Lettera consegnata alla Federmeccanica il 10 febbraio 2003

 

ALLA PRESIDENZA DELLA FEDERMECCANICA

 

Intendiamo con queste note fornire una risposta formale al documento che la presidenza della Federmeccanica ha presentato nell’incontro del 20 gennaio 2002, di avvio delle trattative per il rinnovo del Ccnl 2003-2006.

1.   La nostra organizzazione ritiene anch’essa preoccupante la situazione complessiva del settore. I dati in nostro possesso e ancor di più quelli forniti dai principali istituti di ricerca, non ultimo il rapporto Mediobanca, ci descrivono un quadro critico sul quale riflettere.

Il settore metalmeccanico, così come gran parte dei settori industriali italiani, è in una fase di arretramento sul piano della competitività per carenza di investimenti, innovazione tecnologica, ricerca, innovazione di prodotto. In nessun modo le difficoltà attuali possono essere imputate al costo del lavoro e al costo del lavoro per unità di prodotto, che nel medio periodo, hanno le dinamiche più basse tra i paesi industrializzati. D’altra parte non si può utilizzare il dato congiunturale per esprimere valutazioni di prospettiva più lunga. E’ evidente che oggi il sistema economico vive in una fase di stagnazione che potrebbe aggravarsi con gli eventuali avvenimenti bellici. Tuttavia i problemi di competitività dell’industria metalmeccanica italiana sono tutti di carattere strutturale e riguardano complessivamente la qualità della crescita del sistema stesso.

Per queste ragioni non solo riteniamo giustificate le richieste che presentiamo, in quanto non si possono imputare al fattore lavoro i problemi del settore, ma persino utili rispetto a una riqualificazione complessiva del sistema.

Affrontare i problemi del lavoro in un’ottica di valorizzazione ci pare un investimento di fiducia per il futuro e anche una scelta utile per una competitività realizzata ai livelli dell’eccellenza.

2.   Il rinnovo del contratto nazionale riguarda tutte le materie normate nel testo contrattuale. Ci pare importante che questo confronto non venga ridotto alla sua pura dimensione salariale. Non stiamo solo rinnovando l’accordo per i minimi tabellari, che vale due anni, ma tutto il quadro normativo che ne dura  quattro. Occorre dunque ragionare in tempi medi pensando non solo all’immediata contingenza, ma all’evoluzione del settore nel medio periodo.

Le nostre richieste per limitare la precarietà del lavoro, sull’inquadramento professionale, sull’orario, sui diritti, hanno lo scopo di migliorare le condizioni di lavoro e allo stesso tempo di costruire un più avanzato sistema di relazioni tra le aziende e i lavoratori e tra le aziende e i sindacati. Esse propongono sicuramente scelte differenti da quelle che hanno prevalso in questi anni nel governo della condizione e della organizzazione del  lavoro, ma lo fanno anche tenendo conto dello stato attuale del sistema industriale italiano. Un miglioramento della qualità professionale, della certezza e della sicurezza del lavoro, una tutela delle condizioni più faticose e disagiate, una migliore considerazione dell’apporto della persona del lavoratore all’interno delle imprese, ci paiono obiettivi che possono, da un diverso punto di vista, essere perseguiti anche da un sistema industriale che voglia competere sul terreno della qualità più che su quello dei costi.

Per queste ragioni riteniamo le nostre richieste normative parte determinante della vertenza e riteniamo che ad esse debba essere dato lo stesso valore e lo stesso peso di quelle salariali.

3.      Le deleghe sul mercato del lavoro approvate e in via di approvazione dal Parlamento rappresentano per noi una gravissima violazione dei diritti dei lavoratori e dell’autonomia contrattuale delle parti. Si tenta per legge di peggiorare i diritti sanciti dalla contrattazione e di normare i suoi futuri comportamenti.

La Fiom si riserva di agire in ogni sede per tutelare gli interessi ed i diritti del mondo del lavoro, che oggi subiscono una lesione così grave.

