Quale futuro
per il polo elettronico de L'Aquila? Il
3 marzo, a L'Aquila, si è tenuta un'assemblea a cui hanno partecipato un
migliaio di lavoratori di Flextronics e Lares tecno, per discutere della
situazione delle aziende in vista dell'incontro con il governo che si terrà a
palazzo Chigi il 5 marzo, che dovrebbe fornire soluzioni concrete alla crisi che
coinvolge il polo elettronico aquilano. Al temine dei lavori dell'assemblea, abbiamo chiesto ai lavoratori le loro opinioni sul futuro occupazionale in azienda e a Canio Calitri, settore informatica e telecomunicazioni Fiom nazionale, di tracciare un'analisi della crisi del settore delle telecomunicazioni, proprio a partire dalla realtà aquilana.
Resoconto dell'assemblea dei lavoratori Flextronics e Lares tecno - L'Aquila, 3 marzo 2003 All'assemblea
hanno partecipato Cgil, Cisl, Uil e Fim, Fiom, Uilm provinciali
e nazionali. Da
tutte le relazioni e dagli interventi dei lavoratori, è emerso che il punto
fondamentale della vertenza è la richiesta della continuità produttiva del
sito, il cui futuro non può restare legato soltanto alle commesse Siemens,
garantite fino a novembre 2003. Flextronics, o qualunque altro partner rilevi
l'azienda, deve essere in grado di portare a L'Aquila commesse aggiuntive, che
garantiscano la continuità produttiva e la riorganizzazione aziendale, che deve
avvenire a fabbrica aperta. Gli
obiettivi fondamentali della vertenza sono identificati nel mantenimento del
lavoro, nella richiesta di una politica industriale del territorio e
nell'opposizione a una sua deindustrializzazione, mantenendo unite le richieste
di Flextronics e Lares tecno insieme. Marco
Di Luccio (Cgil nazionale), concludendo l'assemblea ha dichiarato che
"chiudere significherebbe mettere questo territorio ben oltre una
situazione di declino industriale", quando invece bisogna consolidare e
valorizzare la professionalità presente, garantendo l'occupazione. Per questo
al governo è stata fatta la richiesta di un piano di reindustrializzazione che
dia risposte per tutti i lavoratori, assicurando la qualità della soluzione.
"Qualunque impresa subentri – ha proseguito Di Luccio – deve essere
orientata a una logica di sviluppo, di ricostruzione della filiera industriale a
L'Aquila". Intervista a Canio Calitri, settore informatica e telecomunicazioni Fiom nazionale Qual
è la situazione oggi della Flextronics e della Lares tecno? Tra
i lavoratori c'è tensione, c'è un clima di aspettativa e una volontà molto
forte di portare avanti le rivendicazioni costruite con le Rsu e il sindacato. I
lavoratori hanno esercitato in questi mesi un potenziale di lotte e di
iniziative nei confronti del governo, della Regione, delle forze politiche per
imporre questa vertenza davanti all'opinione pubblica cittadina e nazionale,
tant'è che poi di fatto la
vertenza è stata assunta dalla Cgil, Cisl, Uil nazionali e dalla Fim, Fiom,
Uilm nazionali. L'incontro
del 5 marzo a Palazzo Chigi sarà decisivo rispetto alle prospettive di questi
stabilimenti, di quest'area produttiva, di tutto il polo elettronico. La
situazione del polo elettronico aquilano rispecchia quella dell'industria
italiana. La
vicenda aquilana è esemplare di un'assenza completa di politica industriale del
governo. Stiamo assistendo, in questo settore, a una scomposizione della catena
del valore, con le esternalizzazioni, le delocalizzazioni, la dispersione
insomma della capacità produttiva, di intelligenze e di professionalità
consolidate in anni e anni di attività. Questa
assenza di una politica industriale permette di fatto alle aziende di
delocalizzarsi, di disperdere un patrimonio tecnologico. Lo Stato potrebbe
intervenire sul settore delle telecomunicazioni cercando di riavviare la
domanda, rimuovendo così il blocco
