Crisi della rappresentanza
politica, riappropriazione dello spazio democratico
* di Sophie Gosselin, filosofa e membro del collettivo Ap033 di Nantes Corrispondenza da Nantes Marzo 2006: universitari,
liceali, precari e
militanti riuniti nell’Assemblea
generale dell’università di Nantes votano il blocco:
occupazione degli spazi dell'università con lo scopo di fermare i corsi e avere il tempo libero per
l'organizzazione della lotta politica contro Una nuova ondata di contestazione sociale fa irruzione in Francia, permettendo
alle nuove generazioni di fare esperienze su politica, autorganizzazione, presa di decisioni collettiva, conflitto tra interessi, rapporti di forza, manipolazioni del linguaggio e dell’informazione, insomma sulla
complessità
di ciò che si chiama "la
democrazia”.
Questa esperienza di democrazia si è allo stesso
tempo rivelata anche la messa alla prova della
rappresentazione politica e giornalistica. Chi rappresenta chi? Chi parla a nome di
chi? Dietro alle apparenze di un
conflitto dalle forme tradizionali, che opponeva l'alleanza dei sindacati a un governo la cui
legittimità
è rimessa in questione – opposizione ritrasmessa
dai media nazionali e locali – procedeva sotterraneamente un altro processo, iniziato nel Maggio ’68: quello di una rimessa in
questione dello statuto stesso della
rappresentanza politica (di partito
o sindacale),
e di una critica radicale al trattamento dell’informazione
da parte dei media tradizionali. Questa rimessa in discussione della
rappresentanza ha segnalato
l’urgenza di nuove pratiche e modi di organizzazione
collettivi e di un processo di riappropriazione dello spazio democratico. Al termine del movimento, ho intervistato
studenti dell’università di Nantes, che sono entrati in un sindacato chiamato “Sud Etudiants” durante Gli studenti
sindacalizzati del Sud utilizzano il sindacato come un mezzo di
autoorganizzazione del movimento, che funziona in parallelo (e non lo sovrasta) a
questo. Cioè il sindacato interviene come
un'estensione del movimento a cui inietterebbe gli elementi (tecnici, finanziari...) necessari alla
sua
autorganizzazione. Ma soprattutto, funziona come
struttura di autoformazione politica, organo di trasmissione delle
pratiche di autorganizzazione e di divulgazione. Così il sindacato degli studenti
del “Sud” di Nantes opera più come una rete informale di individui
che come una
struttura gerarchizzata, i cui confini
dell'appartenenza o non appartenenza sarebbero fortemente definiti. Ci sono molti gradi possibili di appartenenza al “Sud Etudiant” che vanno dall’essere
un attivista impegnato totalmente, facendo vivere il sindacato e dandogli la sua legittimità
attraverso la pratica, a chi si
impegna per affinità , né completamente
dentro né totalmente fuori, che si mobilita più per un'azione, meno per
un’altra. Quelli che “guidano" il sindacato non sono quelli che deriverebbero
dalla loro rappresentanza
una posizione privilegiata, ma coloro che lo fanno vivere attraverso la
loro attività.
