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Internazionali
Bollettino
bimestrale della Fiom-Cgil a cura di Pino Tagliazucchi
Numero
speciale "11 settembre"
20 giorni di cronaca
- I 20
giorni che seguirono gli attentati terroristici, i giorni in cui si sono
delineate la situazione in generale e la linea americana - militare, politica,
economica. Per capire ciò che è avvenuto e avverrà, occorre anzitutto
vederne gli inizi, ripercorrerne le prime tappe. Lo facciamo selezionando
dalla stampa i fatti salienti.
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- 11 settembre
- ore 8.45 Un aereo della American
Airlines, partito da Boston, colpisce la torre nord delle due torri gemelle
del World trade center di New York;
ore 9.03 un secondo aereo, della United Airlines,
partito anch’esso da Boston, colpisce la torre sud;
ore 9.48 un terzo aereo colpisce il Pentagono;
ore 10.29 la torre sud crolla;
ore 10.35 la torre nord crolla;
ore 11.34 un quarto aereo cade vicino a Pittsburgh, tra New
York e Washington.
-
- Le torri gemelle erano alte rispettivamente 417 e 415 metri; la
loro costruzione ha richiesto 200.000 tonnellate di acciaio e 413.000
tonnellate di cemento; si alzavano per 110 piani di 3.800 metri quadri
ciascuno. Furono terminate nel 1976 e facevano parte del World trade center,
che comprendeva sette edifici per una superficie totale di 406.000 metri
quadri. Le occupavano oltre 400 società di 25 paesi - tra cui la Morgan
Stanley, che si estendeva a 50 piani, la Thomson corp., la Canton Fitzgerald,
la Bank of America, la Crédit Suisse, la First Boston e la Deutsche Bank,
la Fuji Bank, la Siemens, l’Allianz, la Commerzbank, il New York Exchange,
il Crédit Agricole Indosuez, la Lehman Brothers. Insieme alle due torri
gemelle sono crollati altri due edifici del World trade e il ponte nord,
sono parzialmente crollati altri tre edifici e sono stati seriamente
danneggiati una serie di edifici dei dintorni. A distanza di giorni sono
stati dati per disperse 6.333 persone
- chiamate tali perché non ancora identificate, 485 morti accertati
compresi quelli al Pentagono e quelli sugli aerei; si calcolano danni sui 7
miliardi di dollari.
- Per
sicurezza, Bush è stato subito portato alla base di Barksdale, in Louisiana
e lì ha fatto la sua prima dichiarazione: “La libertà stessa è stata
attaccata da vigliacchi senza volto, e la libertà sarà difesa. (...) Gli
Stati Uniti daranno la caccia e puniranno coloro che sono responsabili di
questi atti vili”.
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- 14 settembre
- Bush
tiene a Camp David una riunione con alti dirigenti politici e militari per
tracciare le linee di quella che egli già chiama: “la prima guerra del
XXI secolo”. L'Herald Tribune scrive che Bush ha autorizzato il
Pentagono a richiamare sino a 50.000 riservisti - e il Pentagono ne richiama
35.000; è la più grande mobilitazione da quando, nel gennaio 1991, nel
pieno della guerra del Golfo, Bush padre richiamò alle armi oltre 265.000
riservisti. Il Senato approva all’unanimità una risoluzione che autorizza
il presidente a “usare tutta la forza necessaria e appropriata”, per
colpire i responsabili - e vota anche un’appropriazione di 40 miliardi di
dollari che il presidente può usare per far fronte alla situazione.
- Quanto
alla linea d’azione, il segretario alla difesa, Wolfowitz, dichiara che lo
scopo non è soltanto di catturare i responsabili, ma anche di
“distruggere i loro rifugi, liquidare i loro appoggi, sbarazzarsi degli
Stati che patrocinano il terrorismo. (...) Sarà una campagna vasta e di
lunga durata. Una cosa è chiara: a sistemare le cose non sarà una semplice
operazione militare. Occorrerà consacrarle tutte le risorse a disposizione
del governo degli Stati Uniti”. Il segretario di Stato Colin Powell punta
il dito su Osama bin Laden - e come Stato corresponsabile emerge
l’Afghanistan. Ma il Washington
Post parla di impiego di forze speciali contro i rifugi del terroristi
in Pakistan, nello Yemen, in Sudan e anche in Algeria - e probabilmente in
Iraq.
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- 15 settembre
- Bush
rivolge al popolo americano il suo primo discorso dopo la tragedia,
dichiarando subito che “siamo in guerra. C’è una guerra dichiarata” -
e indicando Osama bin Laden come organizzatore e primo responsabile
dell’attacco terroristico. “Non mi accontenterò di un gesto simbolico.
