Notizie Internazionali
Bollettino bimestrale della Fiom-Cgil a cura di Pino Tagliazucchi

Numero speciale "11 settembre"

20 giorni di cronaca

I 20 giorni che seguirono gli attentati terroristici, i giorni in cui si sono delineate la situazione in generale e la linea americana - militare, politica, economica. Per capire ciò che è avvenuto e avverrà, occorre anzitutto vederne gli inizi, ripercorrerne le prime tappe. Lo facciamo selezionando dalla stampa i fatti salienti.
 
11 settembre
ore 8.45     Un aereo della American Airlines, partito da Boston, colpisce la torre nord delle due torri gemelle del World trade center di New York;               
ore 9.03     un secondo aereo, della United Airlines, partito anch’esso da Boston, colpisce la torre sud;                 
ore 9.48      un terzo aereo colpisce il Pentagono;      
ore 10.29    la torre sud crolla;              
ore 10.35    la torre nord crolla;              
ore 11.34    un quarto aereo cade vicino a Pittsburgh, tra New York e Washington. 
 
Le torri gemelle erano alte rispettivamente 417 e 415 metri; la loro costruzione ha richiesto 200.000 tonnellate di acciaio e 413.000 tonnellate di cemento; si alzavano per 110 piani di 3.800 metri quadri ciascuno. Furono terminate nel 1976 e facevano parte del World trade center, che comprendeva sette edifici per una superficie totale di 406.000 metri quadri. Le occupavano oltre 400 società di 25 paesi - tra cui la Morgan Stanley, che si estendeva a 50 piani, la Thomson corp., la Canton Fitzgerald, la Bank of America, la Crédit Suisse, la First Boston e la Deutsche Bank, la Fuji Bank, la Siemens, l’Allianz, la Commerzbank, il New York Exchange, il Crédit Agricole Indosuez, la Lehman Brothers. Insieme alle due torri gemelle sono crollati altri due edifici del World tra­de e il ponte nord, sono parzialmente crollati altri tre edifici e sono stati seriamente danneggiati una serie di edifici dei dintorni. A distanza di giorni sono stati dati per disperse 6.333 persone[1] - chiamate tali perché non ancora identificate, 485 morti accertati compresi quelli al Pentagono e quelli sugli aerei; si calcolano danni sui 7 miliardi di dollari. [2]
Per sicurezza, Bush è stato subito portato alla base di Barksdale, in Louisiana e lì ha fatto la sua prima dichiarazione: “La libertà stessa è stata attaccata da vigliacchi senza volto, e la libertà sarà difesa. (...) Gli Stati Uniti daranno la caccia e puniranno coloro che sono responsabili di questi atti vili”.
 
14 settembre
Bush tiene a Camp David una riunione con alti dirigenti politici e militari per tracciare le linee di quella che egli già chiama: “la prima guerra del XXI secolo”. L'Herald Tribune[3] scrive che Bush ha autorizzato il Pentagono a richiamare sino a 50.000 riservisti - e il Pentagono ne richiama 35.000; è la più grande mobilitazione da quando, nel gennaio 1991, nel pieno della guerra del Golfo, Bush padre richiamò alle armi oltre 265.000 riservisti. Il Senato approva all’unanimità una risoluzione che autorizza il presidente a “usare tutta la forza necessaria e appropriata”, per colpire i responsabili - e vota anche un’appropriazione di 40 miliardi di dollari che il presidente può usare per far fronte alla situazione.
Quanto alla linea d’azione, il segretario alla difesa, Wolfowitz, dichiara che lo scopo non è soltanto di catturare i responsabili, ma anche di “distruggere i loro rifugi, liquidare i loro appoggi, sbarazzarsi degli Stati che patrocinano il terrorismo. (...) Sarà una campagna vasta e di lunga durata. Una cosa è chiara: a sistemare le cose non sarà una semplice operazione militare. Occorrerà consacrarle tutte le risorse a disposizione del governo degli Stati Uniti”. Il segretario di Stato Colin Powell punta il dito su Osama bin Laden - e come Stato corresponsabile emerge l’Afghanistan. Ma il Washington Post parla di impiego di for­ze speciali contro i rifugi del terroristi in Pakistan, nello Yemen, in Sudan e anche in Algeria - e probabilmente in Iraq.
 
