Cambiamenti climatici e lavoro: le emissioni nella siderurgia

nota a cura di Vittorio Bardi

 

Si è svolto venerdì 20 giugno scorso il seminario organizzato dalla CGIL e dalla FIOM su “Cambiamenti climatici e lavoro: le emissioni nella siderurgia”. I materiali completi, sia della documentazione che delle comunicazioni svolte saranno disponibili sul nostro sito tra breve, poi continueremo con i materiali sulle emissioni del settore auto, sulle quali è prevista la seconda parte del seminario a Settembre.

Ci preme comunque inviarvi subito alcuni dei documenti più significativi e riassumere, almeno sommariamente, i termini della questione sulla quale sarebbe opportuno avviare tempestivamente, anche unitariamente, un percorso di lavoro sindacale.

 

Il Pacchetto sul clima

La Commissione europea ha adottato nel gennaio di quest’anno, un importante pacchetto di proposte che darà attuazione agli impegni assunti dal Consiglio europeo in materia di lotta ai cambiamenti climatici e promozione delle energie rinnovabili. Le misure previste dovrebbero accrescere significativamente il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili in tutti i paesi ed imporre ai governi obiettivi giuridicamente vincolanti. Grazie a una profonda riforma del sistema di scambio delle quote di emissione, che imporrà un tetto massimo alle emissioni a livello comunitario, tutti i principali responsabili delle emissioni di CO2 saranno incoraggiati a sviluppare tecnologie produttive pulite. Per quanto riguarda i settori produttivi, oltre alla produzione energetica e quelle di calce, cemento, vetro, ceramica laterizi, carta, il settore siderurgico è tra quelli più coinvolti (per dare un ordine di grandezza, per ogni tonn. di acciaio prodotto si hanno circa 500 kg di emissioni, e complessivamente il contributo della siderurgia nelle emissioni totali è circa il 6%).

Il pacchetto legislativo intende consentire all’Unione europea di ridurre di almeno il 20% le emissioni di gas serra (incluse le emissioni delle auto) e porta al 20% la quota di rinnovabili nel consumo energetico entro il 2020, secondo quanto deciso dai capi di Stato e di governo europei nel marzo 2007. La riduzione delle emissioni sarà portata al 30% entro il 2020 se si riuscisse a concludere un nuovo accordo internazionale sui cambiamenti climatici.

 

La posizione di Confindustria e Federacciai

Non c’è solo l’improbabile riscoperta del nucleare da parte della nuova presidenza di Confindustria (che non va dimenticato viene da una famiglia di siderurgici, ma è l’idea di fondo dello sviluppo che propugna, che non possiamo condividere. L’affermazione che la crescita economica – senza alcun aggettivo - è il vero bene comune, è una visione miope che, oggi più che mai in questa fase della globalizzazione, non è vera. Nella relazione di insediamento la Marcegaglia fa alcune affermazioni di facciata: “Condividiamo l’idea di interventi coordinati per i cambiamenti climatici.” Ma poi va al cuore del problema, quando più in là afferma: “non possiamo accettare impostazioni autolesioniste, come continuare con l’adozione unilaterale del protocollo di Kyoto.”

Federacciai è stata da sempre nuclearista, a partire dal suo Presidente e oggi si scatena, adesso anche sulla questione delle emissioni, ha fatto partire una propria campagna di stampa.

La tesi è quella nota “un’ulteriore riduzione delle emissioni del 21% al 2020non è tecnicamente compatibile con l’attuale struttura dei costi e con l’attuale posizionamento delle imprese italiane ed europee. Siamo vicini ad un limite tecnologico di processo (è importante il riconoscimento che si può fare ancora qualcosa anche con le attuali tecnologie). Per questo Federacciai chiede al Governo di intervenire per bloccare la proposta UE di ridurre le emissioni…In assenza di tecnologie al momento percorribili dovremmo acquistare sul mercato, tutte le quote necessarie anche solo per mantenere gli attuali livelli produttivi…I costi aggiuntivi rischiano di diventare insostenibili e le imprese si vedranno costrette a ridurre o sospendere forzatamente la produzione… con conseguenti ricadute in campo sociale, ed effetti diretti sui livelli occupazionali.

