Nota sul Libro Verde “Sull’approccio
dell’Unione Europea alla gestione della migrazione economica” Il
libro
verde presentato l’11 gennaio dalla Commissione Europea intende
affrontare la ricerca degli elementi costitutivi di una possibile politica
comune in tema di migrazione, dato che “in
assenza di criteri comuni relativi all’ammissione di migranti economici,
il numero dei cittadini di paesi terzi che entrano illegalmente
nell’Unione Europea e senza garanzia di avere un lavoro in regola – e
quindi di integrarsi nelle nostre società – è destinato ad aumentare”.
Nelle
conclusioni, Complessivamente,
queste premesse evidenziano i limiti di un approccio puramente economico e
mercantilistico nei confronti dei fenomeni migratori. Un’impostazione
che non risponde all’esigenza di una strategia realmente comune sulle
politiche di accoglienza, di relazioni con l’estero e di cooperazione
internazionale. Inoltre non tiene conto del fatto che la scelta delle
persone di lasciare il proprio paese, non è sempre riconducibile a
questioni economiche, o lo è in conseguenza di questioni più ampie e
complesse. Nel
testo vengono posti una serie di quesiti, alcuni dei quali contengono
spunti positivi, mentre altri, già per quanto riguarda la loro
impostazione, non possono che essere valutati in modo critico. Una
politica europea in materia di immigrazione, che, ribadiamo non può
basarsi solo su criteri di tipo economico/mercantile, è senz’altro
necessaria e non può prescindere da un quadro giuridico globale che
disciplini la materia, non può però basarsi sulla creazione di diverse
categorie di migranti e quindi di diverse scale di diritti, non solo tra
cittadini comunitari e migranti, ma addirittura tra gli stessi migranti,
come più volte proposto nel testo. Il
principio della “preferenza comunitaria”, definito nella risoluzione
del Consiglio del 20 giugno Di
contro, al quesito rispetto alla facilitazione della mobilità delle
lavoratrici e dei lavoratori migranti nel territorio dell’UE, non
possiamo che rispondere in modo positivo, tenendo tuttavia presente le
sperequazioni che questo potrebbe determinare nei confronti dei cittadini
dei nuovi paesi membri, la cui libera circolazione allo stato attuale è
ancora sottoposta ad una serie di pesanti limitazioni. Un
eventuale preferenza da parte degli stati membri nei confronti di migranti
già presenti da tempo nel territorio comunitario, non può di per sé
essere criticata. Va però sottolineato che l’idea considerare queste
persone come “uno “stock” di
manodopera che ha già iniziato ad integrarsi”, si basa su un
concetto di integrazione superficiale, quanto inaccettabile. Anche
il capitolo sui sistemi di ammissione riprende l’opzione di consentire
l’accesso all’UE, solo in presenza di posti di lavoro vacanti, e, come
già evidenziato, non risponde alla necessità di costruire una reale
politica di accoglienza. Le politiche dei flussi si sono per altro
rivelate non solo fallimentari, ma hanno anzi favorito, seppure
indirettamente, i racket dell’immigrazione clandestina. Nello
stesso capitolo viene posto il problema, di quale sia la procedura da
applicare “ai migranti per motivi
economici che non entrano nel mercato del lavoro”. Va qui
specificato, che il testo si riferisce specificatamente a lavoratrici e
lavoratori dipendenti di un datore di lavoro sito in un paese terzo che
svolga prestazioni di servizi per conto di un paese europeo all’interno
del suo territorio nazionale, prefigurando una situazione che si
verificherebbe diffusamente in caso di approvazione della Direttiva
Bolkestein. In questo caso infatti, le lavoratrici ed i lavoratori in
questione, sarebbero soggetti alle norme legislative e contrattuali del
paese in cui ha sede il proprio datore di lavoro, paese che sarebbe anche
responsabile per tutti i controlli rispetto alla loro posizione
lavorativa. Vanno qui evidenziate le conseguenze devastanti che tale
Direttiva avrebbe sia sul cosiddetto “modello sociale europeo”, che su
tutto il mercato del lavoro comunitario, nel quale, in un simile quadro,
