Roma,
2 dicembre
1977: «La
mattina del 2 dicembre c'era un vento gelido che tagliava la faccia. Una di
quelle giornate di tramontana e di luce limpida che non sono rare negli inverni
romani. Duecentomila lavoratori, disoccupati, giovani parteciparono alla
manifestazione. Una prova di forza pacifica e democratica. Alcune provocazioni
degli autonomi furono controllate senza difficoltà e tutto si svolse senza
incidenti. In piazza S. Giovanni parlammo io, per la Flm, e Carniti, per le
confederazioni. I metalmeccanici avevano vinto un'altra sfida. I primi a
riconoscerlo furono coloro che non avevano nascosto perplessità o dissensi.
Napolitano mi telefonò a casa a notte fonda per complimentarsi per il successo.
Il giorno dopo "l'Unità" titolava: "Una forza operaia
immensa".» (in Pio
Galli. Da una parte sola, pag. 176)
Nel
maggio del 1977 a Bologna si tenne il XVI Congresso Fiom, a sette anni di
distanza dal precedente; Pio Galli successe a Bruno Trentin; centrali restavano
ancora le questioni riguardanti l'impegno verso il Mezzogiorno, la richiesta di
una programmazione democratica, lo sviluppo della politica aziendale. Dopo
lo sciopero generale di 8 ore del 15 novembre di tutte le categorie
dell'industria e di intere regioni, con la manifestazione del 2 dicembre 1977,
che vide a Roma 250.000 metalmeccanici, la Flm tentava di forzare i tempi e
contrastare l'evasività delle risposte del governo Andreotti sul piano delle
riforme e richiedeva una decisa svolta politica ed economica che assumesse come
centrale l'obiettivo occupazionale. Fu
una manifestazione per alcuni versi nuova, non basata su obiettivi di lotta
contrattuale ma sulla proposta di obiettivi nuovi di politica economica, di
lotta alla recessione. Fu una manifestazione che portò con sé la «coscienza
della gravità del momento: l'attacco all'occupazione, il taglio al potere
d'acquisto del salario, le condizioni dei "non garantiti", giovani
disoccupati, studenti, donne. «"Non
è stata certo una scampagnata" - è il commento pressoché unanime dei
compagni che sono andati a Roma. È singolare la chiarezza e la univocità della
risposta, che venga dalle grandi aziende o da quelle decine di piccole fabbriche
che non s'erano mai viste finora agli altri raduni dei metalmeccanici, e che il
2 dicembre erano invece presenti a Roma; o che venga dai grandi agglomerati
industriali del Nord o dalle "cattedrali" del Sud: "Non siamo
andati a fare coreografia né per cavarci il gusto di un fine settimana nella
capitale. C'è qualcosa da dire (al governo, ai partiti alle forze politiche e
sociali, agli stessi giovani e studenti, forza ribollente ed esplosiva guardata
con interesse ma anche con apprensione, in fabbrica) e sapevamo che per dirlo
non bastava lo sciopero o anche la manifestazione in sede. Bisognava dimostrare
che siamo pronti a pagare un prezzo per ottenere ciò che chiediamo: anche
magari il prezzo fisico del disagio e quello economico della spesa
(considerevole entrambi in molti casi, come per i compagni di Siracusa costretti
a viaggiare due giorni e due notti), perché la nostra presenza fisica a Roma
acquistasse un peso risolutivo".
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