Relazione di Carla Cantone

Segretaria nazionale Cgil

Le caratteristiche principali della siderurgia italiana dentro un contesto Europeo e Internazionale sono conosciute. Sono state evidenziate da Cremaschi e dagli interventi che ho ascoltato.

E’ un settore in Italia che esce da un decennio di privatizzazioni e di forti ristrutturazioni.

Certo però che rispetto al declino industriale degli ultimi 4 anni non ha subito pesanti scossoni come invece è avvenuto in altri settori manifatturieri, anche se il contesto dei mercati globali, il riassetto del settore nel mondo deve vedere il nostro Paese preparato.

Rispetto anche alla storia dei nostri siti produttivi abbiamo assistito a cambiamenti significativi che devono farci riflettere.

Penso a tutta la vicenda delle acciaierie di Terni, al comportamento della Tyssen Krupp.

Penso al passaggio della Lucchini alla Severstal dove attendiamo ancora di discutere il piano industriale.

Penso ai problemi di Trieste, quelli dell’ILVA di Taranto e alla delicata e complessa vertenza affrontata a Genova  con Riva.

Tutte vertenze che hanno affrontato ristrutturazioni, riconversioni e specializzazione dei prodotti delle acciaierie, le infrastrutture di sostegno, l’ambiente, la sicurezza, le   professionalità antiche e nuove.

Se non si tutela la salute e la sicurezza del lavoratori in fabbrica, non si ha neppure la volontà di garantire la tutela del territorio. Nelle aziende siderurgiche gli infortuni mortali sono una costante, e sono lì a dimostrare che l’ambiente, la qualità della produzione, l’organizzazione del lavoro, il riconoscimento delle professionalità sono temi che non sempre rientrano nella cultura imprenditoriale.

Se non si spende in sicurezza, significa che il lavoro prodotto è vincolato ai soli costi economici e non certo alla qualità.

La sicurezza nel lavoro viene prima dell’obiettivo produttivo.

Valorizzare i siti siderurgici italiani significa partire dalle condizioni esistenti dentro gli stabilimenti, per progettare interventi esterni e interventi di innovazione di prodotto e di processo nel ciclo produttivo.

Ci vogliono politiche attive del Lavoro che guardano alla formazione e alla stabilità perché nella siderurgia, nell’ultimo decennio è avvenuto  anche un massiccio ricambio generazionale.

Oggi l’età media dell’operaio siderurgico è di poco superiore ai 30 anni, con i problemi che ciò comporta appunto rispetto al binomio Professionalità-Formazione e grado della qualità.

Ma tutto questo si coniuga anche con il rapporto di lavoro precario che interessa in Siderurgia gran parte di questi giovani e che non ha nessun senso logico se non quello di abbattere una parte del costo del lavoro.

Lo dico perché penso che i problemi della siderurgia devono essere affrontati per mettere in sicurezza una produzione importante e da valorizzare al massimo, e non certo scegliendo la precarietà.

Oggi la nostra siderurgia deve affrontare il nodo del conflitto fabbrica/territorio, visto che in Italia le acciaierie sono affacciati sui paesaggi più belli del Paese, e proprio per questo sono oggetto di una attenzione straordinaria sul versante della qualità del prodotto ma anche su ciò che il prodotto produce, espelle, emette.

Per questo riteniamo importante tenere insieme il ruolo della fabbrica sul territorio con l’innovazione e la ricerca.

Significa quindi avere una idea forte di politiche di settore per affrontare e risolvere i nodi che vive la siderurgia e in questo modo evitare di affrontarli di volta in volta, azienda per azienda, territorio per territorio.

Ma contemporaneamente occorre un ruolo forte dell’Europa per far fronte a ciò che abbiamo assistito nell’ultimo anno ove parecchie tonnellate di acciaio cinese sono state portate sul mercato Europeo, senza adeguate misure di controllo e di vigilanza.

Il ruolo della CECA è stato bloccato, ed in mancanza di compiti precisi dell’Unione Europea le politiche industriali in siderurgia sono nelle mani dei vari governi con il risultato che in Italia manca un progetto strategico per tutta l’industria, compresa la siderurgia, mentre l’interesse di Francia e Germania è più alto, mirato, basato su sostegni importanti.

Il trend positivo ci deve impegnare ancora di più su progetti di sostegno, penso:

-          alla questione energetica

-          all’approviggionamento strutturale del Carbon Coke

-          centri di raccolta rottame

-          investimenti in Ricerca e Sviluppo sia per adeguare gli impianti che per produrre innovazione di prodotto/processo

-          regole per le delocalizzazioni

-          regole per le Multinazionali presenti in Italia (Acelor, Tyssen, Severstal) per evitare di trasformare gli stabilimenti italiani in siti provvisori ed esposti alle decisioni degli altri paesi.

 

Se c’è professionalità, qualità e sostegno si deve prevedere autonomia di scelta e di produzione.

Questo chiama in causa il ruolo del sostegno alle imprese come anche il ruolo delle istituzioni, per la definizione di accordi di programma, come abbiamo sperimentato in alcune realtà. Accordi vincolanti e da sottoporre ad una verifica costante nella loro attuazione.

Sono tutte questioni, però che chiamano in causa responsabilità precise del Governo.

La capacità di saper progettare politiche industriali degne di questo nome.

Una strategia di sviluppo che sappia riportare competitività e che sappia ricollocare il nostro paese fra i più importanti paesi industrializzati.

L’esperienza industriale dell’Italia in alcuni settori e certamente nella produzione delle acciaierie, ci dicono che si possono e si devono favorire piani e progetti che favoriscono la ulteriore crescita di questo settore. Un progetto in grado i consolidare il nostro patrimonio industriale.

Ma per consolidarlo occorre sviluppare una forte politica di innovazione tecnologica e quindi un ruolo certo delle imprese, ma soprattutto dello Stato sul campo della ricerca e delle politiche di sostegno.

Occorrerebbe avere un’idea di sviluppo industriale, non essere subalterni agli altri paesi se vogliamo governare anche il ruolo delle Multinazionali.

Occorrerebbero scelte anche coraggiose altrimenti tutto si riduce ad una politica difensiva che non ci fa competere.

Ci sono eccellenze industriali (auto, aeronautica, aerospazio, tlc, informatica, siderurgia, agroalimentare) che andrebbero seguite non solo in difensiva, ma con progetti di strategia industriale in grado di valorizzare la produzione, incrementarla e quindi renderla competitiva.

Ma ci vuole competenza, volontà, politica, idee.

Tutte cose che a questo governo mancano.