Comitato Centrale della Fiom
Roma, 20-21 novembre 2003

Conclusioni – Gianni Rinaldini

La discussione che si è svolta in questi due giorni, una discussione positiva anche nell’articolazione delle posizioni espresse e negli approfondimenti che si sono determinati, rende necessario riprendere, almeno per quanto mi riguarda, alcuni filoni di ragionamento che hanno caratterizzato le scelte che la Fiom e la Cgil hanno compiuto nel corso di questi anni.

Alcuni compagni hanno richiamato, riferendosi alla proposta dell’Assemblea nazionale statutariamente prevista, quella fatta a suo tempo a Maratea.

Ora è chiaro che la nostra Assemblea nazionale, capisco il senso del richiamo, non ha le stesse caratteristiche, ma voglio ripartire da lì per ragionare sulla Fiom, perché Maratea ha rappresentato un momento di passaggio decisivo nel rilancio dell’iniziativa della Fiom, che partiva da un nucleo essenziale e decisivo di analisi e di ragionamento, relativo al fatto che siamo dentro a un nuovo ciclo storico segnato da processi sociali, politici e culturali, che sono quelli del liberismo in quanto tale non più soggetto a vincoli sia dal punto di vista sociale che internazionale.

Vincoli che hanno segnato la storia del passato non solo del Dopoguerra, ma dell’intero Novecento. Questi processi avrebbero travolto tutto lo scenario conosciuto, quello delle relazioni sociali, delle regole sindacali, la ridefinizione degli stessi assetti complessivi a livello politico e sarebbe saltato lo stesso 23 luglio. L’idea del liberismo porta in sé – non voglio qui riprendere elementi conosciuti – una incompatibilità rispetto a questi vincoli, ovviamente a partire dalla contrattazione concepita come esercizio autonomo e democratico da parte dei lavoratori.

Se ho ben capito, perché io la vivevo dall’esterno, Maratea ha significato questo, tanto è vero che ha comportato una lettura dei processi internazionali che ha portato la Fiom per prima ad assumere posizioni nette sulle vicende internazionali con l’esperienza all’interno del Forum sociale e poi con le posizioni che sono diventate dell’intero movimento sindacale.

Ritengo il documento di ieri della Cgil sulla situazione internazionale molto positivo e del tutto condivisibile. Non era così all’inizio della discussione subito dopo quel passaggio che è stata l’Assemblea di Maratea.

Questo è ciò che concretamente sta succedendo, lo dico perché se qualcuno ancora pensa che c’è una fase e poi si chiude e si torna nella situazione di prima non ha capito; se qualcuno pensa che c’è una fase e poi si ritorna alla struttura contrattuale del 23 luglio e alla politica dei redditi non ha capito che non c’è più; non so se è chiara la cosa.

Del resto anche ieri nella Conferenza di organizzazione la Cisl – al di là anche di alcuni passaggi positivi – ha riproposto ufficialmente la ridefinizione dell’assetto contrattuale con la riduzione del ruolo del contratto nazionale e l’esercizio di funzioni diverse da parte della contrattazione; questo lo dico perché altrimenti si affermano delle cose e poi non se ne traggono delle conseguenze.

Quell’analisi e quelle decisioni hanno portato la Fiom a compiere tutta una serie di scelte che abbiamo vissuto in questi anni concretamente. Ci vogliamo dire che la contrattazione e l’esercizio della contrattazione – non sto parlando di precontratti o di secondo livello – oggi non incide rispetto ai processi di ristrutturazione e di riorganizzazione delle imprese?

Ci possiamo dire che la contrattazione di secondo livello fino a non molto tempo fa nel 90% dei casi si faceva con pochissimi scioperi?

Qualcuno pensa che quello che è successo e sta succedendo alla Fiat, dove per l’azienda il sindacato non esiste più - nel senso che non negozia ma informa come se fosse una conferenza stampa –, sia un problema solo della Fiat?

Quello che è successo nei meccanici a partire dal 2001 è parte di questi processi, e questo non a caso è sempre passaggio decisivo, nella categoria che dal punto di vista industriale ne rappresenta l’elemento centrale.

Non abbiamo detto, o meglio avete detto perché io in quella fase ancora non c’ero, che con il 2001 era partito l’assalto alla struttura contrattuale e al contratto nazionale?

Non avete voi detto, votato e deciso che la questione non erano tanto le 18.000 lire giocate con l’anticipo ma che con quella operazione era partito l’attacco al contratto nazionale nel merito, e ovviamente nel metodo con le espropriazioni sulla democrazia? Sappiamo tutti che altrimenti sarebbe stato folle da un punto di vista puramente sindacale rompere, fare intese separate per 7-8.000 lire in più o in meno di aumento.

