Dipendente può rifiutarsi di lavorare se il datore non adotta le misure di sicurezza

Cassazione, sez. lavoro, sentenza 07.11.2005 n° 21479

 

L'ipotesi del sopravvenuto venir meno in modo totale o parziale della prestazione lavorativa tale da giustificare il licenziamento ex art. 18 l . 300/1970 per giusta causa o per giustificato motivo ai sensi dell'art. 3 l . 604/1996 non è ravvisabile se il mancato o non completo adempimento del lavoratore trova giustificazione nella mancata adozione da parte di datore di lavoro delle misure di sicurezza che, pur in mancanza di norme specifiche, il datore è tenuto ad osservare a tutela dell'integrità fisica e psichica del prestatore di lavoro e se quest'ultimo prima dell'inadempimento secondo gli obblighi di correttezza informa il datore di lavoro circa le misure necessarie da adottare a tutela dell'integrità fisica e psichica del lavoratore, sempre che tale necessità sia evidente o, comunque, accertabile o accertata.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21479 del 7 novembre 2005, ricordando che nei contratti a prestazioni corrispettive, quando una delle parti giustifica il proprio inadempimento con l'inadempimento dell'altra, occorre procedere alla valutazione comparativa del comportamento dei contraenti non soltanto in riferimento all'elemento cronologico delle rispettive inadempienze, ma anche in relazione ai rapporti di causalità e di proporzionalità di tali inadempienze rispetto alla funzione economico-sociale del contratto al fine di stabilire se effettivamente il comportamento di una parte giustifichi il rifiuto dell'altra di eseguire la prestazione dovuta, tenendo presente che va accertata la sussistenza della gravità dell'inadempimento cronologicamente anteriore, perché quando questo non è grave, il rifiuto dell'altra parte di adempiere non è di buona fede e, quindi, non è giustificato.

(Altalex, 17 novembre 2005)

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

SENTENZA 7 novembre 2005, n. 21479

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO  

Con ricorso depositato in data 9 marzo 2001 Marco M. conveniva in giudizio davanti al giudice del lavoro presso il Tribunale di Verbania la società Autostrade Concessioni s.p.a. chiedendo che venisse dichiarata, con le conseguenze di legge, la illegittimità del licenziamento intimatogli con lettera del 30 novembre 2000.

A giustificazione della domanda esponeva di avere lavorato alle dipendenze della convenuta con mansioni di esattore presso il casello di Castelletto Ticino e che, avendo subito tra i mesi di giugno e luglio 2000 ben tre rapine a mano armata durante il turno notturno, aveva chiesto inutilmente alla società datrice di lavoro l'adozione di misure idonee a garantire e tutelare la sicurezza dei lavoratori addetti al casello e, quindi, dopo avere del pari inutilmente diffidato la società, aveva comunicato di volersi astenere dal lavoro con diritto alla retribuzione a decorrere dal 15 ottobre 2000, ricevendo come risposta la contestazione dell'assenza ingiustificata e l'intimazione del licenziamento.

Con sentenza in data 19 settembre 2001 il giudice adito rigettava la domanda del lavoratore.

Con sentenza in data 10 maggio-6 giugno 2002 la Corte d'appello di Torino rigettava l'appello del M. osservando che ai fini della decisione della controversia non fosse determinante accertare se le misure di sicurezza adottate dalla società datrice di lavoro fossero pienamente idonee a garantire la sicurezza dei lavoratori o se, invece, ne fossero individuabili altre maggiormente efficaci, perché, anche qualora fosse stato accertato un parziale inadempimento del datore di lavoro agli obblighi derivanti dall'art. 2087 c.c., il rifiuto totale della prestazione lavorativa da parte del lavoratore non sarebbe stato comunque proporzionato al parziale inadempimento del datore di lavoro e non sarebbe stata, perciò, applicabile la scriminante di cui all'art. 1460 c.c.