15 settembre
Bush rivolge al popolo americano il suo primo discorso dopo la tragedia, dichiarando subito che “siamo in guerra. C’è una guerra dichiarata” - e indicando Osama bin Laden come organizzatore e primo responsabile dell’attacco terroristico. “Non mi accontenterò di un gesto simbolico. La nostra risposta sarà schiacciante, continuata, efficace. Sarà un conflitto senza campi di battaglia o spiagge da sbarco, un conflitto con nemici che si credono invisibili. Eppure si sbagliano. Saranno smascherati e scopriranno ciò che già altri in passato hanno imparato: coloro che hanno scelto di far guerra agli Stati Uniti hanno scelto la propria distruzione. La vittoria contro il terrorismo non si otterrà con una sola battaglia, ma con una serie di azioni decisive contro le organizzazioni terroristiche e contro coloro che le ospitano e le aiutano. Vi chiederemo di aver pazienza, perché il conflitto non sarà breve. Vi chiederemo di essere decisi, perché il conflitto non sarà facile. Vi chiederemo di essere forti, perché la via per la vittoria sarà lunga”. [4]
In effetti, nota l’Economist[5], “se il nemico è bin Laden, la maggiore differenza rispetto a Pearl Harbour può essere alla fine che l’America non ha una chiara idea dei mezzi con cui combatterlo. (...) L’attacco dell’11 settembre pone all’America non una sfida militare di vecchio tipo, ma un dilemma di tipo nuovo” - ed è proprio su di questo che si concentra tut­to il discorso sul tipo di guerra da condurre.
 
16 settembre
E’ già chiaro che prima di essere militare la questione è diplomatica. Scrive Time[6] che “questa guerra può essere più nebbiosa di molte altre. Nessuno sa come combattere una guerra globale contro i terroristi e contro coloro che li proteggono - nessuno in passato ha mai combattuto una guerra analoga. (...) Man mano che la settimana procedeva si rafforzava la convinzione che gli Stati Uniti non possono vincere questa guerra da soli. ‘Non ci sono serie opzioni unilaterali’, dice un alto funzionario dell’Amministrazione. ‘Bisogna coinvolgere altri’”.
Commenta Le Figaro[7]: “Meno di una settimana dopo gli attentati, la crisi ha già comportato un abbozzo di avvicinamento di Washington con la Russia e l’Iran, ha posto il Pakistan e l’Arabia saudita davanti a dei dilemmi penosi, ha sollevato timori di destabilizzazione in diversi regimi arabi e ha comportato delle nuove pressioni internazionali su Israele per risolvere il conflitto con i palestinesi”. Punti particolarmente delicati appaiono essere: il Pakistan, che insieme all’Arabia saudita e agli Emirati arabi riconosce il regime dei talebani e deve tener conto di un’opinione pubblica in larga parte schierata con i talebani; l’Arabia saudita, per altri motivi che riguardano da un lato il petrolio e dall’altro il timore di trovarsi in prima linea in un conflitto “antiislamico”; e Israele, che in un primo tempo aveva giudica­to la situazione come favorevole a un attacco conclusivo in Palestina.
 
17 settembre
Dopo quattro giorni di chiusura la Borsa americana riapre - e l’indice Dow Jones cade di oltre il 7%, a 8.931 punti, l’indice più basso dalla fine del 1998. Sui mercati asiatici i prezzi sono scesi di oltre il 6%, mentre i mercati azionari europei sono in aumento a Parigi, Londra e Francoforte - tra il 2,8 e il 3%. L’indomani i mercati azionari globali mostrano una ripresa - incerta, con alti e bassi, e con una tendenza al ribasso.
A Islamabad il generale Pervez Musharraf dichiara di schierarsi con gli Stati Uniti, pur non rompendo subito con il regime talebano, e chiude le frontiere con l’Afghanistan. Il ministro degli Esteri, Abdul Sattar, dichiara “il totale sostegno alla comunità internazionale nella lotta contro il terrorismo, in conformità con la politica pakistana di sostegno alle decisioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu”; e precisa che questo si accompagna a una “politica di dialogo con l’emirato di Afghanistan, in uno spirito di amicizia e di fraternità”[8]. Un equilibrio delicato, che suggerisce le difficoltà del regime di combinare la cooperazione con gli Stati Uniti con la situazione interna. Comunque, Islamabad invia una missione a Kabul per chiedere ai talebani di consegnare bin Laden entro tre giorni.
Bush dichiara che “gli americani vogliono Osama bin Laden vivo o morto “ - “dead or alive”, secondo la formula un tempo in uso nel far west. Ma come? La cattura, con un’operazione delle forze speciali, è tutt’altro che sicura, ma un’azione con truppe di terra potrebbe essere disastrosa e dei bombardamenti, come a Belgrado, troverebbero una Kabul già semidistrutta e praticamente nessun bersaglio di valore militare. Si profilano quindi delle azioni delle forze speciali, le special ops - e commenta il vice presidente Dick Cheney: “Sarà sgradevole, pericoloso, feroce, ma dobbiamo farlo”. [9]
 
