Riunione Uffici sindacali e Consulta giuridica Fiom del 16 febbraio 2007

 

Quella che segue è la trascrizione, corretta redazionalmente, degli interventi tenuti durante la riunione, i quali non sono stati rivisti dagli autori.

Giorgio Cremaschi, segretario nazionale Fiom

Oggi siamo qui per fare una riflessione su temi che, allo stato delle cose, non sappiamo in che misura verranno discussi a livello istituzionale e legislativo. Dico «non sappiamo in che misura» perché il tavolo che si apre tra Cgil, Cisl e Uil non prevede una discussione specifica su questi temi ma solo un confronto riguardo gli ammortizzatori sociali, nonché l’affermazione del principio – che mi pare difficile non sottoscrivere – secondo il quale il rapporto di lavoro a tempo indeterminato è il migliore di tutti. Vorrei vedere che uno sottoscrivesse «viva la precarietà»!

La sostanza, quindi, è che siamo di fronte a una situazione di stallo resa esplicita dal fatto che le organizzazioni sindacali, visti i dissensi ancora totali tra di loro, non sono riuscite a produrre una piattaforma comune.

Questo mi fa ragionare un po’ criticamente sulla cosa, però adesso non è questa la sede.

Dall’altro lato il Governo aveva annunciato che avrebbe fatto una sua proposta sui contratti a termine ma, poi, mi sembra che non si sia fatto nulla. Questo perché, oltre ai dissensi sindacali, c’è stato un intervento «a gamba tesa» della Confindustria, che ha esplicitamente dichiarato che non intende rimettere in discussione il primo dei grandi accordi separati. È bene ricordare, infatti, che il primo dei grandi accordi separati non è stato il Patto per l’Italia, ma proprio l’Avviso comune sui contratti a termine, non firmato dalla Cgil, sottoscritto da Confindustria, Cisl e Uil e poi recepito dal Governo con il decreto 368, che ha eliminato il principio delle causali, stabilendo la famosa franchigia da qualsiasi forma di contabilità, contrattazione, causale, per tutti i contratti a termine inferiori a sette mesi. Lasciando, in questo modo, praticamente mano libera sui contratti a termine.

Adesso c’è allo studio un progetto di legge – che commenteremo, discuteremo – di una parte del Centrosinistra, quindi non del Governo, e che fa parte di quella che – senza offesa per nessuno – a me sembra ginnastica parlamentare, molto importante, ma che non rientra nelle cose concrete, praticabili, futuribili.

Al momento, quindi, di quello che nel «Programma» dell’Unione era indicato come «superamento della Legge 30» non c’è assolutamente nulla di concreto e visibile.

Nel frattempo, la pratica istituzionale che viene portata avanti dagli organi competenti va nella direzione non dell’abrogazione e neanche del superamento, ma di una sorta di consolidamento e razionalizzazione della Legge 30. Siamo di fronte, quindi, al fatto che adesso la Legge 30 e i decreti attuativi stanno diventando, purtroppo, sempre più materia comune.

Oggi le imprese stanno imparando a usare – perché, come sempre, ci vuole un po’ di tempo – una parte degli strumenti della Legge 30 che inizialmente non venivano utilizzati, in particolare viene ormai fatto largamente uso di tutta la parte della liberalizzazione che riguarda gli appalti e le terziarizzazioni. L’articolo 47 della vecchia legge è stato ribaltato, mentre prime serviva a tutelare i lavoratori ora è utilizzato per smontare le fabbriche.

Abbiamo, poi, su tutta la questione dei rapporti di lavoro un aggravarsi e un irrigidirsi di tutti i passaggi della Legge 30, compresi anche – va detto – i primi segnali di utilizzo da parte delle aziende di quei rapporti di lavoro che non pensavamo venissero utilizzati, vedi lo «staff leasing».

Il gruppo Alenia di Finmeccanica ha provato a instaurare in una serie di uffici un rapporto di somministrazione a tempo indeterminato. Tentativo che abbiamo fermato ma se ci prova l’Alenia dove c’è un sistema di relazioni sindacali ancora abbastanza consolidato vuol dire che adesso vengono utilizzati anche gli strumenti più vari.