Quello che poi si è determinato con il contratto nazionale è evidente per tutti e lo abbiamo discusso ampiamente. Siamo di fronte al fatto che per praticare un’idea liberista anche in termini di rapporti sociali e di regole sindacali i contratti vanno imposti, non possono essere oggetto di una dinamica contrattuale e democratica da parte dei lavoratori perché altrimenti non passano. In questo senso, devono in qualche modo accompagnare una modifica autoritaria nel rapporto tra l’autonomia contrattuale e la legislazione che è esattamente quello che la Confindustria afferma nella lettera inviata al presidente della Camera, del Senato e al presidente del Consiglio. Cosa si dice in quella lettera se non il fatto che la contrattazione non c’è più, quando si chiede un atto legislativo perché la Fiom con la sua iniziativa vuole intervenire sulla Legge 30, che essendo una legge dello Stato va semplicemente applicata?

La lettera della Confindustria di tre pagine inviata alle massime autorità dello Stato che cosa è se non l’esplicitazione di un’idea precisa che elimina l’autonomia contrattuale, ridisegnando un rapporto diverso con il quadro legislativo e ovviamente annullando le dimensioni e le possibilità dell’iniziativa democratica?

Ma non sta succedendo questo, concretamente, negli stabilimenti? La scomposizione delle imprese – tra l’altro ricordo a tutti che i rapporti di lavoro previsti sono esclusi dal computo per arrivare ai 15 dipendenti (a proposito della questione del referendum)– è un processo che avrà una enorme accelerazione con la Legge 30, così come siamo di fronte a un mutamento dell’assetto dello Stato sociale.

Ce lo vogliamo dire sì o no che i giovani meccanici la pensione se la scordano? Ce lo vogliamo dire che tutti i lavoratori delle aziende artigiane, che tra l’altro non hanno neanche la previdenza integrativa, la pensione se la scordano? Ben che vada, quando arriveranno a quella soglia, avranno il 45-40%, poi se passano le misure del governo si scende al 30%.

Sta succedendo qualche cosa, in questo paese; siamo cioè di fronte a una modifica radicale dell’assetto sociale. E anche sulla sanità mi domando: se la linea è quella dell’accordo fatto una settimana fa dai chimici sull’assicurazione integrativa che copre praticamente tutto - non polemizzo mai con le altre categorie ma questa volta una cosa la devo dire -, se è così, se ogni categoria si fa la sua sanità vuol dire che anche sulla sanità, oltre che sulla previdenza, l’assetto dello Stato sociale non c’è più?

Sta succedendo qualche cosa, per ognuno di noi, a tutti i livelli di responsabilità s’impone un lavoro profondo di ricerca e di discussione anche di natura strategica. Del resto se volgiamo lo sguardo alla situazione europea e internazionale il rapporto tra partiti e sindacati nelle sue diverse versioni e nei suoi diversi filoni storici, da quello laburista, a quello socialdemocratico, a quello comunista è irrimediabilmente in crisi.

Molti dirigenti dell’Ig Metall stanno restituendo le tessere a Schröeder, tanto è vero che il cancelliere tedesco farà un incontro con Peters nei prossimi giorni per vedere cosa fare visto che la cosa sta assumendo aspetti piuttosto preoccupanti. In Inghilterra una buona parte dei sindacati sta tagliando le quote di finanziamento al Partito laburista, che, come sapete, nasce dal sindacato a differenza dell’esperienza socialdemocratica, per non parlare di quella comunista – di cui è sufficiente leggere i documenti dei sindacati dei paesi che ancora si richiamano di fatto al Socialismo reale, che per me significano rendere i lavoratori schiavi. Poiché, laddove si apre al mercato e non c’è la democrazia, i lavoratori sono schiavi, fanno gli eroi del lavoro, oppure le donne eccellenti, come ho letto nell’ultimo documento del Congresso del sindacato vietnamita.

Laddove non esiste il diritto di sciopero e di libera associazione sindacale, la condizione dei lavoratori viene semplicemente venduta, annullata, perché non hanno la possibilità, non avendo neanche il diritto di sciopero, di difendere le loro condizioni.

La crisi di tutti i filoni storici, però, apre o non apre anche un problema strategico - perché è dentro questa fase -sul futuro del sindacato?

La nostra scelta della democrazia è - come dico sempre negli incontri con i partiti della Sinistra - assolutamente innovativa rispetto anche alla storia e alla discussione della Sinistra.