La Corte territoriale aggiungeva, altresì, che anche a volere ritenere fondato l'addebito mosso dal lavoratore alla società Autostrade di non avere adeguatamente provveduto a tutelare la sicurezza dei propri dipendenti per i rischi extralavorativi in violazione dell'art. 2087 c.c., tale inadempimento non avrebbe potuto essere considerato grave sia perché si trattava di un inadempimento relativo a uno solo dei profili di tutela della sicurezza dei lavoratori e sia perché non poteva essere addebitata alla società Autostrade la totale assenza di misure di sicurezza ma, eventualmente, soltanto la mancata adozione di misure di sicurezza più idonee e non facilmente individuabili.

Marco M. ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Torino con due motivi.

La Autostrade Concessioni s.p.a. resiste con controricorso e ha presentato in udienza memorie di replica contro le conclusioni del Procuratore Generale.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE  

Con il primo e il secondo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto logicamente connessi, il ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. in relazione all'art. 1460, violazione e falsa applicazione dell'art 1460 c.c., nonché omessa motivazione su tali punti decisivi della controversia, deduce che soltanto in occasione delle successive rapine verificatesi sempre alle stesso casello e in occasione delle quali l'esattore era stato ferito con un colpo di arma da fuoco, la società si era decisa a blindare il casello, proprio come ripetutamente o inutilmente egli aveva auspicato.

Aggiunge che sul punto la Corte d'appello di Torino era stata carente nella motivazione affermando che in difetto di una idonea tutela dell'incolumità del lavoratore e dei numerosissimi episodi di rapina verificatisi, la mancata adozione di tutte le cautele possibili potesse configurarsi come inadempimento parziale contrapposto all'inadempimento totale del lavoratore senza considerare, invece, che quest'ultimo non aveva potuto far altro che allontanarsi dal casello sino al momento in cui esso non fosse stato difeso.

Rileva, ancora, il ricorrente che la Corte d'appello di Torino non aveva correttamente valutato, ai fini della sussistenza della scriminante dell'inadempimento di cui all'art. 1460 c.c., il principio della correttezza e della buona fede, certamente sussistenti in capo al lavoratore, che prima di rifiutare la prestazione lavorativa, aveva invitato ripetutamente la società ad approntare misure di sicurezza più idonee a tutelare l'integrità fisica dell'esattore del casello, nonché quello della successione cronologica e della proporzionalità tra l'inadempimento della società e il rifiuto della prestazione lavorativa, posto che l'adempimento richiesto alla società concerneva misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore.

Su tale punto, conclude il ricorrente, andava adeguatamente accertata la sussistenza della gravità dell'inadempimento del datore di lavoro idonea a giustificare l'inadempimento del prestatore di lavoro.

Invece la corte territoriale aveva ritenuto che la totale inadempienza del lavoratore escludesse la scriminante di cui al citato art. 1460 omettendo, in tal modo, di motivare sulla gravità dell'inadempimento della società, attinente alla integrità fisica del lavoratore e idonea, perciò, a giustificare l'inadempimento di quest'ultimo.

Il ricorso è fondato.

Nei contratti a prestazioni corrispettive, quando una delle parti giustifica il proprio inadempimento con l'inadempimento dell'altra, occorre procedere alla valutazione comparativa del comportamento dei contraenti non soltanto in riferimento all'elemento cronologico delle rispettive inadempienze, ma anche in relazione ai rapporti di causalità e di proporzionalità di tali inadempienze rispetto alla funzione economico-sociale del contratto al fine di stabilire se effettivamente il comportamento di una parte giustifichi il rifiuto dell'altra di eseguire la prestazione dovuta, tenendo presente che va, in primo luogo, accertata la sussistenza della gravità dell'inadempimento cronologicamente anteriore, perché quando questo non è grave, il rifiuto dell'altra parte di adempiere non è di buona fede e, quindi, non è giustificato (v. pronunce di questa Corte 4743/1998; 10668/1999; 699/2000; 8880/2000 ecc.). Va inoltre, aggiunto che il requisito della buona fede previsto dall'art. 1460 c.c. per la proposizione dell'eccezione inadimplenti non est adimplendum sussiste quando, nella comparazione tra inadempimento cronologicamente anteriore e prestazione corrispettiva rifiutata, il rifiuto sia stato determinato non solo da un inadempimento grave, ma anche da motivi corrispondenti agli obblighi di correttezza che l'art. 1175 c.c. impone alle parti in relazione alla natura del contratto e alle finalità da questo perseguite (v. pronuncia di questa Corte 4743/1998).

