Roma, 22 giugno 1979:
decisi a conquistare il contratto

 

A sostegno della trattativa per il rinnovo contrattuale il 22 giugno 1979, duecentomila metalmeccanici sfilarono per le vie di Roma. Al comizio di S.Giovanni erano presenti Pio Galli, Bentivogli e Mattina non distolti né tanto meno scoraggiati dall’azione di Federmeccanica, che «per la prima volta nella storia delle relazioni sindacali del dopoguerra, citava in giudizio la Flm nelle persone dei suoi Segretari generali…, quali responsabili dell’adozione di metodi di lotta sindacale contrari alla legislazione e diretti a coartare la libertà della controparte riguardo alla stipula del nuovo contratto collettivo». (Fiom. Cento anni di un sindacato industriale, pag. 233)

I principali contenuti dell'accordo, siglato formalmente il 16 luglio, riguardavano: l'ampliamento dei diritti di informazione a livello regionale sugli andamenti produttivi e occupazionali che avrebbe potuto consentire un salto di qualità del mercato del lavoro, riduzioni d'orario, la definizione di una normativa sulla mobilità interaziendale, l’accentuazione posta sui problemi del decentramento oggetto di discussione a livello regionale, territoriale e aziendale, aumenti retributivi e un miglioramento normativo dell’inquadramento unico e degli scatti di anzianità operai. Pio Galli, Bentivogli e Mattina scrivevano: «Non c’è dubbio che il padronato abbia subìto una delle sconfitte più significative di questi ultimi dieci anni. Non solo perché ha tentato – e non è riuscito – di invertire una linea di tendenza che si era consolidata nelle esperienze contrattuali dal ’69 al ’76 e ancora di più nella contrattazione articolata; ma soprattutto perché ha tentato di rilanciare, sulla base di esperienze e dei modelli speciali dell’Europa capitalistica, uno schema di rapporti e di relazioni industriali (fondati sul ripristino di un’ideologia neo-liberistica) che avrebbero portato alla liquidazione secca delle strutture democratiche di base del sindacato, alla rottura dei rapporti tra sindacato e lavoratori, alla centralizzazione burocratica della gestione del sindacato. In una parola avrebbero totalmente snaturato il sindacato italiano allineandolo, nelle condizioni peggiori, ad altri modelli europei per noi discutibili. Tutto questo avrebbe avuto delle ripercussioni non solo nell’ambito delle strette relazioni industriali, ma avrebbe avuto un effetto decisivo sugli stessi contenuti della democrazia italiana, isterilendo i rapporti tra democrazia di massa e quadro istituzionale. L’intreccio, quindi, tra restaurazione sociale e restaurazione politica avrebbe trovato così un rilancio effettivo». (in «I Consigli», 1979).

Il contratto aprì la strada a una nuova fase di sviluppo del nostro paese: non risolse i problemi di occupati, disoccupati, giovani e donne emarginati, ma rese più urgente e concretamente possibile affrontare questi problemi. Continuavano i dirigenti della Flm: «Il dottor Carli, che è stato l’alfiere di una battaglia così importante e ha tenacemente difeso un disegno contemporaneamente neo-liberista e di corporativizzazione di tutta la società, ha visto sfumare e tramontare un’ipotesi che aveva cercato di ridefinire la Confindustria come un pilastro decisivo della politica economica e quindi in definitiva arbitra, anche sul piano tattico, degli indirizzi complessivi dello sviluppo sociale del paese». (in «I Consigli», 1979)

Tutto ciò fu impedito dalla determinazione, il rumore e la creatività della classe operaia che vinse sulle velleità padronali di giocare una piattaforma e sui tentativi di vincolare i risultati contrattuali sull’orario di lavoro a condizionamenti giuridici inaccettabili.

Il «paraorecchie» per non sentire

«Il paraorecchie è molto importante in una manifestazione. Chi ha sentito almeno una volta le macchine da rumore di Mirafiori, o i bidoni dell'Italsider, sa che andante con brio riescono a mettere insieme. I padroni, si sa, riguardo al rumore, sono un po' schizofrenici. Quando devono fare i piani di manutenzione dicono: "Ah sì, l'ambiente è rumoroso? non sento. Sì, c'è un ronzio, ma anzi tiene compagnia". Quando invece sentono suonare un solo campanaccio, si sentono subito male, hanno un attacco di nocività da rumore, gastriti, otiti, esaurimento nervoso. Per questo appena c'è nell'aria una manifestazione si mettono subito il paraorecchie. Magari non quello a cuffia, di serie. Un paraorecchie elegante, con stanghetta d'oro, o due delicati tappi di ovatta. Ma l'obiettivo è lo stesso: e cioè di non sentire. Far finta di niente. E siccome intorno al padronato c'è tanta gente in ammirazione, pronta a coglierne le invenzioni e le mode, ecco che si sparge subito la voce. “Avete visto Agnelli ha il paraorecchie” – “Dio, come è elegante” – “Anche Carli ce l’ha” – “Allora è di moda anch’io voglio il paraorecchie”. E così in pochi giorni il paraorecchie ha invaso l'Italia. 