Ritengo che dentro quella scelta ci sia l’essenza stessa del ragionamento di un sindacato autonomo e indipendente dai partiti, dal governo, dai padroni, perché altrimenti è la solita storia. Penso che tutti noi, tutti i sindacalisti, soggettivamente sono autonomi, il gioco che ognuno accusa quell’altro di non essere autonomo l’abbiamo sentito tante volte in Cgil, a seconda delle fasi il non autonomo era quello oppure quell’altro.

Il problema dell’autonomia e dell’indipendenza ha un unico elemento di garanzia, altrimenti è un gioco tutto interno ai gruppi dirigenti, ed è quello della democrazia. La legittimità che ci deriva da un percorso democratico nel rapporto con i lavoratori, di coloro che vogliamo rappresentare, si aggiunge ovviamente all’autonomia progettuale.

Sono i due elementi che stanno dentro questa discussione e capisco bene che è una questione tutt’altro che risolta nel dibattito aperto.

Ora, la scelta che noi abbiamo compiuto, quella dei precontratti è stata quella di dire che con i precontratti tentiamo di rendere impraticabile quell’ipotesi e quel disegno che è la condizione per qualsiasi ragionamento di ricostruzione dell’assetto contrattuale di questo paese, compreso il contratto nazionale.

Questa è stata la scelta che abbiamo fatto, difficile, complicata; qui sono state fatte tante valutazioni, penso che la tenuta – pur con tutte le difficoltà che abbiamo avuto – ha un qualche significato perché, come alcuni compagni hanno ricordato, è avvenuta in una fase non di sviluppo ma dove contemporaneamente facevamo i conti con le casse integrazioni, con gli esuberi, con i licenziamenti e altro.

Oggi, dopo la manifestazione del 7 novembre, noi siamo di fronte a uno snodo: questa scelta la confermiamo e la estendiamo oppure no?

Anche qui, per essere chiari: questa discussione sulla generalizzazione l’abbiamo affrontata tante volte. Il problema non è che bisogna coprire tutte le aziende metalmeccaniche esistenti a livello del nostro paese ecc., diciamoci le cose come stanno, perché se in un territorio o in una regione c’è il 20% delle aziende, o il 25%, quello che è, dove non hai aperto il precontratto è una cosa, ma se salta fuori che ci sono territori e regioni dove alla fine di questa vicenda il 90% delle aziende non apre i preaccordi non è più un problema di situazioni eccezionali o particolari, ma si tratta di altro. Questo significa generalizzazione.

Insisto, perché altrimenti non può essere che l’intensificazione dell’iniziativa sia solo di alcuni territori, perché, ovviamente, se non si estendono i precontratti e non si va alla generalizzazione andranno anche loro in difficoltà, perché sono fortemente esposti. E non è che poi tutti quanti assieme possiamo dire: bene, però è vero, i padroni non faranno più altre intese separate, visto il casino che gli abbiamo creato, cioè in sostanza visto il casino che gli abbiamo creato in alcune aree non lo fanno più a livello nazionale”. Se il messaggio che dovesse uscire da questo Comitato centrale fosse quello che dopo aver detto che si va alla generalizzazione adesso andiamo all’estensione, i padroni capirebbero una sola cosa: che la manifestazione nazionale del 7 novembre era in realtà l’atto conclusivo e poi si apriva un’altra fase.

A questo punto non si capisce perché dovrebbero, come speriamo, nei prossimi giorni avventurarsi su un terreno di confronto, anche in alcuni grandi gruppi, per verificare la possibilità di individuare delle soluzioni.

Poi anche qui sulle soluzioni io non mi voglio fasciare la

testa, il problema non è che dappertutto ci deve essere scritto che è un precontratto che apre al contratto.

È questa la scelta che abbiamo di fronte, la scelta della generalizzazione dei contratti, dei precontratti ha questo significato preciso, ma questo significa che noi dobbiamo aprire, ovviamente in rapporto con i lavoratori, che è l’unico vincolo che assumiamo, una nuova fase di rilancio delle piattaforme precontrattuali.

Assieme a questo e con questo, aggiungo, sono state fatte alcune considerazioni sull’Api che sono di un qualche interesse e credo proprio che dovremo andare a una riunione specifica dei delegati dell’Api, perché è proprio questo il punto. Non si capisce, per quale ragione non si aprano in tutte le aziende Api i precontratti, visto che la Fiom rappresenta circa l’80% dei lavoratori sindacalizzati.

