Sintesi
dell’incontro tra Il
7 luglio si è svolta la riunione della Consulta giuridica Fiom sui temi
della salute e sicurezza. Dopo l’introduzione di Giorgio Cremaschi,
segretario nazionale della Fiom, ci sono state la relazione del cons.
Ignazio Juan Patrone, segretario generale di Magistratura democratica e
le comunicazioni del cons. Michele Di Lecce (Tutela penale della sicurezza
del lavoro), del professor Franco Focareta (Frantumazione dell’impresa e obbligo di sicurezza) e del dottor
Guglielmo Simoneschi (Autotutela
individuale nella prevenzione dell’infortunio). Obiettivo
della riunione era l’avvio di un percorso nell’ambito del quale
creare sinergie e collaborazioni tra Fiom e Magistratura democratica sul
tema della lotta agli infortuni e per la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Un’efficace interazione tra sindacato, magistratura, enti locali, enti
preposti alle attività ispettive, potrà produrre interventi utili ad
affrontare situazioni di vera e propria illegalità diffusa nel
territorio per quanto riguarda il rispetto delle norme in materia di
salute e sicurezza e potrebbe risultare nell’elaborazione di nuovi
strumenti legislativi che, sgomberando definitivamente il campo dai
tentativi di depenalizzazione previsti dal testo unico in materia di
sicurezza, possano consentire anche l’introduzione di sanzioni penali
efficaci. Negli
ultimi anni si è verificato un progressivo degrado delle condizioni di
lavoro e gli infortuni sono aumentati sia nelle piccole che nelle grandi
aziende, colpendo pesantemente sia lavoratori degli appalti e dei
subappalti, che i lavoratori dipendenti direttamente dalle aziende. Oltre
agli infortuni veri e propri, si sono diffuse patologie legate a ritmi
di lavoro stressanti, allo stress legato alle condizioni di lavoro, alla
precarietà accresciuta dall’introduzione della Legge 30 e a fenomeni
come il mobbing. Per poter
produrre effetti, la strategia di intervento deve collegare
l’iniziativa di tipo sindacale e quella di tipo legale. Serve un
intervento forte del sindacato e un intervento di rottura attraverso
l’azione legale. È
in quest’ottica che si colloca la decisione congressuale della Fiom di
costituirsi parte civile in tutti i casi di infortuni gravi e la
rivendicazione del diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di
sospendere il lavoro (senza effetti sulla retribuzione) in tutti i casi
in cui si riscontrano situazioni di rischio effettivo per la salute e la
sicurezza, esercitando una sorta di «diritto di resistenza». In
entrambi i casi, tuttavia, l’intervento non viene ancora attuato in
modo diffuso e sistematico, principalmente per mancanza di informazioni
sui passaggi necessari. Complessivamente
si rileva un generale arretramento sul tema della salute e sicurezza nei
luoghi di lavoro a partire dagli anni 90, mentre negli anni 80 esisteva
una cultura diffusa sulle responsabilità delle aziende. Hanno inciso
negativamente anche la modifica del processo penale e delle relative
procedure. I processi gestiti dai pretori, infatti, consentivano
istruttorie più efficaci grazie alla possibilità di effettuare
sopralluoghi in prima persona e di avere un coinvolgimento diretto
dell’Inail, delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori, offrendo
possibilità di raccogliere materiale probatorio con maggiore efficacia
e capillarità. Nel corso degli anni hanno inciso negativamente anche lo
spostamento dell’attenzione dell’opinione pubblica e degli stessi
magistrati su altre tematiche. A questo secondo aspetto, negli ultimi
tre anni hanno contribuito anche i pesanti attacchi cui è sottoposta
l’indipendenza della magistratura. La
scelta di Magistratura democratica di riprendere l’intervento
costituendo un apposito gruppo di lavoro, può essere validamente
sostenuta raccogliendo e socializzando sia le esperienze concrete della
Fiom che quelle delle procure più attive. L’elaborazione che potrà
risultare da un simile intreccio è utile sia per contrastare la
crescente tendenza a risolvere problemi attraverso indennizzi e multe,
che quella a non rivolgersi affatto alla magistratura. Tutto
questo non può tuttavia prescindere da un intervento a monte
sull’organizzazione del lavoro, che deve necessariamente passare per
la contrattazione, superando un applicazione parziale e spesso troppo
burocratica del Decreto legislativo 626 del ‘94, valorizzando un ruolo
attivo degli Rls e una loro maggiore interazione con le Rsu, integrando