La nostra risposta sarà schiacciante, continuata, efficace. Sarà un
conflitto senza campi di battaglia o spiagge da sbarco, un conflitto con
nemici che si credono invisibili. Eppure si sbagliano. Saranno smascherati e
scopriranno ciò che già altri in passato hanno imparato: coloro che hanno
scelto di far guerra agli Stati Uniti hanno scelto la propria distruzione.
La vittoria contro il terrorismo non si otterrà con una sola battaglia, ma
con una serie di azioni decisive contro le organizzazioni terroristiche e
contro coloro che le ospitano e le aiutano. Vi chiederemo di aver pazienza,
perché il conflitto non sarà breve. Vi chiederemo di essere decisi, perché
il conflitto non sarà facile. Vi chiederemo di essere forti, perché la via
per la vittoria sarà lunga”.
- In
effetti, nota l’Economist,
“se il nemico è bin Laden, la maggiore differenza rispetto a Pearl
Harbour può essere alla fine che l’America non ha una chiara idea dei
mezzi con cui combatterlo. (...) L’attacco dell’11 settembre pone
all’America non una sfida militare di vecchio tipo, ma un dilemma di tipo
nuovo” - ed è proprio su di questo che si concentra tutto il discorso
sul tipo di guerra da condurre.
-
- 16 settembre
- E’
già chiaro che prima di essere militare la questione è diplomatica. Scrive
Time che “questa guerra
può essere più nebbiosa di molte altre. Nessuno sa come combattere una
guerra globale contro i terroristi e contro coloro che li proteggono -
nessuno in passato ha mai combattuto una guerra analoga. (...) Man mano che
la settimana procedeva si rafforzava la convinzione che gli Stati Uniti non
possono vincere questa guerra da soli. ‘Non ci sono serie opzioni
unilaterali’, dice un alto funzionario dell’Amministrazione. ‘Bisogna
coinvolgere altri’”.
- Commenta
Le Figaro: “Meno di una
settimana dopo gli attentati, la crisi ha già comportato un abbozzo di
avvicinamento di Washington con la Russia e l’Iran, ha posto il Pakistan e
l’Arabia saudita davanti a dei dilemmi penosi, ha sollevato timori di
destabilizzazione in diversi regimi arabi e ha comportato delle nuove
pressioni internazionali su Israele per risolvere il conflitto con i
palestinesi”. Punti particolarmente delicati appaiono essere: il Pakistan,
che insieme all’Arabia saudita e agli Emirati arabi riconosce il regime
dei talebani e deve tener conto di un’opinione pubblica in larga parte
schierata con i talebani; l’Arabia saudita, per altri motivi che
riguardano da un lato il petrolio e dall’altro il timore di trovarsi in
prima linea in un conflitto “antiislamico”; e Israele, che in un primo
tempo aveva giudicato la situazione come favorevole a un attacco
conclusivo in Palestina.
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- 17 settembre
- Dopo
quattro giorni di chiusura la Borsa americana riapre - e l’indice Dow
Jones cade di oltre il 7%, a 8.931 punti, l’indice più basso dalla fine
del 1998. Sui mercati asiatici i prezzi sono scesi di oltre il 6%, mentre i
mercati azionari europei sono in aumento a Parigi, Londra e Francoforte -
tra il 2,8 e il 3%. L’indomani i mercati azionari globali mostrano una
ripresa - incerta, con alti e bassi, e con una tendenza al ribasso.
- A
Islamabad il generale Pervez Musharraf dichiara di schierarsi con gli Stati
Uniti, pur non rompendo subito con il regime talebano, e chiude le frontiere
con l’Afghanistan. Il ministro degli Esteri, Abdul Sattar, dichiara “il
totale sostegno alla comunità internazionale nella lotta contro il
terrorismo, in conformità con la politica pakistana di sostegno alle
decisioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu”; e precisa che questo si
accompagna a una “politica di dialogo con l’emirato di Afghanistan, in
uno spirito di amicizia e di fraternità”.
Un equilibrio delicato, che suggerisce le difficoltà del regime di
combinare la cooperazione con gli Stati Uniti con la situazione interna.
Comunque, Islamabad invia una missione a Kabul per chiedere ai talebani di
consegnare bin Laden entro tre giorni.
- Bush
dichiara che “gli americani vogliono Osama bin Laden vivo o morto “ -
“dead or alive”, secondo la
formula un tempo in uso nel far west. Ma come? La cattura, con
un’operazione delle forze speciali, è tutt’altro che sicura, ma
un’azione con truppe di terra potrebbe essere disastrosa e dei
bombardamenti, come a Belgrado, troverebbero una Kabul già semidistrutta e
praticamente nessun bersaglio di valore militare. Si profilano quindi delle
azioni delle forze speciali, le special
ops - e commenta il vice presidente Dick Cheney: “Sarà sgradevole,
pericoloso, feroce, ma dobbiamo farlo”.
