Notizie Internazionali n.79/80
Bollettino bimestrale della Fiom-Cgil a cura di Pino Tagliazucchi

 

Lavoro e conflitto sociale in Italia

di Gianni Rinaldini, segretario generale Fiom-Cgil

Dopo l’11 settembre in molti, con frasi altisonanti avevano dichiarato che la storia del mondo sarebbe cambiata.

Viceversa a un anno di distanza da quel devastante attentato, è possibile affermare, che il processo di globalizzazione ha trovato in questo modo ulteriore alimento per giustificare la propria logica di puro dominio.

Nella guerra come strumento che accompagna la globalizzazione, dall’invasione dell’Afgha-nistan, alla questione palestinese, all’invenzione dell’asse del male per preparare l’attacco all’Iraq. La guerra come strumento permanente, normale del nuovo ordine internazionale per esercitare il controllo diretto sulle aree strategiche del pianeta. A fronte di una nuova guerra annunciata che prevedibilmente sarà preceduta da qualche clamorosa scoperta e/o atto che ne giustifichi la necessità dobbiamo costruire da subito la più ampia mobilitazione internazionale.  È questa oggi un’assoluta priorità della nostra iniziativa.

Nella restrizione ulteriore degli spazi democratici che a partire dagli Stati Uniti attraversa gli stessi paesi europei nel tentativo ormai evidente ed esplicito di associare e ridurre il conflitto sociale a un problema di ordine pubblico. Questo è successo, come sapete, un anno fa a Genova, questo sta succedendo in Italia quando esponenti del governo hanno accusato il segretario generale della Confederazione generale italiana del lavoro (Cgil), Sergio Cofferati, di essere il mandante morale dell’uccisione del professor Marco Biagi.

Nello sviluppo insostenibile che rappresenta oggi la caratteristica di questa globalizzazione così come si evidenzia a dieci anni di distanza dalla conferenza di Rio, con l’assoluta inconsistenza delle decisioni assunte nella conferenza di Johannesburg. Siamo semplicemente alla affermazione della non sostenibilità ambientale e umana degli attuali processi mondiali.

È questa, la guerra, la restrizione della democrazia, lo sviluppo insostenibile, una logica di dominio che concepisce il mondo come un unico immenso mercato che riduce la condizione umana, l’ambiente ad aspetti funzionali rispetto alla logica del profitto.

Ciò rende possibile, anche con l’utilizzo delle nuove tecnologie della comunicazione, un ruolo e una funzione del capitale finanziario che interviene e si sposta da un paese all’altro secondo una sola esigenza, quella del guadagno, del profitto a breve e quindi della ricerca delle relative convenienze.

Non si tratta di un indistinto impero che non ha un fulcro, un centro di potere perché tutti gli Stati-nazione sarebbero sormontati da una non meglio definita sovranità internazionale.

Ma bensì siamo alla proposizione su scala planetaria di un modello sociale, di un assetto della società e del mondo che è quello proprio degli Stati Uniti.

La povertà, l’indigenza di una parte dell’umanità è funzionale a questa idea dello sviluppo, dove le grandi istituzioni finanziarie dal Fondo monetario internazionale (Fmi) alla Banca mondiale propongono e impongono ovunque la stessa ricetta, quella del libero mercato, della privatizzazione.

Contemporaneamente, nei paesi industrializzati,  nella parte ricca del mondo si accrescono le disuguaglianze sociali, per la semplice ragione che è identico il senso, il significato sociale dei processi in atto che riducono la condizione umana, la condizione lavorativa a una merce tra le merci e quindi incompatibili con i diritti, le tutele, lo Stato sociale, la contrattazione collettiva.

Tutto ciò viene presentato come l’avvento dell’era postfordista, dove flessibilità, nuovi lavori, la frantumazione dell’attività produttiva resa possibile dalle nuove tecnologie, comporterebbe l’esaurimento naturale del conflitto sociale, del conflitto di classe e l’affermazione dell’individuo liberato dai vincoli sociali e collettivi. La modernità come demolizione dei diritti e della contrattazione nell’esercizio dell’attività lavorativa per essere sostituiti da non meglio definiti diritti nel mercato del lavoro.