L'impegno nel sindacato non si fa tanto in modo ideologico, ma in modo pratico, ciò che fanno e come. Ed è questa pratica che, per “contaminazione” tra affini, coinvolge nuove persone nella sua scia. Una delle conclusioni dell’intervista
con questi studenti è che il senso del movimento risiede in un processo di riappropriazione dello spazio democratico da
parte delle nuove generazioni. Come si è manifestata, nella pratica, questa riappropriazione dello spazio democratico? All’inizio
attraverso le Assemblee generali in ogni università e l'articolazione di queste grazie a coordinamenti
nazionali e regionali. Ciò vuol dire che
l'azione politica, l'organizzazione della lotta, non avvenivano
dentro ai sindacati (che conducevano le proprie strategie quasi in
parallelo, o
tentando talvolta di svuotare e di controllare questi processi di
coordinamento che gli
sfuggivano), ma fuori di essi, nelle reti che
si tessevano a
ogni livello del coordinamento. Qualunque
studente mandato dall’Assemblea generale poteva partecipare alle riunioni
di coordinamento,
senza essere
necessariamente membro o
rappresentante di
un'organizzazione. Ma soprattutto, la dinamica di
autorganizzazione visibile nelle Assemblee
generali si
prolungava nei numerosi
micro blocchi che
hanno iniziato a
proliferare a
partire dalle
università: inizialmente occupazioni degli spazi
universitari e dei licei, trasformati in spazi autonomi, poi occupazione di stazioni, strade, centri
commerciali, aeroporti ecc. – fenomeno
che ha visto la nascita di un legame inedito tra gli studenti in lotta e
i movimenti di squatters e punk. L'inazione dei sindacati e la
paralisi del mondo del lavoro ha dato vita a un processo di"
blocchi volanti": in mancanza di una fermata dei
lavoratori della
produzione che alimenta
l’economia (sciopero), la resistenza si è spostata verso il blocco
del flusso di circolazione. La lotta così si è sviluppata su
un duplice percorso: spostamento nelle pratiche di
organizzazione collettive e nei modi e scopi della resistenza, e spostamento al livello della produzione
e circolazione di immagini e notizie, per la
riappropriazione dei media via internet. Questa serie di spostamenti delle pratiche e dei modi di lotta corrisponde a una mutazione nelle forme di distribuzione e di azione del potere, del rapporto
tra tecnologia (in quanto mezzo di
produzione, mezzo di azione sulla realtà) e potere. Se ci si
sofferma sul
concetto di rete e sul suo doppio significato di
organizzazione e di dispositivo tecnologico, che emerge
insieme alla crisi
di
rappresentazione, viene da
chiedersi: in che cosa queste nuove
tecnologie possono essere parte di un processo di riappropriazione dello spazio democratico? E ancora: quale forma di "potere politico"
diamo
alle
tecnologie? Per citare Michel Foucault, possiamo pensare al potere come a una tecnologia (cioè come a
dei rapporti di forza che si
fissano in procedure o tecniche di dominio), e inversamente alla tecnologia come a un rapporto di forza sociale fissato su un materiale
artificiale. Lo strumento
non è allora che uno degli elementi di un catena o di una rete di una tecnologia del
potere. Questo implica che la messa in
opera di certe procedure o tecniche vi introduce in una
rete di rapporti di forze sociali determinati. In seno al movimento
sociale contro la Legge sulle pari
opportunità,
che richiama ancora largamente le forme dei movimenti sociali
tradizionali, abbiamo potuto veder emergere nuove pratiche
politiche legate a un
cambiamento
nel rapporto di
rappresentanza
e
a una ridefinizione delle strategie di lotta. La crisi della
rappresentanza
sembra legata alla obsolescenza del modello di organizzazione politica
tradizionale (quello dei partiti, dei
sindacati...), che suppone un corpo omogeneo (quello della nazione, del
popolo, dei lavoratori, ecc.) che produce la sua immagine, delegando il proprio potere a una
manciata di rappresentanti. Ciò che si è
manifestato,
al contrario, nel movimento, è una
rappresentanza frammentata, molteplice, legata a pratiche di
autorganizzazione, che implicano cellule autonome che
si relazionano tramite i coordinamenti (e non tramite una logica di rappresentanza). La
riappropriazione della democrazia avviene
attraverso una riattivazione del rapporto tra spazi di presa di decisione collettivi e modi di organizzazione. Non corpi omogenei
secondo gerarchie, ma cellule
autonome che
prendono la forma di spazi"
agora", nei quali ciascuno è considerato
uguale, spazi
in perpetuo
cambiamento secondo
nuovi legami e reti in cui queste cellule entrano. Nel movimento contro |