Altro strumento, purtroppo, di cui si registra una crescita dell’utilizzo (che anche se non ci riguarda da vicino ne abbiamo risentito indirettamente) è il «part time» che, come sapete, la 276 ha drasticamente modificato trasformandolo, praticamente, in una sorta di «job on call». Le cosiddette clausole elastiche, flessibili, fatte senza la doppia chiave del consenso dei lavoratori, stanno dilagando in tutti i settori; anche questa, quindi, è un’attuazione pratica della Legge 30, che sta dilagando, con il risultato che quello che temevamo, cioè l’instaurazione di una sorta di «lavoro a chiamata», non avviene in modo esplicito, ma attraverso il fatto che il sistema delle clausole flessibili viene applicato sempre di più o unilateralmente o, purtroppo, va detto, in diversi contratti di lavoro nazionali o aziendali. L’ultimo di questi è l’accordo di stabilizzazione per i lavoratori di Atesia, un accordo che prevede sì la stabilizzazione a tempo indeterminato per quei lavoratori – con alcune condizioni ecc. – ma, nello stesso tempo, prevede anche il fatto che quelle 20 ore part time con cui, mediamente, sono stabilizzati i lavoratori siano gestite con i criteri previsti dalla Legge 30, quindi siano 20 ore di messa a disposizione del lavoratore, non con un orario a part time definito.

Tutto questo influisce sui nostri problemi poiché, oltre che trovarci in tutte le aziende di fronte a una situazione nella quale questi problemi stanno crescendo, siamo alla vigilia di un complicato – lo diciamo tutte le volte, ma è così – rinnovo del contratto nazionale, nel quale uno dei punti che stiamo discutendo con Fim e Uilm, riguardo al quale non abbiamo ancora definito una posizione comune, è proprio tutta la partita del mercato del lavoro.

Una questione, quella del mercato del lavoro, sulla quale non possiamo nascondere un certo dissenso che esiste tra noi e le altre organizzazioni, soprattutto con la Fim-Cisl. Noi abbiamo fatto una manifestazione il 4 novembre e, per le ragioni di merito che dicevo all’inizio, non possiamo che mantenere la rivendicazione dell’abrogazione della Legge 30 e della riscrittura della legislazione sul lavoro, cosa che continueremo a fare come pressione di carattere sindacal-politico.

Nello stesso tempo, però, dobbiamo fare un contratto nazionale attraverso il quale tenteremo di porre dei freni.

Qui ci sono i problemi che derivano dal fatto che, sia a livello sindacale, sia, a maggior ragione, con le controparti, la destrutturazione avvenuta pesa. La reazione delle controparti è – detto brutalmente – quella di dire: «perché mi vuoi togliere un diritto che mi ha dato la Legge?». E la capisco anche.

Se a noi la Legge ci desse le 35 ore, ci arrabbieremmo se le aziende dicessero: «apriamo una vertenza, riportiamole a 38 o a 40».

La legge ha dato una serie di diritti in più alle imprese e dal loro punto di vista trovo assolutamente sacrosanto – io farei lo stesso – volerli conservare ed estendere. Questo, naturalmente, influisce anche sulle posizioni sindacali, perché, devo dire, in particolare la Cisl, anche in questo caso, è più disponibile ad accettare questa impostazione delle imprese. Cercare di intervenire, sì, ma senza entrare in conflitto con alcune questioni di fondo che, invece, vanno affrontate.

A che punto è questa discussione? Siamo in accordo sul fatto di dare una percentuale massima e onnicomprensiva all’interno delle aziende, che dovrebbe essere intorno al 15%, del lavoro a tempo determinato, sotto varie specie, somministrazione ecc., escludendo, e qui c’è la differenza, secondo noi i soli contratti di apprendistato mentre, secondo la Fim, anche i contratti di inserimento. A me pare francamente troppo. Quindi sul ruolo e sul peso dei contratti di inserimento c’è un dissenso tra noi e le altre organizzazioni.

Vista la legislazione, invece, eravamo d’accordo – prima di questa micidiale circolare che è un regalo dato a tutte le aziende sull’apprendistato – di stabilire il principio che sull’apprendistato c’è un percorso alternativo a tutte le altre forme di precarietà, per cui, per capirci, se si assume un lavoratore per fare l’apprendista non può aver fatto altre cose, se no non ha senso.

La nostra disponibilità era di definire una sanatoria per quelli che oggi sono precari, tipo: quelli che oggi sono precari li discutiamo, decidiamo una data, dal 1° gennaio 2009 la regola è che se uno entra come apprendista non può avere rapporti di lavoro. Per tutti quelli che sono entrati prima vediamo in azienda come fare delle sanatorie.

Questa era l’impostazione che ci eravamo dati, adesso è arrivata questa fantasiosa circolare del ministero del Lavoro che dice che pone una franchigia del 50%, cioè dice che fino al 50% del contratto di apprendistato si può fare prima ecc., il che vuol dire, per capirci, che se uno ha un contratto di apprendistato di quattro anni, può fare due anni di lavoro precario prima e poi rifarsi tutti i quattro anni di lavoro di apprendistato. Questo può riaprire un problema nel rapporto con le altre organizzazioni che ci sembrava risolto.