18 settembre
I 15 membri del Consiglio di sicurezza adottano la Risoluzione 1373 che descrive l’attacco terrorista come “una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali” e afferma “il diritto di legittima difesa individuale o collettiva riconosciuto nella Carta delle Nazioni Unite”; la risoluzione afferma “la necessità di lottare in tutti i modi, in conformità alla Carta delle Nazioni Unite, contro le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali rappresentate da atti di terrorismo” e chiede agli Stati membri di “lavorare per prevenire e reprimere gli atti di terrorismo, in particolare incrementando la cooperazione e assolvendo pienamente ai pertinenti impegni internazionali contro il terrorismo”. Essa chiede poi agli Stati membri di portare davanti alla giustizia “chiunque partecipi alla pianificazione, preparazione o attuazione di atti di terrorismo, o presti appoggio a questi atti” . All’inizio dell’anno, il Consiglio di sicurezza aveva già deciso di congelare gli averi di bin Laden, di imporre sanzioni contro i talebani e di aggiungere alle restrizioni sui voli verso l’Afghanistan un embargo sulle forniture di armi.[10]
 
19 settembre
La Boeing annuncia il licenziamento di 30.000 dipendenti. La Honeywell international annuncia il licenziamento di altri 3.800 dipendenti, oltre a quelli già licenziati, per un totale di 12.000 persone, pari al 10% della sua forza lavoro. “In pochi giorni il settore aeronautico americano ha annunciato la soppressione di circa 100.000 posti lavoro. Dopo la Continental Airways e la USairways, martedì 18 settembre, (12.000 e 11.000 posti lavoro soppressi), la Boeing mercoledì (30.000 posti), l’American Airlines e la United Airlines hanno annunciato giovedì la soppressione di circa 20.000 posti ciascuna. (...) Il settore aeronautico è stato il primo a trarre le conseguenze sociali del rallentamento economico. Si tratta di sapere se questo choc sociale si diffonderà nel resto dell’economia. Alcune imprese americane hanno cominciato a stabilire una connessione tra gli attentati e l’annuncio di nuove soppressioni di posti lavoro. Secondo lo studio americano Isi group, gli annunci settimanali di licenziamenti sarebbero saliti da 15.400 la settimana precedente agli attentati, a 24.500 la settimana scorsa e a 57.700 dall’inizio di questa settimana”. [11] 
 
