato non deve essere lasciato in una condizione di indifendibilità del posto di lavoro, perché ritenuto di bassa professionalità dunque sacrificabile. Ciò, oggi, porta a perdere il diritto a rimanere qui, in Italia ed al sostegno degli ammortizzatori sociali, col rischio di frantumare nuclei famigliari. Gli accordi sulla mobilità devono avere assolutamente criteri trasparenti, legati esclusivamente alla condizione del lavoratore, o alla volontà, puntare al mantenimento delle percentuali di impiego del lavoro migrante come quello femminile. Quello che vediamo oggi e tutti i giorni sotto i nostri occhi è allucinante, è uno scempio. Le aziende che licenziano debbono occuparsi obbligatoriamente del ricollocamento degli esuberi prima che un lavoratore sia formalmente licenziato. Allora pensiamo, debbano entrare in campo gli enti pubblici, costruendo percorsi di ricollocamento e ragionando per settori industriali e filiere di prodotto. In alcuni paesi europei come quelli nordici gia avviene ciò, ma credo che anche in Spagna sia allo studio qualcosa del genere. Ovviamente questo è un tema di carattere generale e richiede responsabilità da parte delle imprese, soprattutto qui a Treviso. Non sono mai giustificabili le invocazioni quali “libertà di licenziamento”. A nostro avviso ulteriore elemento che differenzia la condizione del lavoratore migrante da quello autoctono, è la sicurezza di quell’ammortizzatore sociale, naturale che è la famiglia che per questo non è certo ne sicuro e dunque vede il lavoratore migrante maggiormente bisognoso di tutela.

 

Considerazioni conclusive

Alla luce di quanto detto per la contrattazione di categoria, secondo noi occorre pensare al lavoro, nei vari settori e a come uniformare le regole ed i diritti.

Con il XXIII Congresso, abbiamo proposto come FIOM la nascita del contratto dell’industria in quanto i diritti dei lavoratori sono gli stessi essi siano meccanici o chimici, visto che ormai le diverse produzioni e filiere produttive si compenetrano. Abbiamo chiesto ciò anche per affrontare le questioni dello sviluppo industriale del paese. Sempre con il Congresso, abbiamo chiesto alla FEM, Sindacato Europeo dei Metalmeccanici di affrontare il tema della contrattazione a livello continentale, perché, lo vediamo con la delocalizzazione, le imprese, il capitale, come le persone si stanno già muovendo su scala globale.

A questo punto occorrerebbe aprire il tema dello sviluppo economico e delle politiche ad esso connesse e delle relazioni internazionali, ma ci vorrebbe troppo tempo,  crediamo anzi che occorra dire solo alcune parole veloci.

Le imprese non possono pensare al territorio e alla forza lavoro solo come risorse, vi è la necessità della conservazione e della parsimonia, vi è la necessità di guardare al futuro e di prevederlo, occorre essere lungimiranti. Oggi serve pensare a quale sviluppo e a quale sistema sociale per il benessere di tutti. Non si deve, pensare solo al disimpegno o all’interesse di parte, se così sarà, da questo declino non verremo fuori e le proposte e gli interrogativi che oggi poniamo diventeranno tempo sprecato.

Infine, vi proponiamo un’ultima considerazione di ordine generale. Ora sappiamo bene tutti che i flussi migratori sono tali in quanto mossi dalle disparità, dalle guerre e dall’impossibilità di dare sfogo alla propria felicità di persone in cerca di un’opportunità. Sono condizioni oramai diffuse nel nostro pianeta e a cui mai dovremmo assuefarci. Condizioni che hanno fatto scegliere alla CGIL e alla FIOM in linea con la propria tradizione e i propri valori di riferimento una difesa sicura e senza tentennamenti della pace.

Questa massa di persone deboli ed indifese e che come tali entrano nei nostri mercati del lavoro di paesi sviluppati, con legislazioni restrittive ed esclusive, che vengono genericamente criminalizzate dalla stampa e fatte vedere ai più come un pericolo, credete siano poi lavoratori in grado di poter decidere della propria sorte?

Pensiamo alle organizzazioni internazionali del crimine.

Ma lo vediamo, anche nelle aziende quando pur di lavorare anche precariamente i migranti perché in assenza di alternativa, assecondano tutte le esigenze dell’impresa creando così situazioni di dumping nei posti di lavoro, cioè a parità di mansioni con gli autoctoni vi sono differenze di salario e di diritti che ne mettono in discussione l’esigibilità per tutti. Ma ciò come emerge dal Master sull’Immigrazione istituito presso l’Università di Venezia e come noi sappiamo bene anche a Treviso non avviene a caso nelle nostre piccole medie e grandi imprese. Infatti gli ideatori del Master, i Professori Basso e Perocco, dicono che la regola mondiale è: “Criminalizzare i nuovi immigrati costretti alla “clandestinità” o a condizioni di ricatto, per interiorizzarli e ghettizzarli. Interiorizzarli e ghettizzarli per sfruttarli in modo più libero. Supersfruttare loro per dividere, gerarchizzandolo, un lavoro salariato sempre più mondializzato. Dividere il lavoro salariato, non solo quello autoctono da quello immigrato ma anche questo al proprio interno, per controllarlo e torchiarlo più agevolmente nel suo insieme.”

Questa e la strategia delle imprese cosa che noi tocchiamo con mano nelle condizioni di lavoro, nelle motivazioni delle crisi aziendali e nelle delocalizzazioni.

Da ciò emerge, fortemente un’idea, che la scarsa ed inesistente riflessione politica sui temi di prospettiva e sul pensare dunque immaginare, sognare, quale sarà la prossima società italiana non disegnandone una adeguata prospettiva per quella attuale ed i bisogni futuri, porta alla sregolatezza e al predominio di pochi sui più, nonché una società di conflitto e di disuguaglianza.

Siamo fortemente convinti che la via del futuro deve passare necessariamente per una strada diversa da quella imboccata oggi e necessariamente deve passare per un consolidamento  ed una parificazione dei diritti nelle nostre comunità mondiali altrimenti il popolo migrante rimarrà senza casa e senza futuro…

ed il mondo invivibile ancor di più ai molti.