Faccio notare che nel frattempo, come avevo indicato anche nella relazione, noi con il documento e nel documento - mentre diamo l’indisponibilità alle commissioni previste per contratto - diamo la disponibilità a commissioni, anche sugli stessi argomenti, che siano autonome rispetto al contratto e quindi la disponibilità a riprendere relazioni sindacali a livello nazionale; questo vale per la Federmeccanica, vale per la Confapi, vale per le Cooperative.

Certo che se qualcuno pensa che invece noi torniamo al tavolo per rientrare dentro la dinamica dell’intesa separata questo non è possibile, però faccio notare che nella proposta che noi facciamo c’è un’apertura, per chi vuole, alla possibilità di riaprire un terreno di relazioni.

Credo che la Confapi possa essere in difficoltà a darci una risposta se sul serio vuole riaprire delle relazioni sindacali, avendo ormai buona parte delle aziende che hanno deciso di fare i precontratti.

Vengo – sempre dentro questo schema – alla parte relativa al

secondo livello; non ho nulla da aggiungere, c’è la fase della generalizzazione delle iniziative precontrattuali a pari del secondo livello.

Dobbiamo fare vivere concretamente già adesso la costruzione di un sindacato democratico, unitario, autonomo e indipendente, per cui sulla questione dell’incrocio del secondo livello, laddove ovviamente abbiamo presentato la griglia precontrattuale approvata dai lavoratori, un sindacato che è un sindacato democratico e unitario non ha nessuna difficoltà a costruire una piattaforma comune dove ci siano anche gli obiettivi del precontratto, e a proporre agli altri che questa piattaforma sia comune o le diverse opzioni siano sottoposte al voto dei lavoratori in entrata e in uscita, siano gli altri – se vogliono – a dire che loro presentano una loro piattaforma separata perché non sono d’accordo di far votare i lavoratori.

Ne abbiamo parlato ieri sera per la Fincantieri ma questo è il rapporto su cui noi, del resto, abbiamo anche aperto con Fim e Uilm nel modo che ho già detto nella relazione, la possibilità e la necessità di definire un ambito di regole democratiche.

Insisto sempre nell’ambito della scelta che abbiamo compiuto di regole democratiche che in quanto tali sono unitarie.

L’ultima questione che volevo riprendere è relativa alla tragica situazione internazionale; quando dico clima di guerra non lo dico riferito soltanto a fattori esterni ma il clima di guerra porta a una restrizione dell’esercizio della democrazia e dello stesso conflitto sociale dei paesi che ne sono coinvolti.

Se dovesse andare avanti una situazione internazionale di questa natura non è che parliamo – che sarebbe di per sé già sufficiente – della tragedia, delle vittime, di chi viene colpito ecc., cambia tutto, anche su altri versanti.

Quello che sta succedendo negli Stati Uniti sul terreno della democrazia e dei diritti è molto preoccupante, è parte di questo processo, e questa è una ragione in più per affermare la necessità di rilanciare la nostra iniziativa per la pace con le caratteristiche che prima dicevo.

Per queste ragioni e per i passaggi che abbiamo di fronte c’è la necessità di arrivare all’Assemblea statutariamente prevista, tenuto conto che l’ultima volta che si è riunita è stato per varare la piattaforma contrattuale.

È necessario che la stessa Assemblea a questo punto faccia una discussione a tutto campo sulle scelte che abbiamo compiuto, il percorso intrapreso e i problemi che si pongono per sviluppare ulteriormente la nostra iniziativa a partire dalle decisioni che oggi assumiamo.

Lo ritengo un fatto importante e necessario, non mi sono dimenticato né che le 8 ore di sciopero dette e annunciate in piazza devono essere decise da questo Comitato centrale – visto che qualcuno lo ha richiamato ed è sempre possibile, ovviamente, smentire quello che ha detto il Segretario generale in piazza – né che c’è un impegno per quanto riguarda la consultazione degli iscritti, secondo le regole congressuali, già votato da questo Comitato centrale.

Nella discussione si è riproposta la questione del congresso, sarebbe sciocco se dicessi che i compagni non conoscono la mia opinione, nel senso che mi pare abbastanza nota da qualche mese a questa parte. Credo che le questioni che ho richiamato, i nodi strategici che ho messo prima in fila sono tali che richiedono una discussione di questo respiro e di questa dimensione, però non è l’Assemblea che decide sulla questione del congresso, proprio statutariamente, la questione rispetto al congresso la decide il Comitato centrale ed è questo Comitato centrale che a un certo punto, in tempi brevi, dovrà decidere. O si fa la consultazione degli iscritti secondo le regole congressuali, così come è già stato votato, oppure se quel tipo di consultazione, visto che il problema è già stato posto, si trasforma in un momento congressuale vero e proprio.