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- 18 settembre
- I
15 membri del Consiglio di sicurezza adottano la Risoluzione 1373 che
descrive l’attacco terrorista come “una minaccia per la pace e la
sicurezza internazionali” e afferma “il diritto di legittima difesa
individuale o collettiva riconosciuto nella Carta delle Nazioni Unite”; la
risoluzione afferma “la necessità di lottare in tutti i modi, in
conformità alla Carta delle Nazioni Unite, contro le minacce alla pace e
alla sicurezza internazionali rappresentate da atti di terrorismo” e
chiede agli Stati membri di “lavorare per prevenire e reprimere gli atti
di terrorismo, in particolare incrementando la cooperazione e assolvendo
pienamente ai pertinenti impegni internazionali contro il terrorismo”.
Essa chiede poi agli Stati membri di portare davanti alla giustizia
“chiunque partecipi alla pianificazione, preparazione o attuazione di atti
di terrorismo, o presti appoggio a questi atti” . All’inizio
dell’anno, il Consiglio di sicurezza aveva già deciso di congelare gli
averi di bin Laden, di imporre sanzioni contro i talebani e di aggiungere
alle restrizioni sui voli verso l’Afghanistan un embargo sulle forniture
di armi.
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- 19 settembre
- La
Boeing annuncia il licenziamento di 30.000 dipendenti. La Honeywell
international annuncia il licenziamento di altri 3.800 dipendenti, oltre a
quelli già licenziati, per un totale di 12.000 persone, pari al 10% della
sua forza lavoro. “In pochi giorni il settore aeronautico americano ha
annunciato la soppressione di circa 100.000 posti lavoro. Dopo la
Continental Airways e la USairways, martedì 18 settembre, (12.000 e 11.000
posti lavoro soppressi), la Boeing mercoledì (30.000 posti), l’American
Airlines e la United Airlines hanno annunciato giovedì la soppressione di
circa 20.000 posti ciascuna. (...) Il settore aeronautico è stato il primo
a trarre le conseguenze sociali del rallentamento economico. Si tratta di
sapere se questo choc sociale si diffonderà nel resto
dell’economia. Alcune imprese americane hanno cominciato a stabilire una
connessione tra gli attentati e l’annuncio di nuove soppressioni di posti
lavoro. Secondo lo studio americano Isi group, gli annunci settimanali di
licenziamenti sarebbero saliti da 15.400 la settimana precedente agli
attentati, a 24.500 la settimana scorsa e a 57.700 dall’inizio di questa
settimana”.
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- 20 settembre
- Si
delinea il giro dei rapporti diplomatici, una sorta di anelli concentrici.
Il primo è costituito dai paesi che potrebbero partecipare a delle azioni
militari:
Australia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Nuova Zelanda; il secondo è
composto da paesi che potrebbero fornire agli Usa delle basi di appoggio
di vario genere: Arabia saudita, Corea del Sud, Egitto, Giappone, Giordania,
India, Israele, Italia, Kuwait, Pakistan, Tagikistan, Turchia, Uzbekistan;
il terzo anello è formato da paesi che potrebbero fornire cooperazione
nell’intelligence:
Algeria, Cina, Indonesia, Iran, Libano, Russia, Sudan, Siria. Naturalmente,
questo è piuttosto il raggio di relazioni che gli Stati Uniti si sforzano
di creare - e dà un’idea sia dell’ampiezza dello sforzo, sia delle
differenze rispetto alle alleanze formate per la guerra nel Golfo. In questo
elenco non sono compresi gli altri paesi dell’Unione europea, la cui
posizione è di collaborazione piena ma ancora non definita.
- Intanto
prosegue anche lo spiegamento delle forze militari - contro quello che ormai
è l’obiettivo indiscusso: l’Afghanistan, in quanto regime protettore
di bin Laden. Ma se l’obiettivo è chiaro, il tipo di possibile azione
non lo è ancora. “Il Pentagono - osserva Le Monde
- continua a mantenere il massimo di incertezza sulla natura delle
operazioni militari che sta preparando”. Rumsfeld spiega i movimenti delle
forze americane come mirati “là dove pensiamo che potrebbero essere utili
qualora il presidente decidesse di impiegarle per una o un’altra
missione” - che come spiegazione è più significativa che illuminante. Si
parla comunque di “parecchie decine di aerei diretti alle basi americane
in Kuwait, Arabia saudita, Oman, Bahrein ed Emirati arabi uniti e, forse, la
base britannica di Diego Garcia nell’oceano Indiano. Altri aerei americani
potrebbero utilizzare gli aeroporti in Tagikistan e Uzbekistan”. Quanto
alle forze terrestri già presenti “nella regione”, si parla di 20.000
uomini, 10.000 dei quali a bordo dei gruppi navali Carl-Vinson ed Enterprise.
