Intervista a Luciano Gabrielli, segretario provinciale della Fiom di Livorno

 

Luciano Gabrielli, segretario provinciale della Fiom di Livorno, ribadisce le motivazioni del no alla riforma contrattuale, accettata invece dagli altri confederali, ipotizzando anche una rottura definitiva dell’unità sindacale, e torna sul nodo della chiusura della Tenaris-Dalmine.
<< Se le battaglie della Fiom anche in ambito nazionale non rendessero i frutti sperati – avverte – saremmo l’unica generazione dal dopoguerra a lasciare un mondo peggiore in eredità ai propri figli.>>

Quali sono le motivazioni principali del no all’accordo, accettato da Fim e Uilm?

Noi siamo contrari la riforma contrattuale perché di fatto prevede un cambiamento radicale di tutte le relazioni sindacali e, in ultima analisi, anche della società italiana. A mio giudizio Cisl e Uil hanno scelto di stare sotto l’ombrello di un governo che senza dubbio durerà cinque anni, accettando di fatto il passaggio da una posizione di sindacato contrattuale a quella di sindacato di servizio.

Quindi, entrando nel merito, l’aumento previsto avrebbe comunque potuto sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori?

No. Si tratta di un aumento veramente irrisorio, rispetto al costo della vita. Inoltre, a partire dal 2012, con la nascita degli Enti Bilaterali, i lavoratori potranno volontariamente mettere un euro, a fronte dei due messi dall’azienda, per creare un fondo di sostegno al reddito. In questo modo sparisce l’estensione del diritto e della solidarieta della cassaintegrazione, che sarà dunque un’opportunità ristretta solo ad alcuni gruppi di aziende. Infine, l’aumento del fondo Cometa avviene solo a condizione che il lavoratore decida di aumentare la propria quota.

C’è spazio per una vostra proposta?

Il 30 a Bologna ci sarà la riunione nazionale delle Rsu, e lì decideremo che iniziative prendere. Partiamo dal presupposto che sia necessario discutere con le aziende la non applicazione delle deroghe contrattuali previste dalla riforma.

E il nodo del referendum dei lavoratori?

Questa è di gran lunga il fatto più grave. In un paese in cui si vota per tutto, scopriamo che non è possibile per tutti i lavoratori votare sul contratto: è un’offesa alla democrazia. Abbiamo intenzione di chiedere, con le nostre Rsu, delle assemblee unitarie attraverso cui poter partecipare al referendum per tutti gli operai. Noi, come Fiom, siamo anche disposti a firmare il contratto, a patto che il giudizio dei votanti sia favorevole.

A questo punto mi faccia una previsione: che fine farà l’unità sindacale?

Ci troviamo di fronte la fine di un’epoca, sotto questo profilo: si torna agli anni ’30, e ci torniamo con una ferita profonda, come quella che la vicenda del contratto ha causato. Senza dubbio sarà ancora possibile riuscire ad avere un’unità d’azione sulle crisi e le difficoltà quotidiane, ma di certo ritengo che dopo quanto accaduto quello di unità sindacale non sia più un concetto attuale.

Non vede la possibilità che il posto che andate lasciando voi a sinistra nel blocco sindacale sia recuperato a destra, ad esempio, dall’Ugl?

In questo paese tutto è possibile. Il rischio c’è, se le persone iniziano a sentirsi prigioniere in un fortino da guerra, sopraffatte dall’idea che i nemici siano i loro vicini, ad esempio gli immigrati.Nella società italiana si stanno aprendo dei vuoti che è necessario richiudere al meglio attraverso la diffusione di una nuova cultura: una cultura che sopperisca alla progressiva eliminazione delle certezze nel mondo del lavoro, e la contrasti. Altrimenti c’è il rischio che altri tipi di cultura si insinuino in questi tagli aperti nella società.

Un commento sul comportamento del sindacato sul problema Dalmine.

Il quadro non è dei migliori: la riduzione del 38% della produzione e la chiusura del sito di Piombino sono condizioni che non possiamo accettare. Non può esistere accordo senza il mantenimento di tutti i siti produttivi e di tutte le produzioni: gli esuberi non possono essere creati dall’abbassamento del volume di produzione. Ritengo che il sindacato si sia mosso bene, e che la vicenda di Piombino, con la marcia della sopravvivenza – esempio di quella cultura di cui ho parlato prima- possa rappresentare un modello anche per il sindacato a livello nazionale.

Non vede un’atteggiamento ricattatorio da parte della Dalmine sulla questione delle bonifiche?

Certo, può anche essere letta in quest’ottica. Noi, certamente, non accettiamo che non siano fatte le bonifiche, e mi pare che anche il consiglio comunale di stamattina (venerdì, ndr) si sia espresso in questa direzione. Ma alla luce della crisi, le aziende hanno deciso di rimandare gli investimenti, quegli investimenti che si era deciso di utilizzare per abbattere i costi delle bonifiche: è quindi chiaro che sarà necessario trovare nuovi equilibri su questo punto.

A proposito del consiglio comunale: lo giudica un incontro positivo?

Come previsto oggi la Dalmine ha presentato il suo piano in maniera rigida: mi sarei stupito se fosse stato altrimenti. Non ha neanche ripresentato gli spiragli che aveva aperto il giorno precedente durante la trattativa. Il punto positivo è da ricercare forse nel fatto che l’azienda, alla fine, non abbia chiuso la porta al dialogo. Ma chi fosse uscito dall’aula prima di quest’ultima dichiarazione sarebbe rimasto probabilmente deluso.

Trattare con una multinazionale rende più difficile il ruolo del sindacato, secondo lei?

Certamente. Quando ci si trova a trattare con un’azienda che ha la testa da un’altra parte tutto è reso più difficile: si rischia di essere visti un po’ come dei marziani, a parlare di precariato o di condizioni di lavoro. Ovviamente siamo visti di cattivo occhio, dal momento che cerchiamo di mettere un vincolo, una conditio sine qua non al profitto, che poi è l’unico interesse delle multinazionali. E’ comunque uno sforzo necessario, quello di mantenerle legate ai problemi concreti del territorio: molti paesi esteri si sono dati da fare in questo senso.

Una battuta sulla politica nazionale. Quella di Tremonti sul “posto fisso come valore” è una boutade?

Io vedo questo governo molto bravo nell’annunciare: se lo può permettere, avendo occupato tutti gli spazi. Ma rispetto alle leggi approntate, si tratta di mera pubblicità. Di fatto l’occupazione è andata giù: in ambito locale, è vero che ci sono stati accordi importanti, ma è anche vero che ad oggi andiamo avanti con mille persone in meno, e questo solo nel territorio di Piombino, che ha resistito relativamente meglio alla crisi.

Uno spunto di autocritica per il centro-sinistra?

E’ necessario che l’autocritica sia fatta non solo dal centro-sinistra, ma anche dal sindacato nel suo insieme. Stiamo uscendo da un periodo di “sbandamento”, in cui anche noi siamo rimasti affascinati dall’idea del progresso inevitabile e continuo. Ci rendiamo conto, anche se in ritardo, che la precarietà non può essere considerata una condizione di progresso: dopo tutto, se adesso parliamo di creare una nuova cultura, significa che abbiamo perso quella vecchia, e non sarà facile tornare a mettere dei puntelli per ridare al lavoro una sicurezza dimenticata per troppo tempo.

Matteo Toffolutti