Roma,
22 novembre 1996:
«I treni, come al solito, sono partiti nella notte. E all'Ostiense, alla Tiburtina, a Termini sono arrivati di primissima mattina», 1.700 pullman e 24 treni. «A Roma, per tutti, una soddisfazione, il tempo tiene, mica piove. "Per forza - fa uno in piazza Esedra - abbiamo fatto l'accordo stanotte". Sghignazzi. Scherzi e battute continuano a rotolare giù per via Cavour. A ritmo di "macarena": "Roma Fregene Fiumicino Maccarese, va firmato il contratto delle imprese".» (tratto dall’articolo 300mila in piazza di Emanuela Risari, «l'Unità», 23 novembre 1996)
«Sorride il leader della Fiom-Cgil, Claudio Sabattini mentre osserva la piazza stracolma dal palco di piazza San Giovanni, mentre abbraccia Fausto Bertinotti e Massimo D'Alema, mentre saluta i lavoratori per strada e risponde: "Ce lo firmano, ce lo firmano". "Tra le grandi manifestazioni nazionali - commenta - questa ha avuto un pregio nuovo e importante per tutto il sindacato. La stragrande maggioranza di coloro che affollavano piazza San Giovanni erano giovani, uomini e donne. I lavoratori delle piccole e medie aziende insieme a quelli delle grandi fabbriche, per un grande segno di riconoscimento che contrassegna la fine degli anni Novanta e che permetterà la nascita, in Italia, di un nuovo sindacato, democratico, concreto, legato agli interessi di chi oggi era in piazza. (…) La battaglia che oggi il sindacato sta facendo è prima di tutto per la riconquista della sua libertà di fare e, quindi, di essere un soggetto fondamentale in grado di riequilibrare i poteri forti che per la loro assoluta centralizzazione diventano sempre più inquietanti. Penso alle grandi imprese, alle grandi finanziarie, e anche a quei gruppi burocratici di potere che rallentano ogni possibile rinnovamento della società. (…) Questa è una battaglia tra poteri, all'interno della quale il potere sindacale dei lavoratori rappresenta il vero ostacolo a qualsiasi ipotesi di società autoritaria. Io non credo che il problema che abbiamo di fronte sia quello delle risorse monetarie per fare il contratto. Al contrario, le imprese si propongono una generale flessibilità del salario, ovviamente verso il basso. È per questo che da due mesi conducono una battaglia frontale contro il sindacato. Le ragioni sono sia di ordine politico che di ordine sociale. L'aggressività reazionaria della destra, l'uscita del Parlamento, la liquidazione delle regole democratiche che non sono state mai così violate, si connettono perfettamente al tentativo di Federmeccanica e Confindustria di liquidare ogni relazione sociale e costituire il proprio assoluto potere nelle fabbriche e nell'economia per gestire i passaggi epocali che stiamo vivendo e la prospettiva della moneta unica. In campo c'è dunque una battaglia politica generale. Ecco perché la partecipazione dei leader dei partiti della maggioranza alla manifestazione dei metalmeccanici. Partecipazione che dimostra essenzialmente la condivisione di una battaglia comune. Tornando al tema degli incentivi, il governo è il protagonista essenziale in grado di progettare una nuova qualità dello sviluppo per l'industria italiana. È solo in questa logica che gli interventi hanno senso e ragione."» (tratto dall’articolo Sabattini, Fiom: “Una lotta tutta politica” di Donatella Francesconi, «Liberazione», 23 novembre 1996) «È stato il giorno del contratto, di quelle 262 mila lire chieste dai metalmeccanici agli imprenditori. E che per la Confindustria, invece, sono troppe, capaci di far balzare l'inflazione su su fino al 4-5 per cento». (da «la Repubblica», 23 novembre 1996) «Sul
palco Trentin: "Oggi la sinistra ritrova le sue radici, in difesa di un
sistema di regole e diritti"; "I patti vanno rispettati, è una
questione di principio - incalza D'Alema - il sostegno ai metalmeccanici unisce
tutte le forze di governo". Bertinotti stringe il tiro e inneggia alla
battaglia comune delle sinistre in difesa delle rivendicazioni coerenti delle
tute blu. Si rivolge direttamente al governo, il leader della Cgil, Sergio