A esse si aggiungono le forze speciali - che negli Usa contano un 30.000
uomini in totale. Il dispositivo ha come punto focale l’Afghanistan, ma
estendendosi sino al Medio Oriente esso permetterebbe anche delle azioni
“contro l’Iraq, o contro il territorio di altri Stati che ospitino dei
terroristi, o che secondo Washington hanno aiutato i terroristi”.
- Vengono
inoltre contate quattro portaerei con a bordo oltre 300 apparecchi da
ricognizione e combattimento, più una portaerei britannica con una trentina
di aerei; altri due o trecento aerei americani e inglesi sarebbero
distribuiti nelle basi in Arabia saudita, Oman, Kuwait, e Turchia, insieme
ad aerei radar, aerei da rifornimento in volo, aerei spia pilotati e non.
“La forza d’urto a distanza - scrive Le Monde
- è rappresentata da fregate, sottomarini o bombardieri B-52
intercontinentali, posizionati nell’oceano Indiano, che portano missili da
crociera Tomahawk”, americani e inglesi - 700 pezzi all’incirca. Più,
naturalmente, i commandos - di
cui si parla ma di cui non si sa praticamente niente.
- Davanti
al Congresso, riunito in seduta plenaria, Bush traccia le linee generali
della risposta americana. “Noi consacreremo tutte le risorse a nostra
disposizione - tutti i mezzi diplomatici, tutti gli strumenti di
informazione, tutte le disponibilità delle forze dell’ordine, tutte le
influenze finanziarie e ogni arma necessaria - alla disgregazione e alla
sconfitta della rete terrorista mondiale. Questa guerra non assomiglierà
alla guerra combattuta dieci anni fa in Iraq, con la sua decisiva
liberazione del territorio e la sua rapida conclusione. Essa non assomiglierà
alla guerra area nei cieli del Kosovo di due anni fa, dove nessuna forza
terrestre è stata utilizzata e nessun americano è morto in combattimento.
La nostra risposta implica molto di più di rappresaglie e colpi isolati.
Gli americani non devono attendersi un’unica battaglia, ma una lunga
campagna, senza precedenti. Essa potrà comprendere dei colpi spettacolari,
presentati in televisione, e delle operazioni segrete, segrete anche nel
loro successo. Noi priveremo i terroristi dei loro fondi di finanziamento,
li spingeremo l’uno contro l’altro, gli daremo la caccia da un luogo
a un altro, sino a che non abbiano più rifugio e riposo. Noi perseguiteremo
le nazioni che forniscono asilo o aiuti al terrorismo. Ciascun paese, in
ciascuna regione del mondo, deve ora prendere una decisione. O siete con noi
o siete con i terroristi. Da adesso in poi qualsiasi paese che continui a
ospitare o a sostenere i terroristi sarà considerato dagli Stati Uniti come
regime ostile. (...) Questa non è la lotta della sola America. E la sua
posta non è soltanto la libertà dell’America. Questa lotta è del mondo
intero. È una lotta di civiltà. È la lotta di tutti coloro che credono al
progresso e al pluralismo, alla tolleranza e alla libertà”.
Quanto ai talebani, Bush ha chiesto: “Chiudete immediatamente e in modo
permanente tutti i campi di addestramento dei terroristi e consegnate alle
autorità appropriate i terroristi e tutte le persone che forniscono loro
appoggio. Consegnate alle autorità americane tutti i dirigenti
dell’organizzazione Al-Qaida che si nascondono nel vostro territorio.
Queste richieste non sono disponibili per un negoziato o una discussione. I
talebani devono agire ed agire immediatamente. O consegnano i
terroristi o condividono la loro sorte”.
- Commenta
un editoriale del New York Times:
“Bush ha sottolineato che nessun paese musulmano o islamico è un nemico e
ha espresso il suo rispetto per la loro religione. Ha anche osservato che
gli americani rispettano il popolo afghano. Ma le richieste rivolte al
governo talebano sono estese” e il regime talebano non le accetterà -
come infatti ha fatto. Bush non ha fornito “dettagli sul tipo di azione
che ha in mente. Questa riluttanza a tracciare un piano è comprensibile.
L’amministrazione ha soltanto iniziato ad affrontare le complessità di
una campagna per sconfiggere il terrorismo e ci sono divergenze tra i
consiglieri di Bush su come muoversi, se rapidamente e contro chi”.
