Fiom,
Petrucci: «Le tute blu guardano al mediterraneo»
Intervista
alla responsabile dell'Ufficio europeo dei metalmeccanici che ha seguito
i lavori a Lisbona, «Il sindacato europeo rafforza l'identità ma non
è proiettato verso il futuro»
Liberazione,
10 giugno 2007
Fabio
Sebastiani
«Un sindacato che rafforza la sua identità ma fa fatica a guardare
avanti». Così Sabina Petrucci, responsabile Ufficio Europa della
Fiom/Cgil, sintetizza il congresso della Fem, la Federazione europea dei
sindacati, appena conclusosi a Lisbona (6 e 7 giugno). Ovviamente, nella
capitale portoghese è successo molto altro ancora, a cominciare
dall'avvio di una nuova macro-aerea-Sud, che, raggruppando sedici sigle
sindacali (Italia, Francia, Portogallo, Spagna, Turchia, Grecia, Malta),
proverà a creare un coordinamento mediterraneo, con la partecipazione
dei sindacati metalmeccanici del Nord-Africa.
La Fem ha fatto il congresso a pochi giorni da quello della Ces. Che
differenze di atmosfera hai colto?
Innanzitutto la vivacità, e dibattiti più approfonditi e articolati.
La qualità del dibattito ha consentito una risoluzione politica, dove
sono intervenuti sia la Ig Metall che la Fiom, con il segretario
generale Gianni Rinaldini, che parte dall'analisi della globalizzazione
e le sue conseguenze, la difesa della contrattazione, la difesa del
modello sociale europeo. I due elementi che invece non sono presenti
sono la crisi del sindacato in Europa e l'analisi sulle conseguenze di
questa crisi, ovvero il libro verde e l'orario di lavoro. Un vero
sindacato europeo è un obiettivo ancora da conquistare.
Un sindacato che rafforza la sua identità e non guarda avanti?
Si giusto. E soprattutto, non guarda avanti per quanto riguarda le forme
organizzative e la risposta alla strategia globale del padronato. Penso
che il congresso in qualche modo abbia riflettuto la crisi del
progetto-Europa. Il retropensiero è quello di andare avanti, ma temo
che ognuno pensa di andare avanti con una strategia diversa.
L'impressione è che anche a Lisbona si sia sentito molto questo diffuso
senso di perdita di attrattiva dell'Europa.
Insomma, è ancora presto per una azione europea del sindacato...
La Fem sta lavorando attivamente da un anno agli action day contro le
crisi aziendali e le ristrutturazioni. Il 12 giugno, per esempio, ce ne
sarà uno sulla Nokia-Siemens con quattro ore di sciopero in Italia.
Fino a che non si cambia la Costituzione europea mettendo l'esigibilità
del diritto di sciopero dovremmo sperimentare forme di lotta che
riaffermino comunque la volontà di mobilitazione. Come per esempio la
vicenda Alcatel. E' si l'unità d'azione ma non è il sindacato europeo
e la lotta congiunta.
Da Siviglia è arrivato un segnale debole contro la precarietà. Anche
da Lisbona?
No. Nel documento della Fem che è il risultato di tre anni di lavoro e
di discussione politica ci sono due cose importanti: valorizza dove c'è
la flexicurity ma dice che non è esportabile in altri paesi. C'è tutto
un ragionamento contro la precarizzazione del lavoro dove si dice che va
mantenuto come punto di riferimento il lavoro decente che permetta di
programmare la propria vita fare un lavoro dignitoso e di utilizzare la
contrattazione collettiva per ridurre la precarizzazione.
Quali presenze istituzionali avete avuto?
A Lisbona c'è stato il ministro del Lavoro portoghese e come intervento
un po' particolare il presidente degli imprenditori europei che, devo
dire, non è che abbia ricevuto una grande accoglienza.
Come avete affrontato il tema dei migranti?
Sui migranti abbiamo costruito il lavoro della futura aera mediterranea.
In questa area c'è proprio l'emergenza dell'immigrazione clandestina.
Da qui il tema dell'equiparazione dei diritti, fino a quello di
cittadinanza. Altri temi sono la zona del libero commercio. Nel
Mediterraneo, molte multinazionali si stanno preparando ad intervenire
pesantemente. E quindi ci sarà un lavoro congiunto. E il rafforzamento
dei diritti sindacali nei paesi del Nord-Africa.
Come è andata per gli italiani a Lisbona?
Noi italiani siamo stati gli unici che hanno votato insieme ai paesi
dell'Est contro l'aumento delle quote sindacali. Infatti, noi non
abbiamo votato no perché non vogliamo pagare quote più economiche,
bensì perché non vogliamo un sindacato europeo di organizzazioni
ricche. E quindi abbiamo sollecitato per mesi che si trovasse una
soluzione. Se un lavoratore polacco viene pagato 200 euro di salario
minimo non si può pensare che sia la stessa situazione del sindacato
tedesco. Alla fine, però, è passato l'aumento. Con il nostro voto
abbiamo permesso ai sindacati dell'Est di sentirsi meno soli in questa
battaglia.
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