Non c’è nulla di nuovo, né di particolarmente moderno se non la riproposizione del liberismo allo stato naturale, dell’idea ottocentesca di una società composta da tanti individui assunti come socialmente eguali che in quanto tali competono e relazionano tra di loro secondo le leggi del mercato.

Siamo tutti dentro questo processo e ci interroghiamo sul presente e sul futuro. Non possiamo non cogliere l’enormità della sfida che abbiamo di fronte perché il rischio è quello che dalle devastazioni proprie di questa globalizzazione trovi alimento una risposta fondata sui fondamentalismi o sulla esplosione di nazionalismi e populismi di destra di varia natura.

Sarebbe miope non vedere che ampi strati popolari possono essere coinvolti in questo percorso come per altro verifichiamo quotidianamente nei nostri paesi, quando alla condizione generale di insicurezza sociale si fornisce la risposta di leggi razziste contro i lavoratori stranieri.

Il viaggio che abbiamo intrapreso con Porto Alegre «un altro mondo è possibile» costituisce una speranza positiva che deve crescere e vivere non soltanto nei grandi appuntamenti internazionali ma nella costruzione di obiettivi e di pratiche che sappiano connettere, tenere assieme coerentemente gli obiettivi generali con il conflitto sociale, le scelte che si compiono nelle diverse realtà.

Per questo la proposta della Tobin tax come intervento sulle transazioni finanziarie assume particolare rilevanza, perché parte di un’idea più complessiva, di un progetto più generale dove la scienza, le nuove tecnologie sono al servizio degli esseri umani e non del profitto.

L’obiettivo della Tobin tax assume più o meno rilevanza nella stessa possibilità di incidere sui processi finanziari internazionali se è parte di un movimento che coerentemente, nelle sue diverse dimensioni sappia costruire alternative e praticare obiettivi che mettono in discussione gli attuali processi sociali.

Come sapete nel nostro paese è aperto un conflitto sociale molto pesante. Un paese dove il presidente del Consiglio è il proprietario di tutti gli organi di informazione televisiva ed è molto impegnato a promulgare leggi che lo sottraggano assieme ai suoi amici dalle sentenze dei magistrati.

Le ragioni più profonde di questo conflitto risiedono nel fatto che il governo e la Confindustria stanno attuando un programma che è finalizzato a ridefinire l’assetto sociale e istituzionale del paese. Dalla giustizia, agli organi di informazione, allo Stato sociale, al lavoro.

Voglio richiamare la vostra attenzione sul fatto che sempre quando ci si trova di fronte a rivolgimenti di questa dimensione, il lavoro diventa aspetto centrale e decisivo.

Ciò che sta avvenendo con gli atti legislativi in discussione e con l’accordo separato firmato due mesi fa da tutte le associazioni padronali, dall’industria al commercio, alla cooperazione e dalle altre organizzazioni sindacali, a esclusione della Cgil è la pratica attuazione dell’idea che nell’era della globalizzazione e delle nuove tecnologie informatiche, l’occupazione è incompatibile con i diritti, le tutele, la contrattazione collettiva, lo Stato sociale.

Mentre da una parte si persegue lo smantellamento dello Stato sociale, sempre più sostituito da un sistema assicurativo, si pratica un obiettivo, quello dell’estensione dei processi di precarizzazione e del superamento dei diritti fondamentali.

Questo è il significato che tiene assieme la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che apre la strada al licenziamento individuale senza giusta causa, cioè quel licenziamento che il giudice considera ingiusto e la delega sul lavoro in discussione in Parlamento che introduce una molteplicità di rapporti individuali che, come viene detto esplicitamente, vuole superare una concezione del rapporto di lavoro subordinato del Novecento sviluppatosi con la  nascita del movimento operaio per affermare un concetto di «rapporto commerciale», come se il padrone e il lavoratore fossero due individui socialmente eguali.

Alle rappresentanze sindacali si propone di essere parte di una molteplicità di enti bilaterali, enti formati da associazioni padronali e da rappresentanti sindacali, come parte integrante di questo assetto sociale, a partire dalla gestione dell’ufficio di collocamento. In questo modo le organizzazioni sindacali si trasformano da soggetto collettivo di solidarietà e contrattazione a ente di servizio parastatale.

Si tratta di una scelta precisa che riduce la condizione lavorativa a pura merce tra le merci e rende incompatibile un sindacato degno di questo nome, un sindacato che trova la sua ragione fondativa nella solidarietà, nella contrattazione collettiva.

