Sindacati. Hanno mille problemi, ma “la casta” non c’entra

L’Espresso accusa, il fatto non sussiste

Fernando Liuzzi

da “Il Riformista” (9 agosto 2007, pag. 3) 

 

Gran clamore per la copertina dell’ultimo numero de L’Espresso: Angeletti, Epifani e Bonanni presentati come “L’altra casta”. E, per rendere più evidente il richiamo all’ormai celeberrimo best seller di Stella e Rizzo sui costi (eccessivi) della politica, un bel sottotilo: “Privilegi. Carriere. Stipendi. E fatturati da multinazionale. I conti in tasca ai sindacati”.

La causa di tanto clamore sta, secondo alcuni, nel fatto che sarebbe singolare il fatto che un settimanale di sinistra, come L’Espresso, spari una copertina poco amichevole verso Cgil, Cisl e Uil. Ma questa non è una notizia. Sono più di vent’anni che L’Espresso non perde occasione per esibire il fastidio con cui percepisce l’esistenza stessa dei sindacati. Diciamo, da quando ne è diventato azionista di riferimento un signore in (fruttuoso) transito dagli aspri lidi dell’industria metalmeccanica verso le verdi vallate della finanza.

Qual è, allora, la notizia? Che un eccesso di antipatia ha velato gli occhi dei redattori del prestigioso settimanale. Fino al punto che la cover story, più che un’inchiesta, sembra un’arringa. Ma un’arringa sbagliata, perché presenta dati che smentiscono la tesi di fondo.

Questa tesi è che i sindacati confederali siano organizzazioni, allo stesso tempo, poco rappresentative, molto ricche e molto potenti. Al lettore viene anzi suggerita l’idea che la grande ricchezza sia lo strumento che consentirebbe a Cgil, Cisl e Uil di rimanere potenti nonostante la scarsa rappresentatività.

Ora, anche senza biso gno di fare una vera e propria inchiesta, basterebbe fare qualche telefonata e confrontare un paio di dati per capire che le cose non stanno così. In realtà, i sindacati confederali sono, di gran lunga, le organizzazioni sociali più sane, dal punto di vista del rapporto col denaro, tra quelle che esistono nel nostro paese.

Hanno, innanzitutto, molti iscritti. Stando ai dati presentati da L’Espresso, tra i soli lavoratori attivi Cgil, Cisl e Uil mettono insieme quasi 6 milioni di tesserati (5.964.166). In secondo luogo, questi iscritti pagano tessere assai più salate di quelle proposte dalla stragrande maggioranza dei partiti e delle associazioni esistenti in Italia. Quanto salate? Nel caso della Cgil, che è quello di cui ho diretta esperienza, la tessera sindacale costa, in media, qualcosa meno dell’1% del salario derivante dalla contrattazione nazionale. A occhio e croce, un operaio metalmeccanico che scelga la Fiom versa alla Cgil qualcosa come 120 euro all’anno; un impiegato che faccia la stessa scelta può superare, sempre a spanne, i 150 euro all’anno.

Ora a me risulta, tanto per fare un esempio, che la tessera della Fnsi, il sindacato dei giornalisti, costa, a Roma, 100 euro all’anno. E ciò nonostante che le retribuzioni dei giornalisti siano (ancora) superiori a quelle dei metalmeccanici. Sempre a Roma, ci si poteva iscrivere ai Ds, uno dei partiti più “cari”, con 50 euro all’anno.

Mi fermo qui. Ma mi chiedo: chi glielo fa fare a circa 360mila metalmeccanici di dare ogni anno alla Cgil cifre che appaiono così rilevanti se confrontate, da un lato, con i loro salari e, dall’altra, col costo di altre tessere? Quel che sembra sfuggire al pur ottimo Livadiotti, autore dell’articolo portante della cover story, è che il tesseramento è una robusta prova della validità della tesi opposta alla sua. Ovvero, è una prova tangibile della rappresentatività dei sindacati.

Ma è anche divertente notare che questi stessi sindacati, con i soldi così raccolti, pagano ai propri funzionari gli stipendi di gran lunga più bassi tra quelli elargiti a tutti i diversi settori della classe dirigente del nostro paese. Sempre secondo L’Espresso, Epifani, che sarebbe il sindacalista italiano più pagato, guadagnerebbe nientemeno che 3.500 euro al mese. Mentre l’insieme del top management confederale - cioè la trentina di persone che compongono le segreterie confederali di Cgil, Cisl e Uil - si collocherebbe tra i 2.400 e i 2.900 euro al mese.

A me risulta che il grosso dei funzionari sindacali, in casa Fiom, campa con stipendi che stanno tra i 1.400 e i 1.900 euro al mese. E quando dico “il grosso”, ci metto dentro anche le dattilografe- segretarie, perché un’altra caratteristica della Cgil è lo schiacciamento delle distanze salariali tra mansioni “tecniche” e top management (da 1 a 2½).

Morale della favola? Nessuna persona seria potrebbe negare che i sindacati confederali abbiano oggi, più di ieri, problemi di ruolo e di rappresentatività. Ma far credere al lettore che questi problemi siano significativamente legati ai modi in cui i sindacati si procurano o usano le proprie risorse economiche significa far opera di depistaggio. Un buon giudice, alla fine di un’arringa accusatoria come quella de L’Espresso, dovrebbe concedere l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste.