Il commento della Fiom-Cgil sulle motivazioni della sentenza delle morti per amianto alla Dalmine E’
una sentenza che fa giustizia. Troppe
volte si sono viste sentenze (per ultima quella di Porto Marghera) che hanno
mandato assolti i dirigenti delle aziende “ perché non si sapeva”, perché
le misure di protezione sarebbero state comunque “inutili”, perché non era
dimostrato con assoluta certezza che una certa neoplasia dipendeva solo da
quell’agente cancerogeno o dalla quantità della esposizione, così che
l’”evento lesivo” doveva collocarsi tanto tempo fa, e il reato quindi
doveva considerarsi “prescritto”
commenta Mirco Rota della Segreteria FIOM CGIL Bergamo. Il
tempo non può cancellare questi reati. Lo sviluppo industriale italiano nel
dopoguerra è stato tumultuoso e selvaggio. Non ci si è mai curati della salute
dei lavoratori. Era l’ultimo pensiero. L’amianto, si sapeva che era
cancerogeno, a livello mondiale, dal 1964. Ma
era il coibente termico più efficace ed economico, Ve ne erano altri, più
costosi, troppo costosi. Meglio
non dire niente, ignorare la nocività, non informare i lavoratori. Il rischio
non era troppo elevato: 3% al massimo, tre lavoratori su cento. Non era un
grande rischio. Quanti
morti ha significato alla Dalmine, come in altre aziende, all’Italcementi,
alla Nuova Sacelit? Quanti
morti significherà ancora, considerato che questa terribile neoplasia da
amianto, il mesotelioma pleurico o peritoneale, può avere una latenza anche di
cinquanta anni, che può essere stato contratto da lavoratori negli anni
cinquanta e sessanta? Non si sanno neppure tutte le morti avvenute nella nostra
provincia. Non sono pubbliche. L’INAIL non fornisce gli elenchi, per ragioni
di riservatezza. Chi
muore spesso non sa neppure che muore per colpa della Ditta che non lo aveva
informato, che la sua morte poteva essere evitata. I parenti spesso si
rassegnano, come a un destino fatale, o per atavica soggezione all’autorità
dell'imprenditore. Se
è stato possibile fare un po’ di giustizia, come in questa sentenza, è perché
il Sindacato ha iniziato questa battaglia contro l’amianto trenta anni fa,
agli inizi degli anni settanta, cominciando dalla Nuova Sacelit di Calusco, e
via via nelle altre aziende, sino alla Dalmine all’inizio degli anni ’80
contribuendo ad imporre la dismissione dell’amianto, avvenuta nel 1992, sempre
secondo Mirco Rota della Fiom Cgil di Bergamo. Così
i lavoratori hanno cominciato a
sapere, a chiedere, interrogarsi, rivendicare i propri diritti, intentare le
prime cause, iniziate negli anni novanta. E’
in corso un’altra battaglia, quella per il riconoscimento del pensionamento
anticipato o di un aumento della pensione per chi è stato esposto
all’amianto: una battaglia sacrosanta, nonostante probabilmente qualche abuso
possa essersi verificato. Spiace
che a Bergamo dei delegati sindacali che si sono adoperati, senza alcun
tornaconto personale, per aiutare i lavoratori esposti ad ottenere i benefici
previdenziali, siano stati messi sotto processo per due o tre pensioni forse non
dovute. Tutti
quelli che sono stati esposti avrebbero dovuto avere i benefici
proporzionalmente al periodo di esposizione e non solamente se superavano i
dieci anni. E tutti alla Dalmine sono stati esposti all’amianto, con i
terribili rischi neoplasici che conosciamo. Ed
è giusto che la società risarcisca questi lavoratori, vittime di una sviluppo
industriale distorto, incurante della salute dei lavoratori.
La battaglia per la salute dei lavoratori deve continuare, in ogni
azienda. Come
deve continuare la battaglia di coloro che rivendicano giustamente il diritto al
risarcimento di vite spezzate e di famiglie che piangono morti
che si potevano evitare. 4 ottobre 2005 Per Mirco Rota |