Viene in questo modo cancellata la democrazia e la soggettività dei lavoratori e delle lavoratrici.

Per questo la Federazione impiegati operai metallurgici (Fiom) prima, quando non abbiamo firmato l’accordo nazionale sul biennio economico, la Cgil oggi con la non firma dell’accordo separato, stanno sviluppando un duro conflitto sociale su tre questioni fondamentali: estensione dei diritti e delle tutele a tutti i lavoratori e le lavoratrici, la difesa del contratto nazionale, la democrazia.

Su questi obiettivi si è costruito un ampio movimento che ha portato a marzo di quest’anno, a quella straordinaria manifestazione nazionale organizzata dalla Cgil con 3 milioni di persone che ha visto il convergere dei vari movimenti esistenti nel nostro paese, dal Social forum, al movimento dei  «girotondi» nato sul tema della giustizia.

Per i prossimi giorni, sabato 14 settembre, il movimento, definito dei «girotondi» ha promosso sulla giustizia una manifestazione nazionale che, ne siamo sicuri, vedrà la partecipazione di centinaia di migliaia di persone.

La Fiom e la Cgil hanno raccolto e stanno raccogliendo le firme per i referendum contro le misure legislative del governo e proclameremo, nell’assemblea prevista per il 21 settembre, lo sciopero generale da svolgersi entro la metà di ottobre.

Come Fiom stiamo predisponendo la piattaforma per il rinnovo del contratto nazionale che scade alla fine dell’anno corrente.

Probabilmente dopo decenni di storia sindacale del nostro paese, non ci sarà una piattaforma unitaria dei sindacati dei metalmeccanici, ma diverse piattaforme, perché profondi sono i dissensi sul terreno dei diritti, del contratto nazionale, della democrazia.

Consideriamo, per le scelte compiute dal governo e dalla Confindustria, conclusa la fase della politica dei redditi e della concertazione che hanno regolato le relazioni sindacali nel nostro paese negli anni Novanta.

Siamo per altro assolutamente convinti che a fronte dei processi di frantumazione del mondo del lavoro e della riduzione di tutti gli spazi di autonomia e democrazia, il presente e il futuro della rappresentanza sociale consiste in primo luogo in un processo di radicale democratizzazione delle organizzazioni sindacali, del rapporto con i lavoratori e le lavoratrici.

Per questo abbiamo compiuto una scelta netta che non è semplicemente di metodo ma di natura strategica sul fatto che piattaforme e accordi sindacali devono essere convalidati dal voto segreto espresso dai lavoratori e dalle lavoratrici.

Non è un caso che proprio su questo terreno, democrazia e diritti, abbiamo registrato un nuovo protagonismo dei giovani.

Ho voluto illustrare, sommariamente, la situazione e il conflitto sociale nel nostro paese non soltanto per una ovvia esigenza di socializzazione delle conoscenze ma perché siamo convinti che non ci troviamo semplicemente di fronte alle iniziative di un governo «particolare» ma della pratica attuazione di un progetto sociale complessivo di globalizzazione che in forme e modi diversi coinvolge tutti i paesi industrializzati.

La sinistra o è portatrice di una idea diversa e alternativa oppure semplicemente non esiste. Il conflitto sociale che si sta aprendo in diversi paesi europei, compresa l’Inghilterra di Blair, può aprire una fase nuova e diversa.

Come Fiom abbiamo partecipato al movimento di Porto Alegre dall’inizio, proprio perché convinti che per agire localmente è necessario pensare globalmente.

Per questo è necessario che il Forum sociale europeo che si svolgerà a Firenze nel mese di novembre possa rappresentare un importante passo in avanti per delineare obiettivi e percorsi comuni. Obiettivi e percorsi comuni per la costruzione di un movimento europeo per l’estensione dei diritti, dell’universalità del sistema di sicurezza sociale e della contrattazione collettiva.

La globalizzazione dei diritti deve vivere coerentemente come obiettivo mondiale e come costruzione della Europa sociale.

Se viceversa in Europa si dovesse affermare una logica di distruzione della struttura dei diritti e della contrattazione collettiva, l’obiettivo della globalizzazione dei diritti sarebbe colpito in modo definitivo.