gli strumenti legislativi e contrattuali esistenti. Tra questi non va
trascurato l’articolo 9 della Legge 300 del 1970, che stabilisce che
«i lavoratori, mediante le loro rappresentanze, hanno diritto di
controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni e delle malattie professionale e di promuovere la ricerca,
l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare
la loro salute e la loro integrità fisica», contribuendo a fare in
modo che gli stessi lavoratori si rendano soggetti attivi nel vigilare
sull’effettivo rispetto degli strumenti legislativi e contrattuali
esistenti. In
questo contesto appare importante anche un intervento diretto degli Rls
sui contenuti dell’informazione/formazione e su una rigorosa
compilazione del documento di valutazione dei rischi, sul suo periodico
aggiornamento e sugli investimenti fatti dalle aziende per ridurre i
fattori di rischio riscontrati, anche al fine di evitare che tale
documento, alla prova dei fatti, si riveli inefficace al fine di
definire i nessi di causa delle malattie professionali. Va inoltre
denunciata la scarsa incisività degli enti preposti al controllo e alla
prevenzione, così come il fatto che spesso le Asl sono soggette a
pressioni politiche che in alcuni casi possono arrivare a limitare la
loro possibilità di intervento, fino a casi più eclatanti dove si sono
riscontrate vere proprie situazioni di collusione. Anche
nelle attività di manutenzione, va denunciato che si tende a
privilegiare la produttività a scapito della sicurezza delle
lavoratrici e dei lavoratori addetti a questo tipo di mansioni, che in
alcuni casi vengono eseguite senza usare le opportune accortezze o
addirittura senza fermare gli impianti. Va
sottolineato che il Decreto legislativo 626 del ‘94 – la cui
impostazione eccessivamente concertativa rischia di fatto di soffocare
lo strumento della contrattazione attiva nei luoghi di lavoro – è
tarato su imprese di medie dimensioni, con un unico datore di lavoro
chiaramente individuabile e con dipendenti impiegati con contratti di
lavoro stabili. A causa della scomposizione dei processi produttivi
determinata da appalti ed esternalizzazioni e dalla precarietà dei
rapporti di lavoro, si è via via determinata una mancanza di
coordinamento dei processi produttivi, dalla quale consegue una
complessità di relazioni (o l’impossibilità di stabilire relazioni
dirette, come nel caso del lavoro somministrato) della quale il quadro
legislativo attuale non è in grado di tenere conto. Per
esempio per quanto riguarda il coinvolgimento diretto del committente
nell’obbligo di prevenzione, esistono strumenti potenzialmente utili
come il Decreto legislativo 494/1996 relativo al settore delle
costruzioni, che prevede il coordinamento della sicurezza in fase di
progettazione e di esecuzione e un piano di sicurezza generale cui le
singole imprese devono fare riferimento. Ma questa stessa disposizione
contiene strumenti utili a smussare l’efficacia della norma, dando al
committente la possibilità di nominare come responsabile dei lavori un
rappresentante della ditta appaltatrice stessa, dando così alla
committente la possibilità di sottrarsi alle proprie responsabilità. Esistono
tuttavia strumenti preziosi di intervento per il sindacato, che non
sempre sono conosciuti o applicati: in base alla normativa del 2001 ad
esempio, l’uso di contratti a termine è consentito solo a quelle
aziende che abbiano fatto la valutazione dei rischi. Strumenti come
questo vanno individuati, portati a conoscenza delle strutture sindacali
in modo capillare e valorizzati, così come va promossa la
contrattazione di sito in materia di sicurezza e un confronto attivo dei
soggetti operanti sul territorio. Gli
argomenti affrontati nella discussione saranno oggetto di un nuovo
approfondimento a livello seminariale in autunno, nel quale verranno
coinvolti anche altri soggetti come rappresentanti delle Asl, medici,
enti preposti ad attività di vigilanza e prevenzione e le stesse
regioni, che a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione,
hanno competenze dirette in materia. L’elaborazione che verrà
prodotta nell’ambito del percorso avviato con la riunione odierna,
saranno poi utilizzati per produrre un manuale operativo, che possa
essere utilizzato dalle Rsu e dalle Rls per produrre iniziative nei
luoghi di lavoro. Roma,
7 luglio 2005
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