4.   Per quanto riguarda la richiesta salariale vogliamo ribadire le ragioni che ci hanno portato a formularla.

Vogliamo prima di tutto sottolineare che non è nostra intenzione modificare le regole del sistema contrattuale e i due livelli di contrattazione così come sono previsti. Per quanto ci riguarda esiste chiaramente un problema di sviluppo e di estensione del secondo livello di contrattazione, ma a nostro parere questo deve avvenire nel quadro delle regole attuali. Nello stesso tempo esiste la necessità della tutela del salario nazionale dei metalmeccanici contro l’inflazione e assieme a quella della redistribuzione della produttività media di settore. Queste voci non possono che essere collocate nel contratto nazionale per loro stessa definizione e non esistono attualmente regole che ostacolino o impediscano questa scelta. Le parti possono non trovare l’intesa sul livello di tutela dei salari rispetto all’inflazione, o sulla redistribuzione di una quota di quella produttività media di settore che tutti gli indici economici calcolano, a livello nazionale o internazionale, in un sistema industriale. Ma non può essere obiettata in nessun modo la violazione di regole a una richiesta di questo tipo, proprio perché non esistono norme che impediscano tale richiesta.

Il protocollo del 23 luglio 1993 definiva una serie di comportamenti delle parti relativi alla realizzazione della politica dei redditi.

Premesso che in quel protocollo si definivano come obiettivi della politica dei redditi, quella riduzione dell’inflazione e del deficit pubblico atte a permettere l’entrata dell’Italia nell’euro e che quegli obiettivi, grazie al contributo dei salari e delle pensioni, sono stati raggiunti, occorre oggi chiarire lo stato reale di quella politica.

L’inflazione programmata come riferimento per gli aumenti retributivi era parte di un sistema concertativo che impegnava i diversi soggetti sociali ed istituzionali coinvolti.

Le scelte compiute nel corso di questi anni, dal mancato controllo delle tariffe fino ad arrivare ad una legislazione del lavoro non concordata, come la recente delega sul mercato del lavoro, sono espressioni di una politica che mette in discussione ogni possibile quadro di concertazione tra le parti.

E’ in questo contesto che la definizione del tasso di inflazione programmata rappresenta una scelta unilaterale compiuta dal governo, assolutamente non credibile per il potere d’acquisto dei lavoratori.

In conclusione la Fiom ha adottato, per definire la propria richiesta gli stessi criteri con i quali è stata elaborata la piattaforma definita con Fim e Uilm nel 2001, con una sola variazione. E’ stato richiesto il recupero integrale del differenziale tra inflazione programmata e inflazione ufficiale a partire dal gennaio 2001. E’ stata richiesta la redistribuzione di una quota dell’andamento medio della produttività di settore. Non ci si è riferiti invece, come nel passato, all’inflazione programmata per quanto riguarda il biennio 2003-2004, per le ragioni sopra motivate.

5.   Con questa impostazione la Fiom ritiene di aver costruito rivendicazioni che non mettono in discussione le regole della contrattazione.

Altre valutazioni riguardano il merito politico del confronto sul quale evidentemente le parti hanno sempre, almeno in tutta la fase che precede l’accordo, posizioni diverse. La tutela del salario reale e la redistribuzione della produttività, la tutela professionale e dei diritti dei lavoratori, non possono in alcun modo essere considerate una violazione di regole.

In conclusione il perimetro di un confronto sul contratto nazionale è dato dal confronto stesso e dalla disponibilità delle parti a negoziare. Altre posizioni assumerebbero inevitabilmente il carattere di pregiudiziale tese ad escludere questo o quel punto o, peggio ancora, questo o quell’interlocutore.

6.   Facciamo infine presente alla Federmeccanica che, come abbiamo comunicato per lettera, il testo della piattaforma che abbiamo presentato è stato sottoposto a referendum consultivo tra i dipendenti delle aziende metalmeccaniche. Non pretendiamo in questa sede il riconoscimento formale del pur rilevante dato della partecipazione al referendum. Facciamo tuttavia presente che esso fornisce alla nostra piattaforma un particolare coefficiente di rappresentatività, che non può in nessun modo essere ignorato dalle imprese.

Nel sistema privato non sono in vigore strumenti per misurare il peso e la rappresentatività di chi si siede al tavolo, anche se l’articolo 39 della Costituzione non può certo essere ignorato o completamente ribaltato. D’altra parte la Federmeccanica sa perfettamente che è anche convenienza del sistema delle imprese che gli accordi stipulati abbiano la massima rappresentatività possibile.

Nel riconfermare la piena validità del principio di ultrattività del contratto per tutte le parti stipulanti, riteniamo quindi che la Federmeccanica dovrebbe perseguire un’intesa con tutte le rappresentanze che sono al tavolo, senza compiere selezioni che, come mostra l’esperienza del passato, producono solo conflitti e tensioni.

Segreteria nazionale Fiom-Cgil

Roma, 11 febbraio 2003