Dalle Commissioni interne alle Rsu come sono cambiate le forme della rappresentanza dei
lavoratori di Gino Mazzone e Claudio Scarcelli Le forme della rappresentanza dei diritti e degli
interessi dei lavoratori in Italia hanno subìto, nel corso degli anni,
notevoli e profonde modificazioni. Prima di arrivare all’assetto odierno, alle Rsu, si
sono succedute, nell’arco di un secolo circa, altre forme di
rappresentanza, tra loro anche molto diverse, alcune delle quali hanno
segnato decenni di storia del movimento operaio – le commissioni
interne e i consigli di fabbrica – altre che hanno avuto vita più
breve – i consigli di gestione, ecc. Il primo accenno alle commissioni interne avviene nel
1906 con il contratto tra Esse vennero abolite fra il 2 ottobre 1925 – con il
Patto di palazzo Vidoni, a Roma, stipulato fra Gli accordi che intervengono successivamente in materia
– sottoscritti il 7 agosto 1947, l’8 maggio 1953 e il 18 aprile 1966
– formalmente riducono sempre di più i compiti e i poteri delle
commissioni interne, soprattutto in materia contrattuale, anche se nella
realtà essi rimangono consistenti. Il punto di forza delle commissioni interne era
sicuramente il fatto di essere una rappresentanza unica e democraticamente eletta da tutti
i lavoratori mentre la debolezza della struttura è individuabile nel
rischio di aziendalismo o, nella peggiore delle ipotesi, di “collaborazionismo”
e per questa via della perdita dell’orientamento sindacale. Le sezioni
sindacali aziendali (sas), istituite con un percorso iniziato a
metà degli anni Cinquanta e concluso con il V Congresso della Cgil del
1960, rappresentantarono una sorta di anello di congiunzione fra il
movimento sindacale e la vita aziendale. Tali strutture – che non
furono mai riconosciute da accordi interconfederali – ebbero,
tuttavia, molte difficoltà ad assumere un ruolo ben determinato nei
riguardi delle commissioni interne le quali erano presenti in quasi
tutti i luoghi di lavoro venendo pertanto accettate e riconosciute dalle
controparti aziendali. Le sas, quindi, assicurarono la presenza del
sindacato nella fabbrica a livello organizzativo ma quasi mai
politico-contrattuale, ruolo che veniva nella pratica svolto dalle
commissioni interne. Nonostante a un certo punto In quegli stessi anni il dibattito sulla democrazia
sindacale (avviato dalla Fiom all’interno della confederazione), sulla
necessità di avere dei rappresentanti delle confederazioni eletti
direttamente dai lavoratori e non più nominati dai sindacati
provinciali e, parallelamente, i cambiamenti strutturali avvenuti nell’organizzazione
della produzione (con le fabbriche divise in reparti completamente
autonomi gli uni dagli altri) portarono alla necessità di una
rappresentanza diretta più articolata di quanto potesse essere la
commissione interna. Arrivò quindi il momento dei consigli di fabbrica, strutture
molto popolari negli anni della contestazione che concretizzavano il
crescente movimento dei delegati. I cdf diedero alla vita sindacale in
fabbrica una spinta democratica maggiore delle commissioni interne, per
la maggior parte delle quali l’elezione rappresentava l’unico
momento di partecipazione dei lavoratori. Con i consigli di fabbrica – che nel Congresso del ’70 Il 1970 rappresenta un punto di svolta fondamentale: il
20 maggio viene ratificata Per tutti gli anni Settanta e i primi anni Ottanta, con
l’unità di Cgil, Cisl e Uil e l’avvento della Flm per la categoria
dei metalmeccanici, i problemi di rappresentanza furono superati grazie
alla presenza di un’unica sigla sindacale. Quando però, verso la
metà degli anni Ottanta si conclude l’esperienza unitaria, viene
riavviato il confronto interno alle confederazioni alla ricerca di nuovi
modelli di rappresentanza (ad esempio si provò con i cars, consigli
aziendali delle rappresentanze sindacali). Per almeno un biennio furono eletti (Fiom, Cgil) e
nominate (Fim, Uilm) le Rsa come da Legge 300 finché Fim, Fiom e Uilm
cercarono, attraverso regolamenti interni tra loro concordati (nel 1986
e nel 1988) di realizzare una sintesi tra la forma di rappresentanza dei
consigli di fabbrica e quanto stabilito dalla Legge 300 che desse
garanzie di presenza alle sigle presenti nelle fabbriche. Si arriva, quindi, nel 1991 all’intesa-quadro tra Cgil, Cisl e Uil ripresa nel 1993 dal Protocollo di luglio – sottoscritto da governo, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil – che introduce le rappresentanze sindacali unitarie (Rsu), la cui composizione «…deriva per 2/3 da elezione da parte di tutti i lavoratori e per 1/3 da designazione o elezione da parte delle organizzazioni stipulanti il Ccnl, che hanno presentato liste, in proporzione ai voti ottenuti». Questa è ancora oggi la normativa vigente – riportata
in queste pagine – alla quale bisogna attenersi per eleggere le
rappresentanze sindacali unitarie e regolarne lo svolgimento. |