Naturalmente i primi ad adottarlo sono stati la Rai e la grande stampa, che essendo operatori dell'informazione, sono stati informati subito. In una settimana, tutti col paraorecchie modello “Agnelli”, perché l’avvocato, che è un uomo generoso ne aveva distribuiti gratis cinquantamila. I metalmeccanici hanno cominciato ad accorgersene vedendo che, almeno per due mesi, non c’era verso di trovare notizie sulla vertenza. Per intere settimane, nelle case, davanti alla tv si aspettava la fatale ultima dicitura del telegiornale, l'ultimo titolo. Il più ottimista tutte le volte diceva ad alta voce: "L'ultimo titolo sarà ‘Le iniziative di lotta dei metalmeccanici’". Invece le notizie erano di questo tipo: Sofia Loren, grane col fisco. Si ribalta in canoa il premier Troudeau. La Ferrari va forte in prova. Caroline di Monaco sposa un russo. Finché un giorno qualcuno disse: “E’ da due mesi che non danno notizie su di noi; non sarà che ci censurano?”, “Dio – gli fu risposto –  come pensi subito male: avranno molto da fare, saranno molto impegnati con le elezioni, con il riflusso, bisogna capirli”. Ma uno che non era convinto andò a controllare e tornò tutto trafelato dicendo:”Guarda, sono stato alla Rai e ai giornali e ho scoperto il mistero, hanno tutti il paraorecchie di Agnelli: è per quello che non potevano dare le notizie, non ci sentivano protestare e del resto nessuno li ha potuti avvisare. 

Quindi alcuni gruppi di metalmeccanici a Milano, a Roma, a Torino, andarono sotto le sedi Rai e nei giornali a chiedere gentilmente di togliersi un momento il paraorecchie e ascoltare le loro ragioni. Ma cortesi direttori e gentili funzionari dissero loro: “Ci dispiace, ma c’è un problema, col  paraorecchie non sentiamo se fate la manifestazione, se ce lo togliamo e ci dite che fate la manifestazione ce lo dobbiamo rimettere per il rumore”. Quale è allora la soluzione? Ma è chiaro: si smette di manifestare, si chiudono i campanacci nel cassetto, si ripiegano gli striscioni, si aspetta qualche mese che ai padroni sia passata la paura, e quando Agnelli timido timido si leva prima un paraorecchie, poi l’altro e dice: “Posso? C’è silenzio?”, allora con calma ci si siede e si parla dell’orario, e il Carli ci spiega l’impresa libera e intanto magari si prende anche un tè, a bassa voce. 

Intanto è passato un anno senza contratto, ma senza rumori molesti. Invece si è insistito nella tattica suicida: si suonavano i campanacci e tutti si chiudevano le orecchie, perché quel rumore dava tanto, tanto fastidio. E’ venuto poi il giorno della grande manifestazione. E dai, e dai, i paraorecchie sono saltati. La manifestazione è andata in diretta alla tv, la grande stampa ha avuto un bagliore di interesse.

Trecentomila, non si può far finta di non sentirli. Dopo sono venuti alla televisione due giornalisti della Stampa e del Giorno a difendersi dicendo che loro dei metalmeccanici sono grandi ammiratori, ma danno più spazio ad Aquila selvaggia perché è più importante: e se poi devi andare ad una manifestazione e non c’è l’aereo in orario? Almeno però loro sono venuti: pensate che Di Bella e Scalfari, che sono due che alla televisione ci vanno anche per parlare di floricoltura non c’erano: i metalmeccanici non sono giornalisticamente interessanti. Bene, quel giorno ci sono state cento e cento idee, i pupazzi, i cartelli…ma soprattutto c’era rumore. Un rumore tanto forte, che molti paraorecchie sono saltati. E allora gastriti, otiti, nevrosi. Anche Lama ha avuto un momento di strimizzore. Adesso sono tutti lì che riparano i paraorecchie con i cerotti e con lo scotch. Ne preparano anzi di più forti, con tre strati di coibentazione, con la radiolina incorporata. Con la paura che arrivino dei campanacci più grandi, dei tamburi più sonori e più gente a suonare. Gli operai sono irresponsabili: si divertono solo a fare casino. E Agnelli è sempre lì, col paraorecchie sul tavolo. E ogni tanto arriva Carli e gli fa: “Gianni, adesso sentiamo la quinta”. “Che bello! La quinta sinfonia di Beethoven?” – “No, la quinta lega di Mirafiori” e da lontano, si avvicina il ben noto frastuono. Agnelli si porta una mano allo stomaco e diventa pallido.»

(Stefano Benni, in «I Consigli», 1979)