20 settembre
Si delinea il giro dei rapporti diplomatici, una sorta di anelli concentrici. Il primo è costituito dai paesi che potrebbero partecipare a delle azioni militari[12]: Australia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Nuova Zelanda; il secondo è composto da paesi che po­trebbero fornire agli Usa delle basi di appoggio di vario genere: Arabia saudita, Corea del Sud, Egitto, Giappone, Giordania, India, Israele, Italia, Kuwait, Pakistan, Tagikistan, Tur­chia, Uzbekistan; il terzo anello è formato da paesi che potrebbero fornire cooperazione nell’in­tel­li­gence: Algeria, Cina, Indonesia, Iran, Libano, Russia, Sudan, Siria. Naturalmente, questo è piuttosto il raggio di relazioni che gli Stati Uniti si sforzano di creare - e dà un’idea sia dell’ampiezza dello sforzo, sia delle differenze rispetto alle alleanze formate per la guerra nel Golfo. In questo elenco non sono compresi gli altri paesi dell’U­nio­ne europea, la cui posizione è di collaborazione piena ma ancora non definita.
Intanto prosegue anche lo spiegamento delle forze militari - contro quello che ormai è l’o­biettivo indiscusso: l’Afghanistan, in quanto regime protettore di bin Laden. Ma se l’o­biet­tivo è chiaro, il tipo di possibile azione non lo è ancora. “Il Pentagono - osserva Le Monde[13] - continua a mantenere il massimo di incertezza sulla natura delle operazioni militari che sta preparando”. Rumsfeld spiega i movimenti delle forze americane come mirati “là dove pensiamo che potrebbero essere utili qualora il presidente decidesse di impiegarle per una o un’altra missione” - che come spiegazione è più significativa che illuminante. Si parla comunque di “parecchie decine di aerei diretti alle basi americane in Kuwait, Arabia saudita, Oman, Bahrein ed Emirati arabi uniti e, forse, la base britannica di Diego Garcia nell’oceano Indiano. Altri aerei americani potrebbero utilizzare gli aeroporti in Tagikistan e Uzbekistan”. Quanto alle forze terrestri già presenti “nella regione”, si parla di 20.000 uomini, 10.000 dei quali a bordo dei gruppi navali Carl-Vinson ed Enterprise. A esse si aggiungono le forze speciali - che negli Usa contano un 30.000 uomini in totale. Il dispositivo ha come punto focale l’Afghanistan, ma estendendosi sino al Medio Oriente esso permetterebbe anche delle azioni “contro l’Iraq, o contro il territorio di altri Stati che ospitino dei ter­­roristi, o che secondo Washington hanno aiutato i terroristi”. 
Vengono inoltre contate quattro portaerei con a bordo oltre 300 apparecchi da ricognizione e combattimento, più una portaerei britannica con una trentina di aerei; altri due o trecento aerei americani e inglesi sarebbero distribuiti nelle basi in Arabia saudita, Oman, Kuwait, e Turchia, insieme ad aerei radar, aerei da rifornimento in volo, aerei spia pilotati e non. “La forza d’urto a distanza - scrive Le Monde[14] - è rappresentata da fregate, sotto­marini o bombardieri B-52 intercontinentali, posizionati nell’oceano Indiano, che portano missili da crociera Tomahawk”, americani e inglesi - 700 pezzi all’incirca. Più, natural­mente, i commandos - di cui si parla ma di cui non si sa praticamente niente.
Davanti al Congresso, riunito in seduta plenaria, Bush traccia le linee generali della risposta americana. “Noi consacreremo tutte le risorse a nostra disposizione - tutti i mezzi diplomatici, tutti gli strumenti di informazione, tutte le disponibilità delle forze dell’ordine, tutte le influenze finanziarie e ogni arma necessaria - alla disgregazione e alla sconfitta della rete terrorista mondiale. Questa guerra non assomiglierà alla guerra combattuta dieci anni fa in Iraq, con la sua decisiva liberazione del territorio e la sua rapida conclusione. Essa non assomiglierà alla guerra area nei cieli del Kosovo di due anni fa, dove nessuna forza terrestre è stata utilizzata e nessun americano è morto in combattimento. La nostra risposta implica molto di più di rappresaglie e colpi isolati. Gli americani non devono attendersi un’unica battaglia, ma una lunga campagna, senza precedenti. Essa potrà comprendere dei colpi spettacolari, presentati in televisione, e delle operazioni segrete, segrete anche nel loro successo. Noi priveremo i terroristi dei loro fondi di finanziamento, li spin­ge­remo l’uno contro l’altro, gli daremo la caccia da un luogo a un altro, sino a che non abbiano più rifugio e riposo. Noi perseguiteremo le nazioni che forniscono asilo o aiuti al ter­­rorismo. Ciascun paese, in ciascuna regione del mondo, deve ora prendere una decisione. O siete con noi o siete con i terroristi. Da adesso in poi qualsiasi paese che continui a ospitare o a sostenere i terroristi sarà considerato dagli Stati Uniti come regime ostile. (...) Questa non è la lotta della sola America. E la sua posta non è soltanto la libertà dell’America. Questa lotta è del mondo intero. È una lotta di civiltà. È la lotta di tutti coloro che credono al progresso e al pluralismo, alla tolleranza e alla libertà”[15]. Quanto ai talebani, Bush ha chiesto: “Chiudete immediatamente e in modo permanente tutti i campi di addestramento dei terroristi e consegnate alle autorità appropriate i terroristi e tutte le persone che forniscono loro appoggio. Consegnate alle autorità americane tutti i dirigenti dell’organizzazione Al-Qaida che si nascondono nel vostro territorio. Queste richieste non sono disponibili per un negoziato o una discussione. I talebani devono agire ed agire im­me­diatamente. O co­nsegnano i terroristi o condividono la loro sorte”. [16]
Commenta un editoriale del New York Times[17]: “Bush ha sottolineato che nessun paese musulmano o islamico è un nemico e ha espresso il suo rispetto per la loro religione. Ha anche osservato che gli americani rispettano il popolo afghano. Ma le richieste rivolte al governo talebano sono estese” e il regime talebano non le accetterà - come infatti ha fatto. Bush non ha fornito “dettagli sul tipo di azione che ha in mente. Questa riluttanza a tracciare un piano è comprensibile. L’amministrazione ha soltanto iniziato ad affrontare le complessità di una campagna per sconfiggere il terrorismo e ci sono divergenze tra i consiglieri di Bush su come muoversi, se rapidamente e contro chi”. 
                       