lavoratrici e lavoratori migranti, rischierebbero di diventare oggetto di
un vero e proprio mercato degli schiavi. Questo passaggio non può quindi
trovare altro che la nostra ferma opposizione, nel contesto della campagna
di mobilitazione contro Altrettanto
fuorviante risulta la questione della “prova
della necessità economica” e della “valutazione
individuale”, dove si propone di consentire l’assunzione di
migranti, solo a seguito di annunci che non trovino alcuna candidatura da
parte di cittadini comunitari. Il
punto 2.4. sulle domande di
permesso/i di lavoro e di soggiorno, soprattutto alla luce della
situazione determinatasi in Italia con l’introduzione del “contratto
di soggiorno”, affronta un punto particolarmente delicato. Se da un lato
sarebbe importante ed utile consentire di richiedere permesso di soggiorno
oppure permesso di soggiorno e di lavoro con un’unica domanda, va
esclusa con nettezza la possibilità che il permesso di soggiorno possa
essere subordinato al permesso di lavoro, così come va introdotto a
livello europeo il concetto del permesso di soggiorno per persone alla
ricerca di occupazione. Per
quanto riguarda il capitolo che esamina il quesito sulla possibilità di
cambiare datore di lavoro/settore, non solo non vanno introdotte
limitazioni in questo senso, ma è da respingere l’opzione secondo la
quale il titolare del permesso possa essere altro dal lavoratore o dalla
lavoratrice in questione (p.es. la titolarità da parte del datore di
lavoro o anche quella congiunta). Il
capitolo 2.6. relativo ai diritti, affronta invece un punto fondamentale:
la garanzia di uno status giuridico certo per i migranti. La risposta ai
quesiti posti, non può che essere la richiesta del diritto alla
cittadinanza di residenza, con quello che ne consegue, dal diritto di
voto, allo “jus soli” per figli e figlie delle lavoratrici e dei
lavoratori migranti. Per
quanto riguarda le misure di accompagnamento (integrazione, rimpatrio e
cooperazione con i paesi terzi), va senz’altro sviluppata la politica di
cooperazione dell’UE, anche creando centri di informazione/assunzione
nei paesi di origine dei e delle potenziali migranti. Tuttavia la chiave
di lettura proposta, reintroduce il concetto dell’ammissione dei e delle
migranti, in subordine alla disponibilità di posti di lavoro e/o alla
richiesta di particolari qualifiche, che contraddice l’idea della libertà
di circolazione delle persone ed propone nuovamente la distinzione tra
diverse categorie di migranti a seconda del grado di istruzione, paese di
origine, e simili. Se per quanto riguarda l’integrazione, sono
senz’altro fondamentali misure di formazione linguistica e di educazione
civica, finalizzate a dare alle persone gli strumenti per conoscere i
propri diritti nel sistema di regole del paese di accoglienza, la gestione
di questi percorsi formativi, va impostata sul rispetto delle abitudini e
delle tradizioni culturali e religiose delle persone alle quali sono
indirizzati. Integrazione non può e non deve significare annullare o
nascondere le proprie specificità, che una società realmente
multiculturale e multietnica dovrebbe invece conoscere, rispettare e
valorizzare. Quanto
alla questione del rimpatrio, va espresso un netto rifiuto dell’attuale
gestione dei rimpatri e delle espulsioni, nonché ribadita la condanna di
struttura inumane e lesive dei diritti umani, quali sono i centri di
permanenza temporanea, in uso in Italia ed in altri paesi. In conclusione, se da un lato è necessario ed urgente costruire una politica comune europea in tema di immigrazione, l’esperienza derivata dalla legislazione in vigore in Italia in materia, le cui linee guida sono parzialmente riproposte in alcune parti di questo libro verde, deve necessariamente essere l’esempio come non costruire una politica europea, che, come detto all’inizio, riteniamo debba partire da una politica estera di pace e di cooperazione e fondarsi sull’accoglienza delle persone e sul fatto che a loro vengano riconosciuti pari diritti e pari dignità.
Gennaio
2005 |