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- 22 settembre
- Il
Consiglio europeo, riunito in sessione straordinaria il 21 settembre,
conferma la sua solidarietà col popolo americano, conferma anche il suo
sostegno a un’azione militare americana che ritiene giustificata e
annuncia un piano d’azione contro il terrorismo - che si articola su
questi punti:
- a)
rafforzare la cooperazione giudiziaria e di polizia, con modalità da
definire nella riunione del 6 dicembre prossimo;
b) identificare
i terroristi che potrebbero risiedere in Europa, formando delle squadre
europee di inchiesta allo scopo di stabilire
delle liste in comune;
c) creazione,
in seno a Europol, di una squadra di specialisti antiterrorismo che
collabori con le analoghe forze americane;
d) appoggiare
la proposta dell’India di elaborare in seno all’Onu una convenzione
generale contro il terrorismo
internazionale;
e) rafforzare
la sicurezza aerea;
f)
coordinare maggiormente la politica estera e di sicurezza comune con
la lotta contro il terrorismo.
- Inoltre, il Consiglio ha auspicato la formazione di “una
coalizione la più vasta possibile contro il terrorismo, sotto l’egida
dell’Onu”, che comprenda anche la Russia, i paesi candidati all’Unione
e “i nostri associati arabi e musulmani”. Osserva Le Monde
che “l’unanimità degli europei è, a questo punto, solo politica e non
impegna alcuno Stato membro ad associarsi a delle eventuali azioni
americane” - cosa che gli Stati Uniti non sembrano chiedere.
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- 23 settembre
- Bush ordina di congelare gli averi di 27 gruppi e persone
sospettati di attività terroristiche e dichiara: “Oggi abbiamo lanciato
un attacco alle fondamenta finanziarie della rete terroristica globale.
Avvertiamo le banche e le istituzioni finanziarie in tutto il mondo. Se fate
affari con i terroristi, se li sostenete o li finanziate non farete affari
con gli Stati Uniti”. E ha aggiunto: “Lavoreremo con i vostri governi e
chiederemo loro di bloccare la capacità dei terroristi di accedere ai loro
fondi. Se voi (le banche) rifiutate di aiutarci e di divulgare le
informazioni in vostro possesso, o di bloccare i conti, il dipartimento del
Tesoro dispone ormai dell’autorità necessaria per bloccare i vostri averi
e le vostre transazioni negli Stati Uniti” .
È la prima volta che una decisione del genere assume una dimensione
mondiale. Nel 1995, Bill Clinton fece congelare gli averi di 18 individui e
12 organizzazioni sospettate di terrorismo, ma soltanto negli Stati Uniti;
nel 1998, dopo gli attacchi alle ambasciate americane in Kenia e Tanzania,
egli ordinò di congelare gli averi di bin Laden e di alcuni suoi associati.
- Pare infatti che l’Fbi sia riuscito a comporre i dati relativi a
“un’immensa rete finanziaria, una nebulosa formata da decine di imprese,
organizzazioni caritative, banche nei paesi del Golfo ma con ramificazioni
in Europa, specialmente in Gran Bretagna, tutte legate direttamente o
indirettamente a bin Laden. Nei loro consigli di amministrazione, o tra i
loro dirigenti, si trova tutto l’establishment
del Golfo” - tra cui delle grosse famiglie saudite. Si fanno già dei
nomi: la Al Shamal Islamic Bank, sudanese; la Tadamon Islamic Bank,
anch’essa sudanese, azionaria di riferimento della Al Shamal, di cui sono
compartecipi la National co. for Development and Trade, di Khartum, la
Kuwait Finance House, la Dubai Islamic Bank, la Bahrein Islamic Bank; la
Faisal Islamic Bank, che rientra nella solita rete complessa di altre banche
e istituzioni; la Dubai Islamic Bank, che secondo la Cia sarebbe tra i
principali finanziatori di bin Laden.
La decisione di Bush ha quindi una valenza senza precedenti, di cui si
fatica a valutare le conseguenze.
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- 25 settembre
- Riyad annuncia di aver rotto i rapporti diplomatici con Kabul,
perché i talebani hanno rifiutato di rispondere “ai contatti e alle
iniziative dell’Arabia saudita per convincerli a cessare di dar rifugio ai
terroristi e di addestrarli”. L’Arabia saudita “deplora” che i
talebani abbiano “fatto del loro territorio un centro di accoglienza, di
formazione e di mobilitazione di un certo numero di sviati di diverse
nazionalità, specialmente di cittadini sauditi, affinché essi compiano
atti criminali contrari a ogni religione, e rifiutino di consegnare questi
criminali alla giustizia”. Nel 1997 l’Arabia saudita,
il Pakistan e gli Emirati arabi uniti erano stati i soli paesi a riconoscere
il regime talebano instauratosi l’anno precedente.
- Tuttavia, Washington fa sapere che intende “punire - ma non
sostituire - i dirigenti talebani in Afghanistan”.