22 settembre
Il Consiglio europeo, riunito in sessione straordinaria il 21 settembre, conferma la sua solidarietà col popolo americano, conferma anche il suo sostegno a un’azione militare americana che ritiene giustificata e annuncia un piano d’azione contro il terrorismo - che si articola su questi punti:
a) rafforzare la cooperazione giudiziaria e di polizia, con modalità da definire nella riunione del 6 dicembre prossimo;         
b) identificare i terroristi che potrebbero risiedere in Europa, formando delle squadre europee di inchiesta allo scopo di  stabilire delle liste in comune;
c) creazione, in seno a Europol, di una squadra di specialisti antiterrorismo che collabori con le analoghe forze americane;       
d) appoggiare la proposta dell’India di elaborare in seno all’Onu una convenzione generale contro  il terrorismo internazionale;  
e) rafforzare la sicurezza aerea;    
f)  coordinare maggiormente la politica estera e di sicurezza comune con la lotta contro il terrorismo.[18]
Inoltre, il Consiglio ha auspicato la formazione di “una coalizione la più vasta possibile contro il terrorismo, sotto l’egida dell’Onu”, che comprenda anche la Russia, i paesi candidati all’Unione e “i nostri associati arabi e musulmani”. Osserva Le Monde[19] che “l’unanimità degli europei è, a questo punto, solo politica e non impegna alcuno Stato membro ad associarsi a delle eventuali azioni americane” - cosa che gli Stati Uniti non sembrano chiedere.
 
23 settembre
Bush ordina di congelare gli averi di 27 gruppi e persone sospettati di attività terroristiche e dichiara: “Oggi abbiamo lanciato un attacco alle fondamenta finanziarie della rete terroristica globale. Avvertiamo le banche e le istituzioni finanziarie in tutto il mondo. Se fate affari con i terroristi, se li sostenete o li finanziate non farete affari con gli Stati Uniti”. E ha aggiunto: “Lavoreremo con i vostri governi e chiederemo loro di bloccare la capacità dei terroristi di accedere ai loro fondi. Se voi (le banche) rifiutate di aiutarci e di divulgare le informazioni in vostro possesso, o di bloccare i conti, il dipartimento del Tesoro dispone ormai dell’autorità necessaria per bloccare i vostri averi e le vostre transazioni negli Stati Uniti” [20]. È la prima volta che una decisione del genere assume una dimensione mondiale. Nel 1995, Bill Clinton fece congelare gli averi di 18 individui e 12 organizzazioni sospettate di terrorismo, ma soltanto negli Stati Uniti; nel 1998, dopo gli attacchi alle ambasciate americane in Kenia e Tanzania, egli ordinò di congelare gli averi di bin Laden e di alcuni suoi associati.
Pare infatti che l’Fbi sia riuscito a comporre i dati relativi a “un’immensa rete finanziaria, una nebulosa formata da decine di imprese, organizzazioni caritative, banche nei paesi del Golfo ma con ramificazioni in Europa, specialmente in Gran Bretagna, tutte legate direttamente o indirettamente a bin Laden. Nei loro consigli di amministrazione, o tra i loro dirigenti, si trova tutto l’establishment del Golfo” - tra cui delle grosse famiglie saudite. Si fanno già dei nomi: la Al Shamal Islamic Bank, sudanese; la Tadamon Islamic Bank, anch’essa sudanese, azionaria di riferimento della Al Shamal, di cui sono compartecipi la National co. for Development and Trade, di Khartum, la Kuwait Finance House, la Dubai Islamic Bank, la Bahrein Islamic Bank; la Faisal Islamic Bank, che rientra nella solita rete complessa di altre banche e istituzioni; la Dubai Islamic Bank, che secondo la Cia sarebbe tra i principali finanziatori di bin Laden[21]. La decisione di Bush ha quindi una valenza senza precedenti, di cui si fatica a valutare le conseguenze.
 