In particolare con riferimento al contratto di lavoro l'ipotesi del sopravvenuto venir meno in modo totale o parziale della prestazione lavorativa tale da giustificare il licenziamento ex art. 18 l . 300/1970 per giusta causa o per giustificato motivo ai sensi dell'art. 3 l . 604/1996 non è ravvisabile se il mancato o non completo adempimento del lavoratore trova giustificazione nella mancata adozione da parte di datore di lavoro delle misure di sicurezza che, pur in mancanza di norme specifiche, il datore è tenuto ad osservare a tutela dell'integrità fisica e psichica del prestatore di lavoro e se quest'ultimo prima dell'inadempimento secondo gli obblighi di correttezza informa il datore di lavoro circa le misure necessarie da adottare a tutela dell'integrità fisica e psichica del lavoratore, sempre che tale necessità sia evidente o, comunque, accertabile o accertata.

Ciò premesso, va, intanto, osservato che è erronea l'affermazione della corte territoriale, secondo la quale l'obbligo del datore di lavoro di assicurare al lavoratore misure di sicurezza idonee a garantirgli la integrità fisica e morale nell'adempimento della prestazione lavorativa avrebbe avuto ad oggetto un rischio di natura extra-lavorativa.

Il rischio denunciato dal lavoratore, invece, era lavorativo, posto che trovava occasione nell'adempimento della sua prestazione.

Pertanto, al fine di stabilire quale sia l'inadempimento colpevole e quale quello incolpevole occorre procedere necessariamente a una comparazione tra l'inadempimento cronologicamente anteriore e quello cronologicamente successivo al fine di valutare la gravità del primo, in relazione alla funzione socio-economica del contratto, come conseguenza giustificata o giustificabile dell'inadempimento del secondo.

Tale giudizio di prevalenza o di equivalenza tra i due contrapposti inadempimenti contrattuali costituisce un accertamento di fatto, in quanto tale non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione esauriente e immune da vizi logici e giuridici.

Nella specie, invece, la Corte d'appello di Torino ha esaminato la comparazione delle inadempienze in base al criterio quantitativo e non già a quello qualitativo ossia ha comparato i due contrapposti inadempimenti non già in riferimento alla loro natura e gravità, bensì alla totale o parziale mancata esecuzione delle fondamentali prestazioni corrispettive del contratto di lavoro.

In riferimento alla scriminante di cui all'art. 1460 c.c. andava invece valutata la natura della complessiva obbligazione incombente sul datore di lavoro e comprendente anche l'obbligo di adozione di tutte le misure di sicurezza idonee ad assicurare la tutela dell'integrità fisica del lavoratore in relazione all'organizzazione dell'azienda.

Una volta accertata l'inosservanza di tale obbligo di adozione delle misure di sicurezza, avrebbe dovuto esser cura del giudice di merito accertare, a sua volta, previo libero apprezzamento delle risultanze di tutte le circostanze evidenziate dai testi o da ritenere acquisibili al processo se non come fatti notori (successive rapine allo stesso casello in occasione delle quali sono stati feriti esattori ivi addetti e successiva adozione delle misure di sicurezza già richieste dal M.) quanto meno se e come fatti non contestati, se fosse stata o no giustificata secondo correttezza e buona fede la risposta di inadempimento del lavoratore.

Pertanto, in accoglimento del proposto ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di Genova, la quale si uniformerà, nella definizione della controversia, ai principi di diritto sopra sottolineati e sorreggerà la decisione con motivazione esauriente e immune dai vizi logici e giuridici in cui è incorsa la Corte d'appello di Torino e sopra evidenziati.

 P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di Genova.