 

La posizione del Governo

Per quanto riguarda il Governo, tra le prime dichiarazioni dei Ministri competenti non ci sono solo gli impegni per la riapertura del nucleare di Scajola, anche sulle emissioni la Ministra Prestigiacomo ha annunciato che al G8 di Kobe avrebbe proposto la revisione degli obiettivi UE, del pacchetto sul clima, giudicati eccessivi.

 

La posizione del sindacato

Partiamo dalla recente Dichiarazione del Comitato Esecutivo della FEM (allegato 1), arrivata alla fine di un lungo confronto interno, anche con qualche contraddizione. E’ una posizione articolata che tenta di fare una difficile quadratura del cerchio tra tutela ambientale e sociale e difesa del sistema industriale e dell’occupazione.

I punti salienti della proposta (a cui le organizzazioni italiane hanno contribuito con propri emendamenti) sono l’assegnazione alle aziende siderurgiche di quote libere di emissione in relazione a parametri di riferimento (benchmark) applicando le migliori tecniche disponibili (BAT), quindi parametri progressivamente aggiornati, gli impianti non conformi avrebbero il permesso di acquistare quote di emissione, ma anche l’obbligo di contribuire finanziariamente ad un fondo per la ricerca tecnologica e ambientale; inoltre l’affermazione che l’attuale efficienza energetica non ha ancora raggiunto il suo limite con l’attuale tecnologia quindi necessità di investimenti migliorativi sugli attuali impianti, oltre che per la ricerca su altre soluzioni tecnologiche.

(E’ vero che con le attuali tecnologie si è quasi arrivati al limite di efficienza, ma proprio per questo occorre continuare la ricerca e poi non è vero che tutti gli impianti in funzione sono al livello delle migliori tecnologie disponibili, né che la loro gestione sia la più efficiente e virtuosa, per cui se si affermasse che il limite tecnologico è già stato raggiunto si darebbe l’alibi a lasciare tutto com’è).

La via maestra per l’Europa dovrebbe quindi essere quella della eccellenza tecnologica nei processi e nei prodotti per potere garantire anche un’efficace tutela ambientale, eventualmente scontando una qualche riduzione dei volumi produttivi di bassa qualità concentrandosi sui prodotti più avanzati e a più alto valore aggiunto. Una strategia europea che quindi possa fare da guida anche rispetto al resto del mondo. Noi pensiamo che questa posizione possa tenere insieme una strategia sindacale comune, almeno dei paesi europei, evitando le guerre per la difesa degli impianti di un paese contro gli altri.

 

Come applicare questi orientamenti in Italia

Per quanto ci riguarda ci sentiamo impegnati alla migliore attuazione dei contenuti del pacchetto, sia per le rilevanti implicazioni ambientali e sul clima, sia per la spinta all’innovazione che induce verso una competizione sulla qualità del sistema produttivo italiano e segnatamente anche per il settore siderurgico.

Nell’ affrontare queste questioni, occorre tenere presente anche le complicate questioni dell’energia, sia dal punto di vista dei costi che dell’approvvigionamento, delle procedure aperte sulla questione “aiuti di stato” che interessano in particolare alcuni siti italiani (Terni, PortoVesme..) oltre che degli impatti ambientali sui territori (che non sono solo le emissioni di co2) e questo incrocia le politiche industriali, le scelte e specializzazioni produttive dell’Europa e dell’Italia.

Proprio perché parliamo di settori energivori, non possiamo immaginare di alimentare un altoforno elettrico con i pannelli solari, ma spazi di recupero di efficienza energetica ce ne sono ancora molti.

Sul versante degli approvvigionamenti energetici continuiamo a sollecitare le aziende più esposte affinché mettano in campo strategie di lungo periodo, che non possono essere solamente quelle di denunciare la non sostenibilità dei costi energetici a prezzi di mercato, limitandosi a coinvolgere le OO.SS. e le Istituzioni solo a fronte dei problemi urgenti, magari confidando che la completa liberalizzazione del mercato energetico europeo porti all’abbattimento dei costi energetici. In un sistema oligopolistico privato questo difficilmente potrà avvenire, per questo, le aziende dovrebbero mettere in atto ulteriori iniziative, oltre che per il massimo di efficienza energetica degli attuali impianti, anche con un proprio coinvolgimento diretto e investimenti propri, per l’approvvigionamento di energia, sfruttando tutte le risorse e opportunità presenti nei territori ottenendo costi più competitivi, ambientalmente ed economicamente sostenibili.