Cofferati: "Non chiediamo una mediazione, ma è venuto il momento che il
governo dimostri esplicitamente di voler difendere l'accordo del luglio '93
sulla politica dei redditi". (…) E anche Sabattini ritorna sul governo
incitando Prodi a pronunciarsi "perché è garante dell'accordo del luglio
'93, non è super partes". E il
governo risponde subito in coro. Per Prodi "entro otto giorni ci dovrà
essere un riavvicinamento fra le parti". Così per Veltroni: "È
arrivato il momento per convocare le parti. Siamo pronti a intervenire con
l'intento di andare a una soluzione in coerenza con l'accordo tra governo e
parti sociali del luglio '93.» (tratto dall’articolo La sfida dei
metalmeccanici di Paolo Patruno, «La stampa», 23 novembre 1996). L'accordo
per il rinnovo della parte economica del contratto fu firmato il 4 febbraio del
1997, dopo 45 ore di sciopero, in conformità alla nuova proposta formulata dal
governo. «Non era oramai superata (che dico, scomparsa) la centralità operaia? Non erano i lavoratori dell'industria così garantiti che più garantiti non si può? Ingordi fruitori di pensioni d'anzianità e prepensionamenti rinominati a sproposito "baby pensioni"; corporativi, ostili alla flessibilità, adagiati nella comoda nicchia del posto fisso; irresponsabili scioperaioli contro il lavoro al sabato o alla domenica, retaggio di un tempo antico che non fa i conti con la mondializzazione, il mercato globale, la competitività…Insomma, egoisti questi lavoratori, a non voler riconsegnare tutti i "privilegi" acquisiti, così egoisti da non pensare al futuro dei propri figli. Balle. Balle da far vergogna. Eppure, parola d'onore, balle pronunciate e da più d'uno. Non un cane che, nei giorni delle polemiche bugiarde sulle pensioni, si ricordasse delle lotte lunghe e faticose del movimento operaio, e di questa categoria che del movimento operaio è cuore e motore. Non un cane che si leggesse le statistiche che danno i lavoratori italiani secondi, per produttività, solo agli statunitensi. Ci hanno provato a umiliare i metalmeccanici. Hanno provato a renderli "invisibili e corporativi". Loro - che forse hanno qualche marcia in più degli altri - hanno faticosamente e quotidianamente lavorato alla costruzione dello sciopero generale e della manifestazione, riconsegnando piazza San Giovanni alla classe operaia. Dall'ultima volta erano passati sei anni. Sono tornati e hanno riportato in piazza il sindacato industriale, la condizione in fabbrica. Uguali e diversi dal passato: insieme a tanti volti operai (compagne e compagni di lunghe lotte e di lungo lavoro), una marea di giovani, di ragazze e di ragazzi. Questa nuova, giovane classe operaia metalmeccanica ha raccolto interamente e naturalmente le forme e le parole di lotta della tradizione dei salariati: non ricordi della classe più anziana, ma vissuto quotidiano della stessa condizione di lavoro. È a partire da essa che torna il conflitto. È a partire da essa che si sciopera e si scende in piazza. E infatti è tornata in piazza la fabbrica: i tempi, i ritmi, la catena, il cottimo, il salario, la salute; e insieme l'alienazione delle tecnologie, l'isolamento operaio nei reparti dove il computer ha sostituito masse ingenti di lavoratori, i diritti e la cittadinanza lasciati fuori dai cancelli. Eppure non aveva nulla di nostalgico la manifestazione di ieri. Era una violenta e limpida rappresentazione dello scontro di classe, del lavoro e dello sfruttamento. Troppo elementare per i palati difficili? Roma è stata ieri investita dal conflitto che divide i padroni e operai metalmeccanici. Conflitto serio, ché a sentire Federmeccanica bisogna smetterla di fare i contratti nazionali di lavoro. Conflitto aspro, dunque, ma con la possibilità che solo il conflitto offre di riunificare esigenze, istanze, differenze. È nella sua cancellazione che torna la divisione, il corporativismo, la frantumazione. Che si rapina la classe operaia. E non solo del contratto.» (La fabbrica in piazza, di Manuela Palermi, «Liberazione», 23 novembre 1996)
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