25 settembre
Riyad annuncia di aver rotto i rapporti diplomatici con Kabul, perché i talebani hanno rifiutato di rispondere “ai contatti e alle iniziative dell’Arabia saudita per convincerli a cessare di dar rifugio ai terroristi e di addestrarli”. L’Arabia saudita “deplora” che i talebani abbiano “fatto del loro territorio un centro di accoglienza, di formazione e di mobilitazione di un cer­to numero di sviati di diverse nazionalità, specialmente di cittadini sauditi, affinché essi com­piano atti criminali contrari a ogni religione, e rifiutino di consegnare questi criminali alla giustizia”[22]. Nel 1997 l’Arabia saudita, il Pakistan e gli Emirati arabi uniti erano stati i soli paesi a riconoscere il regime talebano instauratosi l’anno precedente.
Tuttavia, Washington fa sapere che intende “punire - ma non sostituire - i dirigenti talebani in Afghanistan”[23]. Si sapeva già che nell’amministrazione Bush c’erano a questo proposito delle opinioni divergenti. “Il segretario di Stato Colin Powell e altri dirigenti del dipartimento di Stato consigliano che gli Stati Uniti procedano cautamente nell’allargare gli obiettivi della campagna sino a includere l’abbattimento del regime dei talebani, diretto dal mullah Mohammed Omar. Essi temono che uno sforzo del genere, anche se perseguito con un aiuto segreto a gruppi di ribelli, potrebbe coinvolgere gli Stati Uniti in una guerra civile in Afghanistan, con scarse garanzie di ottenere un governo filoamericano stabile”. Evidentemente Washington, che aiutò a suo tempo i talebani, ha imparato la lezione; sembra che essa consideri le forze armate di opposizione del defunto Massud come possibile punto di appoggio, ma nell’ambito di un disegno politico che, stando a informazioni ulteriori, mirerebbe a installare un regime che si ponga al di sopra delle fazioni in lotta.
Inoltre, “uno sforzo per rovesciare i talebani offenderebbe alcuni governi di paesi a predominanza islamica che hanno promesso un appoggio sostanziale alle campagna americana. Primo tra questi paesi è il Pakistan, che ha promesso un sostegno fondamentale alla campagna americana, ma che, dopo l’annuncio saudita, è rimasto il solo paese ad avere dei rapporti con il governo talebano”. [24]
 
26 settembre
L’Iran annuncia che non intende collaborare con gli Stati Uniti nella loro lotta contro il terrorismo. Alla delegazione dell’Unione europea, composta da Javier Solana, Louis Michel, ministro degli Esteri belga, e Chris Patten, commissario europeo alle relazioni internazionali, il ministro degli Esteri iraniano Kamal Kharrazi dichiara: “Noi affermiamo la nostra totale disponibilità a cooperare sotto l’egida delle Nazioni unite per lottare in modo serio contro il terrorismo”; e ben cosciente del proprio “ruolo nel mondo musulmano”, l’Iran è pronto a “ogni sforzo per evitare uno scontro col mondo occidentale”. Ma “bisogna agire nell’ambito dell’Onu per avere un approccio globale e una definizione comune e chiara del terrorismo”.[25]
In effetti, il giorno prima Ali Khamenei, guida suprema del regime, aveva esclamato in un comizio: “L’Iran non parteciperà ad alcuna mobilitazione americana contro il terrorismo. (...) Per ventitré anni avete costantemente nuociuto agli interessi iraniani. Come osate chiedere il nostro aiuto per attaccare l’Afghanistan, paese musulmano e oppresso, che è nostro vicino?”. Pare che l’accenno di Bush - subito rimangiato - a una “crociata”, non sia stato di molto aiuto. Anche Mohammad Khatami, in un discorso agli studenti, se l’era presa con Bush, trattandolo da “arrogante”. E la posizione iraniana preoccupa perché potrebbe cristallizzare il rifiuto anche di altri paesi mediorientali. [26]   
 
27 settembre
Il vice segretario alla Difesa, Paul Wolfowitz, a una riunione informale di ministri della Nato, dichiara che “non prevediamo per il momento alcuni azione collettiva” da parte della Nato. La lotta contro il terrorismo, egli aggiunge, “non si basa su alcuna azione spettacolare”, quindi gli Stati Uniti non chiedono alla Nato di attivare l’art. 5 della Carta atlantica che stipula una risposta collettiva in caso di attacco dall’esterno a un paese membro; anche perché, si commenta, “farlo già da ora li costringerebbe a delle pesanti procedure di consultazione poco compatibili con la flessibilità necessaria”[27].
Ciò non toglie che il supporto della Nato è indispensabile - e questo supporto viene concordato il 3 ottobre in una riunione a Bruxelles dei 18 paesi alleati. Anzitutto, la Nato fornisce tutta la sua cooperazione in forza dell’art. 5 della Carta atlantica, ma non è associata come tale a eventuali operazioni militari e alle decisioni relative; gli Stati Uniti chiedono invece l’accesso a porti e aeroporti militari, misure di sicurezza per le truppe americane in Europa; cooperazione nell’intelligence e sostituzione di truppe eventualmente spostate dai Balcani. La cooperazione militare può essere decisa in rapporti bilaterali, paese per paese, che non investono l’organismo nel suo complesso. Così lord Robertson ha dichiarato che in fatto di azioni militari “gli Stati Uniti possono agire per conto proprio, o farlo in associazione con qualsiasi gruppo di Stati”. Si chiede invece alla Nato di fornire assistenza a Stati “che sono o possono essere soggetti a crescenti minacce terroristiche come conseguenza del loro appoggio alla campagna contro il terrorismo” - e questo sembra essere “una velata richiesta ai membri della Nato di contribuire a proteggere e ad aiutare paesi come il Pakistan, l'Oman, l'Uzbekistan, il Tagikistan, che corrono rischi politici e di sicurezza offrendo agli Stati Uniti basi e assistenza vitali”. [28]
Quanto ai rapporti bilaterali, la Francia ha accettato la richiesta americana di mettere a disposizione due navi da guerra della sua flotta nell’oceano Indiano, ha aperto il suo spazio aereo agli apparecchi americani e ha messo in stato di allerta le sue forze armate all’estero - che stazionano specialmente in paesi africani; la Germania intende fornire cooperazione nell’intelligence e accesso al proprio spazio aereo; la Gran Bretagna ha messo a di­sposizione degli Stati Uniti tutte le sue forze armate; la Turchia ha offerto otto basi aeree e l’accesso al proprio spazio aereo. [29]
Frattanto, nel presentare il suo piano per la sicurezza aerea nei cieli americani, Bush ha spiegato che bisogna adeguarsi “a un nuovo tipo di guerra”, una guerra non convenzionale e che la “campagna” in corso si propone sì di scovare i terroristi e di “consegnarli alla giustizia”, ma ha un carattere “multidimensionale” e non soltanto militare; “essa potrà comportare o non comportare una componente convenzionale”. Osserva Le Mon­de[30] che quello stesso Bush una settimana prima chiedeva ai militari americani: “Tenetevi pronti! Arriva l’ora in cui l’America agisce e ne sarete fieri”, e si chiede il perché di questo cambiamento di tono; la risposta è che la pressione americana sta disgregando il regime talebano e in questa situazione gli Stati Uniti preferiscono concentrare l’attacco su bin Laden, senza estenderlo ai talebani. Anzi, proponendo aiuti umanitari alla popolazione afghana.
 
