Editoriale

Mediterraneo, mare di civiltà

di Alessandra Mecozzi , responsabile Ufficio internazionale Fiom

 

“L’immagine che offre il Mediterraneo non è affatto rassicurante. Il versante settentrionale presenta un ritardo rispetto al Nord Europa, e altrettanto la sponda meridionale nei confronti di quella europea. Tanto al Nord quanto al Sud l’insieme del bacino si lega con difficoltà al continente. Non è davvero possibile considerare questo mare come un vero insieme, senza tener conto delle fratture che lo dividono, dei conflitti che lo dilaniano: in Palestina, in Libano, a Cipro, nel Maghreb, nei Balcani, nell’ex Jugoslavia.”

Predrag Matvejevic, Il Mediterraneo e l’Europa, Garzanti, 1998

 

Sono tante le immagini del Mediterraneo; questa, del famoso scrittore balcanico, ci sembra tra le più vicine al sentimento attuale europeo; più critiche, quando ci sono, quelle che provengono dalla cultura araba, nella quale sono molto più usati i termini “Oriente” e Occidente”, anziché quelli di Mediterraneo, come mare nostrum, possibile luogo comune.

Con questo numero speciale di “Notizie Internazionali” abbiamo scelto di concentrare l’attenzione sui paesi, non tutti e certamente in modo non esauriente, della riva Sud ed Est, supponendo quella Nord, europea, più conosciuta da coloro che leggeranno. Attorno al Mediterraneo e nel Mediterraneo c’è stata grande costruzione di miti: qui proviamo a fornirne una rappresentazione più cruda e realistica, che possa anche essere utile sollecitazione allo stesso sindacato, che da anni ha rinunciato a costruirvi politiche.

L’occasione ci è data da un incontro delle società civili del Mediterraneo (presentato in questo numero da Fabio Alberti ) di cui la Fiom è copromotrice, che si terrà a Roma dal 24 al 26 novembre e che discuterà sui temi della pace e della giustizia, dei diritti, dell’ambiente, della cultura, della politica e delle religioni, della democrazia e del neocolonialismo. Delle risorse per le quali si fanno le guerre, e delle ideologie che le coprono, con l’obiettivo di verificare la possibilità di un linguaggio e di un lavoro comune con quelle parti di società civili che alle guerre, ai fondamentalismi, agli autoritarismi, alla spoliazione delle risorse, si oppongono, cercando nello stesso tempo nel lavoro, nella vita, nella quotidianità di conquistare voce e spazio. Una difficile lotta per la democrazia, per la libertà e per la pace si concentra in quest’area decisiva per l’Europa, l’Africa, l’Asia, un’area in cui sempre più spesso c’è chi cerca di impiantare, proprio in ragione delle differenze che vi si confrontano, quello “scontro di civiltà”, che sentiamo come un irriducibile nemico.

Vogliamo quindi fornire dati, informazioni, opinioni, cercando di approfondire la questione del lavoro e dei suoi diritti, dei diritti sindacali  nella cornice “mediterranea”, indicando, anche dal punto di vista delle politiche europee, come sia essa oggi percepita e come possa essere collocata in una visione strategica. Sostanzialmente fallito il “Processo di Barcellona”, con la ripresa del militarismo e delle politiche di guerra, dopo l’11 settembre, è possibile pensare oggi a una politica mediterranea paritaria e non coloniale? L’articolo di Bruno Amoroso e quello di Bernard Ravenel, da due diverse prospettive, offrono alcune risposte. L’acqua, l’energia, risorse fondamentali e preziose sono al centro di conflitti, ma anche strumenti possibili di pace (Nicola Cipolla) come l’aspirazione alla libertà e a diritti fondamentali, di cui le donne sono protagoniste importanti, già nella non dimenticata resistenza al fondamentalismo e al terrorismo in Algeria negli anni Novanta (Maria Grazia Ruggerini).