Si sapeva già che nell’amministrazione Bush c’erano a questo proposito
delle opinioni divergenti. “Il segretario di Stato Colin Powell e altri
dirigenti del dipartimento di Stato consigliano che gli Stati Uniti
procedano cautamente nell’allargare gli obiettivi della campagna sino a
includere l’abbattimento del regime dei talebani, diretto dal mullah
Mohammed Omar. Essi temono che uno sforzo del genere, anche se perseguito
con un aiuto segreto a gruppi di ribelli, potrebbe coinvolgere gli Stati
Uniti in una guerra civile in Afghanistan, con scarse garanzie di ottenere
un governo filoamericano stabile”. Evidentemente Washington, che aiutò a
suo tempo i talebani, ha imparato la lezione; sembra che essa consideri le
forze armate di opposizione del defunto Massud come possibile punto di
appoggio, ma nell’ambito di un disegno politico che, stando a informazioni
ulteriori, mirerebbe a installare un regime che si ponga al di sopra delle
fazioni in lotta.
- Inoltre, “uno sforzo per rovesciare i talebani offenderebbe
alcuni governi di paesi a predominanza islamica che hanno promesso un
appoggio sostanziale alle campagna americana. Primo tra questi paesi è il
Pakistan, che ha promesso un sostegno fondamentale alla campagna americana,
ma che, dopo l’annuncio saudita, è rimasto il solo paese ad avere dei
rapporti con il governo talebano”.
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- 26 settembre
- L’Iran annuncia che non intende collaborare con gli Stati Uniti
nella loro lotta contro il terrorismo. Alla delegazione dell’Unione
europea, composta da Javier Solana, Louis Michel, ministro degli Esteri
belga, e Chris Patten, commissario europeo alle relazioni internazionali, il
ministro degli Esteri iraniano Kamal Kharrazi dichiara: “Noi affermiamo la
nostra totale disponibilità a cooperare sotto l’egida delle Nazioni unite
per lottare in modo serio contro il terrorismo”; e ben cosciente del
proprio “ruolo nel mondo musulmano”, l’Iran è pronto a “ogni sforzo
per evitare uno scontro col mondo occidentale”. Ma “bisogna agire nell’ambito
dell’Onu per avere un approccio globale e una definizione comune e chiara
del terrorismo”.
- In effetti, il giorno prima Ali Khamenei, guida suprema del regime,
aveva esclamato in un comizio: “L’Iran non parteciperà ad alcuna
mobilitazione americana contro il terrorismo. (...) Per ventitré anni avete
costantemente nuociuto agli interessi iraniani. Come osate chiedere il
nostro aiuto per attaccare l’Afghanistan, paese musulmano e oppresso, che
è nostro vicino?”. Pare che l’accenno di Bush - subito rimangiato - a
una “crociata”, non sia stato di molto aiuto. Anche Mohammad Khatami, in
un discorso agli studenti, se l’era presa con Bush, trattandolo da
“arrogante”. E la posizione iraniana preoccupa perché potrebbe
cristallizzare il rifiuto anche di altri paesi mediorientali.
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- 27 settembre
- Il vice segretario alla Difesa, Paul Wolfowitz, a una riunione
informale di ministri della Nato, dichiara che “non prevediamo per il
momento alcuni azione collettiva” da parte della Nato. La lotta contro il
terrorismo, egli aggiunge, “non si basa su alcuna azione spettacolare”,
quindi gli Stati Uniti non chiedono alla Nato di attivare l’art. 5 della
Carta atlantica che stipula una risposta collettiva in caso di attacco
dall’esterno a un paese membro; anche perché, si commenta, “farlo già
da ora li costringerebbe a delle pesanti procedure di consultazione poco
compatibili con la flessibilità necessaria”.
- Ciò non toglie che il supporto della Nato è indispensabile - e
questo supporto viene concordato il 3 ottobre in una riunione a Bruxelles
dei 18 paesi alleati. Anzitutto, la Nato fornisce tutta la sua cooperazione
in forza dell’art. 5 della Carta atlantica, ma non è associata come tale
a eventuali operazioni militari e alle decisioni relative; gli Stati Uniti
chiedono invece l’accesso a porti e aeroporti militari, misure di
sicurezza per le truppe americane in Europa; cooperazione nell’intelligence e sostituzione di truppe
eventualmente spostate dai Balcani. La cooperazione militare può essere
decisa in rapporti bilaterali, paese per paese, che non investono
l’organismo nel suo complesso. Così lord Robertson ha dichiarato che in
fatto di azioni militari “gli Stati Uniti possono agire per conto proprio,
o farlo in associazione con qualsiasi gruppo di Stati”. Si chiede invece
alla Nato di fornire assistenza a Stati “che sono o possono essere
soggetti a crescenti minacce terroristiche come conseguenza del loro
appoggio alla campagna contro il terrorismo” - e questo sembra essere
“una velata richiesta ai membri della Nato di contribuire a proteggere e
ad aiutare paesi come il Pakistan, l'Oman, l'Uzbekistan, il Tagikistan, che
corrono rischi politici e di sicurezza offrendo agli Stati Uniti basi e
assistenza vitali”.