Il problema è intervenire sulle grandi scelte a partire dalle sedi europee e contemporaneamente aprire un confronto sulle scelte e le politiche del nostro paese.

E’ necessario mettere a punto una nostra proposta anche in un percorso unitario con Fim e Uilm, oltre che in rapporto con le confederazioni, per poi aprire un confronto con Federacciai e il Governo.

La nostra adesione motivata alla marcia per il clima del 7 giugno scorso (allegato 2) conteneva alcune affermazioni di principio che dovremmo verificare come si possono tradurre in pratica corrente…“far diventare la questione dell’efficienza energetica e dell’uso razionale delle risorse, una rivendicazione da presentare insieme a quelle più classiche sugli investimenti per la qualificazione dello sviluppo e la difesa delle condizioni di lavoro e di reddito dei lavoratori.”

Questo può significare, insieme ai confronti generali, impegnare i grandi gruppi, le aziende interessate, indicate nell’elenco settoriale degli impianti di produzione di acciaio (allegato 3) in un confronto, a partire dagli incontri annuali sulle informazioni e delle stesse discussioni nei CAE e, ove vi fossero le condizioni, anche tenendone conto in sede di definizione delle piattaforme aziendali, con specifici obiettivi.

Non tutte le realtà siderurgiche paiono avere le stesse posizioni e comportamenti espressi da Federacciai, ad esempio è interessante notare che, solo per quanto riguarda le emissioni, fino al 2007 le quote assegnate all’Italia non sono state complessivamente superate, mentre per quanto riguarda gli impianti situati in Lombardia lo sforamento è già avvenuto dal 2006 (allegato 4).

Un’altra affermazione, della nostra adesione, ci pare importante richiamare … per modificare sul serio i cicli produttivi in senso ambientalmente sostenibile, non bastano gli interventi esterni, solo con la partecipazione attiva e consapevole di chi opera dentro i cicli produttivi, quindi dei lavoratori e delle loro rappresentanze, noi riteniamo si possa raggiungere l’obiettivo.

Ecco allora che dovremmo mettere insieme le conoscenze interne, nostre, dei nostri delegati con quelle esterne, con esperti disponibili a contribuire ad un lavoro di questo tipo e sperimentare percorsi, in gran parte inediti, di confronto e contrattazione con le aziende.

Egualmente sulla questione degli altri impatti sui territori circostanti i siti siderurgici dobbiamo essere anche noi come sindacato che ci facciamo carico di intervenire, in qualche caso si sta sperimentando la figura del RLSA rappresentante dei lavoratori alla sicurezza e all’ambiente (nella piattaforma in preparazione dell’ILVA lo stiamo facendo, ma non ce la caviamo delegando a una nuova figura problemi così complessi che devono vedere impegnata tutta l’organizzazione sindacale esterna, confederale e di categoria, ed interna ai posti di lavoro per affrontare in modo nuovo il rapporto tra i siti produttivi e i territori circostanti.

Non necessariamente possiamo sempre condividere integralmente le ragioni portate dai comitati territoriali di cittadini e associazioni ambientaliste che sono nati in molti siti, ma alcuni problemi sono innegabili e noi dobbiamo contribuire ad affrontarli tentando di superare finalmente la contraddizione tra lasciare le cose come stanno o chiudere gli impianti.

La stessa iniziativa, avviata a livello confederale, sulla bonifica e reindustrializzazione dei siti industriali inquinati, che dovrebbe vedere l’organizzazione di un convegno nazionale a Taranto nel prossimo autunno, si iscrive in questo quadro.

Se il sindacato italiano fosse in grado di sviluppare un intervento organico di questo tipo, ovviamente in aggiunta a tutti gli altri versanti su cui siamo impegnati, crediamo sarebbe una sfida al sistema delle imprese, che ci farebbe trovare un largo consenso sociale, anche perché sarebbe chiaro che stiamo rivendichiamo miglioramenti immediati solo per noi, ma stiamo ponendo il problema della qualità dello sviluppo per il futuro.


 

Roma, 23 giugno 2008