Alleanze subalterne tra governi corrotti e autoritari con il governo degli Stati Uniti sono sottoposte alle pressioni e alle sfide di chi reclama riforme e democrazia: in un’area dove i conflitti armati sono e sono stati negli anni recenti così diffusi, e dove invece il conflitto sociale è il più delle volte represso, i regimi autoritari devono confrontarsi con nuove spinte per la democrazia, nuovi soggetti sociali e politici emergono: è pensabile l’apertura di un dialogo politico con essi?  È difficile, ma oggi la nuova vitalità, la lotta per i diritti, in paesi con regimi repressivi, come è il caso del Maghreb (intervista a Samira Ghozali, sindacalista algerina), o in Egitto (dove è appena nato il movimento “Kefaya-basta!”); ancor più complessa  nei paesi attraversati da anni da occupazioni e violenza armata, come quella di Israele (nella cui società pure si fanno avanti tentativi di nuove organizzazioni sociali, Assaf Adib - Wac,), in Palestina (nascono a Gaza i comitati indipendenti dei lavoratori, accanto al sindacato storico Pgftu, in una situazione socialmente ed economicamente catastrofica, come documenta ampiamente il rapporto delle Nazioni unite sui diritti umani) e il Kurdistan turco, in cui ancora una volta viene lanciata una dichiarazione di «cessate il fuoco» unilaterale e la richiesta di una soluzione  pacifica e democratica. Anche in Turchia, che pure è entrata nel percorso negoziale per accedere all’Unione europea, non certo un esempio in tema di rispetto dei diritti umani, emerge la questione delle violazioni dei diritti del lavoro e sindacali.

Un paese come il Libano, che in anni recentissimi aveva visto di nuovo una ripresa della sua attività economica e sociale (l’Italia ne è il primo partner economico) dopo una lacerante guerra civile, ha in 33 crudelissimi giorni subìto di nuovo la distruzione di un terzo del suo territorio e delle sue città a opera dell’esercito israeliano, ma ha anche visto la reazione compatta e solidale di una società civile che vuole continuare a vivere senza occupazioni, né della Siria né di Israele, e lavorare per il proprio futuro (Nahla Chahal).

E se volgiamo lo sguardo a Est, verso i Balcani, anch’essi attraversati da 10 anni di terribili guerre, poi colpiti dai bombardamenti della Nato in Serbia e Kosovo, è evidente la resistenza civile di quelle popolazioni, la volontà di ricostruzione delle proprie società e delle proprie strutture, oggi sotto l’imposizione da parte delle Istituzioni internazionali di ristrutturazioni e privatizzazioni generalizzate: gli esempi di Croazia e Macedonia, dove sono dirigenti sindacali a parlare, sottolineano con chiarezza la necessità di esprimere non solo la nostra solidarietà ( Fiom Brescia , Fiom Lecco ) ma di costruire rapporti più forti e soprattutto tentare di costruire insieme politica.

E infine c’è il Mediterraneo nel nostro stesso paese: la presenza, il lavoro, le culture, le contraddizioni portate dall’immigrazione, dal Sud e dall’Est; le tante donne e uomini che pongono con chiarezza e con forza la necessità del riconoscimento del diritto di cittadinanza di residenza, che non sta nel sangue, ma nella terra che si abita (Sveva Haertter). Forse più di ogni altra immagine rappresentano la fatica e la volontà di uguaglianza nei diritti, di libertà nelle scelte, di apporto positivo alle società in cui li o le hanno spinte i risultati della rapina o delle guerre volute dei paesi ricchi, a Nord e a Occidente…

E se fosse vero ciò che dice lo scrittore catalano?

 

Il Mediterraneo non esiste, è solo un mare interiore che ciascuno di noi deve navigare ogni giorno. Le sue acque limpide sono il fondo azzurro della memoria.. Non piangere per questo mare. Se qualcuno arriva e ti dice che quello spazio luminoso dell’infanzia oggi è solcato da pestilenti navi da guerra e da chiazze di petrolio, non credergli. Se accetti questa desolazione anche tu sarai morto.”

Manuel Vicent, Mare interiore, Feltrinelli, 1995