- Quanto ai rapporti bilaterali, la Francia ha accettato la richiesta
americana di mettere a disposizione due navi da guerra della sua flotta
nell’oceano Indiano, ha aperto il suo spazio aereo agli apparecchi
americani e ha messo in stato di allerta le sue forze armate all’estero -
che stazionano specialmente in paesi africani; la Germania intende fornire
cooperazione nell’intelligence e
accesso al proprio spazio aereo; la Gran Bretagna ha messo a disposizione
degli Stati Uniti tutte le sue forze armate; la Turchia ha offerto otto basi
aeree e l’accesso al proprio spazio aereo.
- Frattanto, nel presentare il suo piano per la sicurezza aerea nei
cieli americani, Bush ha spiegato che bisogna adeguarsi “a un nuovo tipo
di guerra”, una guerra non convenzionale e che la “campagna” in corso
si propone sì di scovare i terroristi e di “consegnarli alla
giustizia”, ma ha un carattere “multidimensionale” e non soltanto
militare; “essa potrà comportare o non comportare una componente
convenzionale”. Osserva Le Monde che quello stesso Bush
una settimana prima chiedeva ai militari americani: “Tenetevi pronti!
Arriva l’ora in cui l’America agisce e ne sarete fieri”, e si chiede
il perché di questo cambiamento di tono; la risposta è che la pressione
americana sta disgregando il regime talebano e in questa situazione gli
Stati Uniti preferiscono concentrare l’attacco su bin Laden, senza
estenderlo ai talebani. Anzi, proponendo aiuti umanitari alla popolazione
afghana.
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- 30 settembre
- Il quotidiano USA Today
scrive che dei commandos americani
sono già in azione in Afghanistan. Alla Casa bianca, Bush dice: “Ho già
detto forte e chiaro che talvolta la gente potrà vedere alla televisione ciò
che stiamo facendo. In altri momenti, gli americani non potranno vedere ciò
che stiamo facendo. Ma state certi, gli stiamo alle calcagna”.
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- 6 ottobre
- Aggiungiamo delle note che riguardano il giorno precedente
l’attacco missilistico per completare il quadro delle possibilità
americane - e le ricaviamo da una sola fonte, Le Monde, che ci sembra sufficiente
per farci un’idea. Osservava il quotidiano
che il Pentagono era ancora “davanti a una realtà: non ha la gestione che
gli sarebbe necessaria dei mezzi militari. Washington può considerare,
per il momento, che il suo schieramento non è in fase con i suoi obiettivi
politici, a meno che non ci si contenti di quanto è stato messo insieme nel
Golfo e nel mare d’Arabia per garantire, insieme alla Gran Bretagna, la
stabilità della regione, qualora la crisi dovesse durare. Ma - a eccezione
dei sistemi di ascolto e di sorveglianza, a terra e in mare - il dispositivo
avrà bisogno di essere rafforzato e adeguato qualora le operazioni
dovessero salire a un livello più elevato. Così come si presenta oggi,
il dispositivo permette di lanciare una campagna di bombardamenti mirati a
obiettivi militari afghani: centri di comando, campi di addestramento,
depositi, piste d’aviazione”. E se queste osservazioni sono fondate,
tale resta l’ambito delle operazioni iniziate il 7 ottobre.
- A questo proposito, il quotidiano aggiunge alcune osservazioni
interessanti. Una riguarda il rischio di
nuovi attentati terroristici della dimensione di quello dell’11 settembre,
per controbilanciare le insufficienze delle forze talebane. “Secondo il Washington Post di venerdì (5
ottobre), dei dirigenti dei servizi di sicurezza, consultati da membri del
Congresso, hanno insistito su questo pericolo, e uno di essi avrebbe detto
che il rischio è “del 100%” una volta che le forze americane passino
all’azione in Afghanistan”. Le seconda riguarda il carattere
dell’offensiva americana in Afghanistan. “I dirigenti americani temono
una disastro umanitario, che bin Laden e i talebani potrebbero, se non
provocare, perlomeno aggravare. L’aiuto alla popolazione è divenuto
pressocché l’asse principale dei preparativi americani. Bush ha deciso di
portare a 320 milioni di dollari il totale dei soccorsi (e) gli specialisti
a Washington prevedono un’offensiva che associ il politico-umanitario al
militare. (...) Si tratta di evitare che si ripeta ciò che avvenne con
l’Iraq, quando una larga parte dell’opinione araba tenne gli americani
per responsabili delle sofferenze degli irakeni. Queste precauzioni sono
tanto più necessarie in quanto alcuni alleati arabi degli Stati Uniti
rifiutano di concorrere a delle azioni che potrebbero essere denunciate come
un semplice e brutale ‘regolamento di conti’ con bin Laden”. A fine ottobre di questo aspetto
dell’offensiva americana non si parlava più.