30 settembre
Il quotidiano USA Today scrive che dei commandos americani sono già in azione in Afghanistan. Alla Casa bianca, Bush dice: “Ho già detto forte e chiaro che talvolta la gente potrà vedere alla televisione ciò che stiamo facendo. In altri momenti, gli americani non potranno vedere ciò che stiamo facendo. Ma state certi, gli stiamo alle calcagna”. [31]
 
6 ottobre
Aggiungiamo delle note che riguardano il giorno precedente l’attacco missilistico per completare il quadro delle possibilità americane - e le ricaviamo da una sola fonte, Le Monde, che ci sembra sufficiente per farci un’idea. Osservava il quotidiano[32] che il Pentagono era ancora “davanti a una realtà: non ha la gestione che gli sarebbe necessaria dei mezzi militari. Washington può considerare, per il momento, che il suo schieramento non è in fase con i suoi obiettivi politici, a meno che non ci si contenti di quanto è stato messo insieme nel Golfo e nel mare d’Arabia per garantire, insieme alla Gran Bretagna, la stabilità della regione, qualora la crisi dovesse durare. Ma - a eccezione dei sistemi di ascolto e di sorveglianza, a terra e in mare - il dispositivo avrà bisogno di essere rafforzato e adeguato qualora le operazioni dovessero salire a un livello più elevato. Così come si presenta oggi, il dispositivo permette di lanciare una campagna di bombardamenti mirati a obiettivi militari afghani: centri di comando, campi di addestramento, depositi, piste d’aviazione”. E se queste osservazioni sono fondate, tale resta l’ambito delle operazioni iniziate il 7 ottobre.
A questo proposito, il quotidiano aggiunge alcune osservazioni interessanti[33]. Una riguarda il rischio di nuovi attentati terroristici della dimensione di quello dell’11 settembre, per con­trobilanciare le insufficienze delle forze talebane. “Secondo il Washington Post di venerdì (5 ottobre), dei dirigenti dei servizi di sicurezza, consultati da membri del Congresso, hanno insistito su questo pericolo, e uno di essi avrebbe detto che il rischio è “del 100%” una volta che le forze americane passino all’azione in Afghanistan”. Le seconda riguarda il carattere dell’offensiva americana in Afghanistan. “I dirigenti americani temono una disastro umanitario, che bin Laden e i talebani potrebbero, se non provocare, perlomeno aggravare. L’aiuto alla popolazione è divenuto pressocché l’asse principale dei preparativi americani. Bush ha deciso di portare a 320 milioni di dollari il totale dei soccorsi (e) gli specialisti a Washington prevedono un’offensiva che associ il politico-umanitario al militare. (...) Si tratta di evitare che si ripeta ciò che avvenne con l’Iraq, quando una larga parte dell’opinione araba tenne gli americani per responsabili delle sofferenze degli irakeni. Queste precauzioni sono tanto più necessarie in quanto alcuni alleati arabi degli Stati Uniti rifiutano di concorrere a delle azioni che potrebbero essere denunciate come un semplice e brutale ‘regolamento di conti’ con bin Laden”.  A fine ottobre di questo aspetto dell’offensiva americana non si parlava più.
 

