Roma,
9 novembre 1990:
Nel
1990 la preparazione della piattaforma rivendicativa fu dura e travagliata,
segnata da divisioni e rivendicazioni tra le organizzazioni sindacali. Quando fu
varata, la Federmeccanica manifestò intenzioni dilatorie mentre si annunciavano
i primi segnali di un cambiamento negativo della congiuntura economica. Gli
scioperi iniziarono a maggio, seguirono con le due manifestazioni di Napoli e
Milano e culminarono con la manifestazione nazionale dei metalmeccanici a Roma
il 9 novembre 1990, presenti in 250.000. L'accordo fu firmato finalmente il 14
dicembre 1990. I principali contenuti dell'accordo riguardavano 16 ore annue di
ulteriore riduzione d'orario, il rafforzamento dei diritti di informazione,
l'istituzione di commissioni per le pari opportunità a livello nazionale e
territoriale, aumenti retributivi. L'accordo
lasciò amareggiati i lavoratori che giudicarono insufficienti i risultati
raggiunti rispetto alle richieste formulate: solo l'aumento salariale era in
parte corrispondente alle richieste. I risultati erano scarsi a cominciare
dall'orario, nella parte normativa, inoltre, si evidenziava un arretramento. «Il
segretario generale della Cgil Bruno Trentin definiva il rinnovo contrattuale
dei metalmeccanici "un errore politico di prima grandezza commesso da tutto
il sindacato" e rilevava come la piattaforma fosse sbagliata perché di
fatto impostata su una "mera sommatoria" e che "la condotta della
vertenza era stata tutt'altro che esente da errori". La chiusura
contrattuale apriva perciò nella Fiom una delle crisi più difficili e
complicate del dopoguerra. La crisi non era però solo della Fiom: era di tutta
la Cgil nel suo complesso, anche se nella Fiom particolarmente acuta.» (Fiom.
Cento anni di un sindacato industriale,
pag. 273) Si
crearono all'interno della Cgil e della Fiom delle nette divisioni che presero
forma nell'ottobre del '91, al XII Congresso della Cgil e, ancor più, al XX
Congresso della Fiom. «Cento anni di storia dei metallurgici e quasi cento anni
di storia della Fiom stanno a confermare come la dialettica delle posizioni che
nascono e si misurano nel sindacato, costituisca fin dalle origini la linfa
vitale dell'organizzazione, malgrado le lacerazioni dolorose e talvolta
drammatiche. Con la stessa dialettica avanza anche il progresso sociale, in una
dinamica mai lineare o priva di strappi, e della quale non è sempre facile
cogliere nell'immediato, con la necessaria chiarezza, le motivazioni di fondo.»
(Fiom.
Cento anni di un sindacato industriale,
pag. 277) «Grazie
a "Samarcanda" [trasmissione di attualità politica e sociale, in
onda in prima serata e condotta da Michele Santoro] la sera del 25 ottobre i
telespettatori hanno potuto rendersi conto di quali sentimenti siano oggi
prevalenti fra i metalmeccanici italiani. Amarezza e rabbia, appena dissimulate
dietro una grande civiltà di modi. Con
un contratto scaduto da dieci mesi i metalmeccanici sanno di avere ragione.
(…) …
l'Italia, quasi in silenzio, giorno dopo giorno, è diventata un paese ricco e
moderno. (…) Ma
eccoli i metalmeccanici di questa Italia opulenta: eccoli i lavoratori del
capitalismo reale. Dalle loro mani, meglio dalle macchine che loro manovrano,
controllano, dirigono sono usciti frigoriferi e forchette, auto e aerei, tubi e
catenine, televisori e telefoni, robot e macchine a controllo numerico, macchine
da scrivere e personal computer. Ma di tutto questo lavoro, a loro cosa resta in
mano? Pochi spiccioli e una vita ancora troppo dura. (…) I
telespettatori hanno visto e udito. I
giovani dell'Alfa Sud si fanno intervistare dalla Rai solo con immagine oscurata
e voce contraffatta, proprio come l'industriale campano ricattato dalla camorra.
Quest'ultimo ha paura di una rappresaglia banditesca, loro di essere licenziati
allo scadere dei 18 mesi previsti dal contratto. Ora, quando uno ha paura a dire
in pubblico quello che pensa, non ci troviamo di fronte a un diritto negato? (…)
Il mancato rinnovo del contratto dei metalmeccanici è ormai uno scandalo
politico di prima grandezza.» (tratto da un articolo di Fernando Liuzzi, in «Meta»,
anno VI, nn. 9-10, settembre-ottobre 1990) |