La questione della percentuale. Qui c’è un accordo sul fatto che nella definizione della percentuale che contenga i contratti a termine non ci sia nessuna forma di franchigia, cioè non siano compresi anche i contratti a termine brevi, cosa su cui abbiamo avuto già uno scontro con la Federmeccanica nel rinnovo contrattuale del biennio nel gennaio dello scorso anno che, poi, portò al fatto che non abbiamo rinnovato il confronto a luglio dello scorso anno.

Abbiamo, poi, una discussione ancora aperta sulla questione centrale e cioè i percorsi di stabilizzazione che noi vorremmo mettere nel contratto. Qui c’è una differenza di fondo tra noi e la Uil da una parte e la Cisl dall’altra, siamo in una fase dove – detta un po’ brutalmente – la destra è la Cisl, la Uil è più vicina a noi come, in generale, in questo periodo nelle discussioni contrattuali, anche se nella storia dei metalmeccanici non è mai stato così.

Esiste l’idea comune di fare questi percorsi di stabilizzazione, quindi anche di definire le priorità nelle assunzioni ecc., però c’è un dissenso di fondo sul fatto che noi e la Uil vogliamo definire, come è stato fatto in Spagna, una durata massima oltre la quale c’è l’obbligo dell’assunzione a tempo indeterminato, mettendo così un freno alla reiterazione, mentre la Fim non è disponibile, asserendo che in questo modo, detto da sinistra, si incentiverebbero le aziende a licenziare un giorno prima che finiscano e, detto da destra, perché i padroni non ce la darebbero. Un disaccordo non piccolo proprio perché, secondo noi, questo è il cuore di tutto il ragionamento. Si può subire la precarizzazione del lavoro, ma nel contratto dovrebbe esserci un punto limite rispetto a quella che noi abbiamo chiamato, appunto, la trappola della precarietà; cioè il fatto che si può scrivere nel contratto nazionale che c’è il 15% di lavoro precario, diminuendo la quantità di lavoro precario, ma non si risolve il problema di quel 15% che può restare precario per anni o essere sostituito con altri ed entrare, quindi, in un circuito nel quale la stabilizzazione per le persone non c’è mai. Questo è un punto aperto.

L’altro punto aperto è proprio il part time, dove, nella sostanza, Fim, Uilm e Federmeccanica sono disponibili a concordare il principio della clausola flessibile ed elastica a comando del lavoratore, il che significa che una volta che il lavoratore all’atto dell’assunzione ha dato (ed è ovvio che la dà) la disponibilità alle clausole elastiche o flessibili – cioè al cambiamento degli orari – egli non può opporsi alla modifica degli orari, sia all’allungamento che allo spostamento. È il principio della tempestività che, purtroppo, esiste già in altri contratti – in particolare quello delle comunicazioni –  con la possibilità per l’azienda di modificare tali orari con un preavviso, di norma, di sette giorni, ma si può arrivare anche a 48 ore, salvo una serie di esenzioni a priori – figli,  studio, un altro lavoro, ecc. – che, però, permettono anche all’azienda di decidere chi assumere e chi no. Detto brutalmente: il lavoratore è a disposizione. Su questo abbiamo dichiarato di non essere disponibili, quindi va detto che questa questione del part time è ancora totalmente aperta.

Abbiamo, quindi, un quadro complicato sulla questione del mercato del lavoro, perché è chiaro che nella discussione contrattuale e nelle nostre rivendicazioni adesso pesa tutta una serie di cose che, lo voglio dire, in generale, in tutti gli altri testi contrattuali sono già entrate, è bene dircelo. Salvo pochissime eccezioni, nei principali testi contrattuali la Legge 30 è già stata, in tutte le sue parti, sostanzialmente recepita.

C’è, invece – e questo mi pare positivo – un’intesa con Fim e Uilm sul fatto di rivendicare a livello contrattuale una cosa in alternativa a tutto quanto è definito dalla Legge sulla questione degli appalti. Noi siamo d’accordo di stabilire nel contratto nazionale due princìpi di fondo: il primo, riguardo al quale c’è per la verità già qualcosa nella Finanziaria 2007, è la responsabilità della «casamadre» riguardo tutta la filiera degli appalti e non solo sul primo livello; il secondo è che, per quanto riguarda scorpori, articolo 47, terziarizzazioni, l’autonomia funzionale deve essere preesistente e non deve essere definita «ex post».

Su questi due punti – che incidono pesantemente sullo stato della nostra contrattazione –c’è una disponibilità a intervenire anche delle altre organizzazioni sindacali.

Questo è il quadro della discussione contrattuale, complicato anche da altri elementi compresa, ovviamente, la non piccola questione del salario.

Il nodo è che, salvo qualche eccezione, siamo entrati non nella fase del superamento della Legge 30, ma del suo consolidamento, attuazione e diffusione.

Questa è la realtà che noi recepiamo in tutti i luoghi di lavoro.

Il problema, quindi, è – sul piano delle iniziative giuridico-sindacali – come fronteggiamo questa situazione.