[1] Come si sa, questa cifra è poi stata dimezzata nelle settimane successive.
[2] Dati da: "Financial Times", 12 settembre 2001; "Le Figaro", 12 e 17 settembre 2001; "Le Monde", 13 settembre 2001; "The Observer", 16 e 23 settembre 2001; "Newsweek", 24 settembre 2001; "Time", 24 settembre 2001.
[3] Bush mobilizing up to 50.000 reserves, "Internation Herald Tribune", 15 settembre 2001.
[4] Citato in Get ready for war, Bush tell America, "The Observer", 16 settembre 2001.
[5] The new enemy, "Economist", 15 settembre 2001.
[6] Michael Elliott, We’re at war, "Time", 24 settembre 2001. Bisogna ricordare che i settimanali "Time" e "Newsweek "escono portando la data posticipata di una settimana.
[7] Luc de Barochez, Les états musulmans sommés de choisir, "Le Figaro", 17 settembre 2001.
[8] Françoise Chipaux, Le Pakistan donne trois jours aux talibans pour livrer Ben Laden, "Le Monde", 18 settembre 2001.
[9] Jean-Jacques Mével, Bush, de la guerre à la croisade, "Le Figaro", 18 settembre 2001.
[10] Carola Hoyos, Pressure mounts on US to go to UN, "Financial Times", 19 settembre 2001.
[11] Christophe Jakubyszyn, Les attentats servent de catalyseur à des plans sociaux massifs, "Le Monde", 21 settembre 2001.
[12] Informazioni in proposito si trovano su diversi quotidiani. Per brevità riprendiamo i dati seguenti da "Newsweek", 1 ottobre 2001.
[13] Patrick Jarreau, Le Pentagone rassemble une large gamme de moyens militaires, "Le Monde", 22 settembre 2001.
[14] Jacques Isnard, Des raids aériens devraient être conjugués avec des actions menées par des unités d’élite, "Le Monde", 25 settembre 2001.
[15] Estratti del discorso in "Le Monde", 1 ottobre 2001.
[16] Testo in "Le Monde", 22 settembre 2001.
[17] A call to war, ripreso come editoriale di "International Herald Tribune", 22 settembre 2001.
[18] "Le Monde", 23 settembre 2001.
[19] Laurent Zecchini, Les Quinze jusgent ‘légitime’ une riposte américaine qui serait ‘ciblée’, "Le Monde", 24 settembre 2001.
[20] Brian Knowlton, Bush freezes the assets of 27 terror suspetcs, "International Herald Tribune", 25 settembre 2001; Eric Leser, Les Etats-Unis veulent imposer le gel de l’argent des organisations terroristes, "Le Monde", 26 settembre 2001.
[21] Babette Stern, La toile financière d0Oussame Ben Laden s’étend des pays du Golfe à l’Europe, "Le Monde", 25 settembre 2001.
[22] L’Arabie saoudite rompt ses relations diplomatiques avec le régime di Kaboul, "Le Monde", 26 settembre 2001.
[23] Brian Kopwlton, U.S. won’t seek taliban exit, "International Herald Tribune", 26 settembre 2001.
[24] "International Herald Tribune", 26 settembre 2001, già citato. 
[25] Philippe Gélie, L’Europe déroutée par les ambigüités iraniennes, "Le Figaro", 27 settembre 2001.
[26] Serge Michel, Téhérena dit ‘non’ à l’Amérique, "Le Figaro", 27 settembre 2001.
[27] Arnaud Leparmentier, Les Américains ne font pas appel à l’Alliance atlantique pour riposter, "Le Monde", 28 settembre 2001.
[28] Nato agrees to all of U.S. aid requests, "International Herald Tribune", 5 ottobre 2001.
[29] Allies firm up military roles, "Financial Times", 4 ottobre 2001.
[30] Patrick Jarreau, Washington change de ton: l’attaque sur Kaboul n’est plus présentée comme imminente, "Le Monde", 29 settembre 2001.
[31] Patrick Jarreau, Des forces spéciales américaines sont entrées en action en Afghanistan, "Le Monde", 1 ottobre 2001.
[32] Jacques Isnard, Washington pourrait revoir l’échéancier de la risposte militaire, "Le Monde", 7 ottobre 2001.
[33] Patrick Jarreau, Des unités d’infanterie américaines s’installent en Ouzbékistan, "Le Monde", 7 ottobre 2001.