Lavoro
e lotta, l'attualità dello studente Sabattini
Recensione
di
Riccardo Bellofiore
“il
manifesto” del 9 febbraio 2006
L'anno accademico è il
1969-70. Il titolo della tesi:
Rosa Luxemburg
e il problema della rivoluzione in Occidente. Claudio Sabattini la
scrive in fretta. E' stato appena eletto segretario generale della Fiom
bolognese. La prima metà dello scritto si concentra sul dibattito sul
«revisionismo» di fine Ottocento. La sfida lanciata da Bernstein è
chiara. Bisogna prendere atto della trasformazione del capitalismo che
si fa monopolistico, finanziario e imperialistico, ed è capace di
rispondere alla Grande Depressione. Si devono dunque rivedere la teoria
e la strategia, non
la tattica. Buttare
a mare l'aspettativa del crollo del capitalismo. Sfruttare le capacità
di adattamento del sistema, con la diffusione dell'azionariato (che
impedisce la polarizzazione di classe), e con la persistenza delle
piccole e medie imprese (che contrasta la concentrazione del capitale in
imprese sempre più grandi).
In Riforma sociale o
rivoluzione? la Luxemburg
ribatte a Bernstein con argomenti brillanti. La tendenza al crollo per
il problema del realizzo del plusvalore è solo rimandata, ed anzi
aggravata, dai fenomeni nuovi cui fa appello il revisionismo. La
concentrazione del capitale è una tendenza di lungo termine, e si
realizza in un movimento ciclico che vede il rifiorire periodico delle
piccole imprese. Allo stesso modo, l'accumulazione del capitale
riunifica il proletariato, il che non esclude le ondate di
destrutturazione della classe operaia. La Luxemburg,
contrariamente a Kautsky, va oltre: vede la radice di classe del
revisionismo, e pone il problema di una pratica diversa del partito (con
un legame organico tra lotte immediate e presa del potere). Condivide
ancora la visione «positivistica», tra il naturalistico e il
meccanicistico, di tutta
la Seconda Internazionale.
Più originale la seconda
metà della tesi,
che della Luxemburg
mette a tema, da un lato, il pensiero politico, dall'altro, il rapporto
tra lotte sindacali e lotte rivoluzionarie. La prima questione porta
Sabattini a rileggere il contrasto con Lenin dopo la crisi dello
stalinismo. Il secondo tema interroga il nesso tra conflitto sindacale e
dimensione politica come si dà nel ciclo di lotte che vive allora
l'Italia.
La Luxemburg viene spesso inchiodata
alla accoppiata spontaneismo-crollismo. Non così Sabattini, che non si
affanna molto a contestare il secondo corno, ma coglie limpidamente due
punti. Primo: la Luxemburg
non è affatto spontaneista. La sua è una teoria dell'organizzazione
alternativa a quella di Lenin, in quanto l'avanguardia (centralizzata)
non è separata dal movimento che deve unificare e cui deve dare sbocco
politico, ed è sempre soggetta al controllo dal basso. Secondo: la Luxemburg
segue Marx, secondo il quale non è il salario ma il tasso di
accumulazione la variabile indipendente. Il salario monetario e reale può
aumentare, ma il salario come quota del reddito ha tendenza a cadere.
Sabattini non cade in
nessuna ingenuità conflittualista. Ciò che gli fa problema è altro.
Se la lotta sindacale non fa altro che realizzare la legge capitalistica
del valore della forza-lavoro contro l'impulso immediato del singolo
capitalista, il suo ruolo è del tutto impolitico, se non per il
contribuire a quella «pedagogia rivoluzionaria» che rivela al
proletariato i limiti del sistema. Lotta per le riforme e lotta
rivoluzionaria, economia e politica, appaiono qui irrimediabilmente
scisse.
Le cose cambiano presto. La
svolta è la polemica con Lenin sul partito e poi, come conseguenza
della Rivoluzione Russa del 1905, lo scritto Sciopero generale, partito
e sindacati. Lo sciopero di massa non è solo un mezzo, è la forma di
manifestazione della lotta proletaria nella rivoluzione. Il rapporto tra
lotta economica e lotta politica va nei due sensi: la coscienza è
radicata nell'essere sociale della classe, con cui pure non si
identifica. In quell'antagonismo si dà «una possibilità storica
dell'autonomia, nella prassi, della classe operaia nei confronti del
capitale a partire dalla fabbrica [...] a condizione di fare valere la
sua "insubordinazione" al regime capitalistico di fabbrica,
puntando sulla continua autodeterminazione delle proprie condizioni».
Il rimando è esplicito alla ripresa dei «Consigli» in quegli anni.
Tre i punti attuali. La
rottura della tenaglia tra separatezza del partito (coscienza esterna) e
autosufficienza (immediata) del movimento. La centralità delle lotte
del lavoro, a partire dalle sue condizioni, per la trasformazione
sociale. Tra i due momenti, «l'autogoverno della classe come strumento
non sostituibile del processo rivoluzionario». In questo, i nostri
giorni sembrano farsi lontani da quell'ispirazione. Nella stessa
sinistra, sociale e politico si separano, o viene negato il necessario
momento riunificante di lotte frantumate. Il sostegno alle lotte del
lavoro, o latita, o va a uno dei tanti momenti del conflitto. Dentro le
organizzazioni politiche e sindacali, la verifica da parte dei
rappresentati non viene affermata quale condizione ineludibile della
pratica quotidiana.
Altri tempi, si dirà. Cosa
può dirci, infatti, una tesi
scritta nei momenti alti della lotta, ora che siamo in una epoca di
sconfitta. Pure, nelle prime pagine Sabattini ricorda che un punto
importante di Marx è che «la sconfitta della lotta proletaria non è
concepita come qualcosa da rinnegare, da nascondere, o che occorreva
assolutamente evitare». Non si tratta soltanto di affermare la necessità
dei tentativi, ogni volta battuti, «per nuove avanzate teoriche o
pratiche»; si tratta anche di comprendere l'epoca della sconfitta, e
agire conseguentemente.
Ho conosciuto davvero
Claudio Sabattini nel
2000. Mi
venne a chiedere di organizzare insieme un convegno sul capitalismo
nella globalizzazione. Gli erano piaciuti alcuni miei interventi sulla
rivista del manifesto. Non sapevo della sua tesi, lui non sapeva che anch'io mi ero
laureato con una tesi
su Rosa
Luxemburg. Chissà che in quella
sintonia non giocasse un paradosso. La globalizzazione e il modello
americano non danno ragione a Bernstein contro la Luxemburg?
Non siamo appieno dentro una «centralizzazione senza concentrazione»?
La tendenza non è proprio la destrutturazione del mondo del lavoro,
disomogeneo e precarizzato, in unità produttive sempre più frantumate?
Pure, questo capitalismo tutto appare meno che capace di controllare
l'instabilità che costantemente produce al suo interno. La sua legge di
movimento è l'attacco costante al salario e alle condizioni del lavoro,
la scomposizione continua della classe, per impedirle qualsiasi
possibilità di autodeterminazione. Se si ragiona così, il soggetto
sociale del conflitto non è un dato, va costantemente ricostruito.
Senza questa riunificazione, la risposta della politica da parte di una
sinistra degna di questo nome, che certo è necessaria, non vedrà mai
la luce. E'
di qui che si deve ripartire. Le ragioni della Luxemburg
e di Claudio Sabattini mi sembrano oggi più vive che mai.
|