-
- Come si sa, questa
cifra è poi stata dimezzata nelle settimane successive.
- Dati da: "Financial Times",
12 settembre 2001; "Le Figaro", 12 e 17 settembre 2001;
"Le Monde", 13 settembre 2001; "The Observer", 16 e
23 settembre 2001; "Newsweek", 24 settembre 2001;
"Time", 24 settembre 2001.
- Bush
mobilizing up to 50.000 reserves, "Internation Herald
Tribune", 15 settembre 2001.
- Citato in Get
ready for war, Bush tell America, "The Observer", 16
settembre 2001.
- The new
enemy, "Economist", 15 settembre 2001.
- Michael
Elliott, We’re at war, "Time", 24 settembre 2001. Bisogna ricordare che i settimanali
"Time" e "Newsweek "escono portando la data
posticipata di una settimana.
- Luc de
Barochez, Les états musulmans sommés de choisir, "Le
Figaro", 17 settembre 2001.
- Françoise
Chipaux, Le Pakistan donne trois jours aux talibans pour livrer Ben
Laden, "Le Monde", 18 settembre 2001.
- Jean-Jacques
Mével, Bush, de la guerre à la croisade, "Le Figaro",
18 settembre 2001.
- Carola
Hoyos, Pressure mounts on US to go to UN, "Financial Times",
19 settembre 2001.
- Christophe
Jakubyszyn, Les attentats servent de catalyseur à des plans sociaux
massifs, "Le Monde", 21 settembre 2001.
- Informazioni in proposito si trovano
su diversi quotidiani. Per brevità riprendiamo i dati seguenti da
"Newsweek", 1 ottobre 2001.
- Patrick
Jarreau, Le Pentagone rassemble une large gamme de moyens militaires,
"Le Monde", 22 settembre 2001.
- Jacques
Isnard, Des raids aériens devraient être conjugués avec des
actions menées par des unités d’élite, "Le Monde", 25
settembre 2001.
- Estratti del discorso in "Le
Monde", 1 ottobre 2001.
- Testo in "Le Monde", 22
settembre 2001.
- A call to war, ripreso come
editoriale di "International Herald Tribune", 22 settembre
2001.
- "Le
Monde", 23 settembre 2001.
- Laurent
Zecchini, Les Quinze jusgent ‘légitime’ une riposte américaine
qui serait ‘ciblée’, "Le Monde", 24 settembre 2001.
- Brian
Knowlton, Bush freezes the assets of 27 terror suspetcs, "International
Herald Tribune", 25 settembre 2001; Eric Leser, Les Etats-Unis
veulent imposer le gel de l’argent des organisations terroristes,
"Le Monde", 26 settembre 2001.
- Babette Stern,
La toile financière d0Oussame Ben Laden s’étend des pays du Golfe
à l’Europe, "Le Monde", 25 settembre 2001.
- L’Arabie
saoudite rompt ses relations diplomatiques avec le régime di Kaboul,
"Le Monde", 26 settembre 2001.
- Brian
Kopwlton, U.S. won’t seek taliban exit, "International
Herald Tribune", 26 settembre 2001.
- "International Herald
Tribune", 26 settembre 2001, già citato.
-
Philippe Gélie, L’Europe déroutée par les ambigüités
iraniennes, "Le Figaro", 27 settembre 2001.
- Serge Michel,
Téhérena dit ‘non’ à l’Amérique, "Le Figaro",
27 settembre 2001.
- Arnaud
Leparmentier, Les Américains ne font pas appel à l’Alliance
atlantique pour riposter, "Le Monde", 28 settembre 2001.
- Nato
agrees to all of U.S. aid requests, "International Herald
Tribune", 5 ottobre 2001.
- Allies
firm up military roles, "Financial Times", 4 ottobre 2001.
- Patrick
Jarreau, Washington change de ton: l’attaque sur Kaboul n’est plus
présentée comme imminente, "Le Monde", 29 settembre 2001.
- Patrick
Jarreau, Des forces spéciales américaines sont entrées en action
en Afghanistan, "Le Monde", 1 ottobre 2001.
- Jacques
Isnard, Washington pourrait revoir l’échéancier de la risposte
militaire, "Le Monde", 7 ottobre 2001.
- Patrick
Jarreau, Des unités d’infanterie américaines s’installent en
Ouzbékistan, "Le Monde", 7 ottobre 2001.