degli investimenti che esiste ormai da tre anni e che sta penalizzando le
aziende italiane; questo significherebbe intervenire sui gestori di telefonia,
facendo in modo che possano riprendere gli investimenti, ma significherebbe
anche intervenire direttamente, come Stato, nella costruzione di grandi
infrastrutture tecnologiche nelle telecomunicazioni. C'è
poi un problema in questo settore che il governo dovrebbe affrontare: come si
tutela un patrimonio di capacità di innovazione e produzione, fondamentale in
questo campo? Dopo la delocalizzazione delle manifatture, corriamo il rischio
che ci sia anche una delocalizzazione delle parti più pregiate e più ricche
del ciclo produttivo delle telecomunicazioni, parlo soprattutto di ricerca e
sviluppo. Anche perché, oggi, molte aziende multinazionali stanno pensando di
collocare centri di ricerca e sviluppo all'estero, per un problema di costi, di
mancanza di sostegno pubblico. Se questo avvenisse noi assisteremmo sicuramente
nell'arco dei prossimi anni a una perdita completa della capacità del nostro
paese di stare in un settore centrale per l'innovazione anche di altri rami
produttivi. La
crisi delle telecomunicazioni investe tutta l'Europa. Gli altri paesi come la
affrontano? La
crisi è forte ovunque. Le imprese di telecomunicazioni – Siemens, Ericsson,
Alcatel – sono tutte multinazionali, e negli altri paesi hanno operato molti
tagli all'occupazione. In Italia non
abbiamo assistito a licenziamenti di massa, ma a una gestione della crisi che è
avvenuta attraverso esternalizzazioni e strumenti più soft di riduzione
del personale, incentivi, mobilità volontarie incentivate. In
Europa e anche in Italia la crisi è accentuata da due fenomeni: il primo è
rappresentato dal forte livello di indebitamento raggiunto dai gestori di
telecomunicazioni su cui, come è accaduto per la vicenda umts, hanno investito
milioni di euro, indebitando le aziende stesse e causando un blocco degli
investimenti. L'altro problema è che c'è stato un eccesso di investimento
azionario di queste società, legato a un surplus
di fiducia nello sviluppo delle telecomunicazioni, tant'è che l'eccessivo
aumento di capacità produttiva dal 1998 al 2000 ha inciso in maniera globale
sul settore, e ne abbiamo risentito anche in Italia. Quando un'azienda ragiona
più in termini di quotazione del titolo di quanto non presti attenzione ai
problemi di sviluppo dell'azienda stessa – che ha bisogno di una
progettazione, di una politica industriale di gruppo, di investire nel lungo e
non solo nel breve periodo come vogliono gli analisti – i problemi emergono. Sulla
vertenza Flextronics e Lares tecno, le risposte del governo fino a ora sono
state insoddisfacenti? Il
governo finora non è stato in grado di definire una proposta. Nell'ultimo
incontro ci hanno detto che stavano lavorando a un'ipotesi, ma non l'hanno
ancora ufficializzata: stanno contattando un partner che subentri a Flextronics,
ci sarà l'intervento e il
coinvolgimento di Sviluppo Italia, però dal punto di vista dei contenuti
concreti ancora non siamo di fronte a una proposta vera e propria. L'unica cosa
tentata dal governo nel corso dell'ultimo incontro è stata quella di strappare
al sindacato la disponibilità alla cessazione dell'attività, la messa in cassa
integrazione di tutti i lavoratori, per poi costruire un processo di
reindustrializzazione. Questo per noi è inaccettabile. Il
sindacato ha detto con chiarezza che il presupposto di qualsiasi accordo è il
mantenimento della continuità produttiva. Questo significa che, al di là di
quale soggetto imprenditoriale si potrà sostituire a Flextronics, per noi è
importante che le lavorazioni che oggi si fanno in Flextronics a L'Aquila,
restino a L'Aquila. Questo è il presupposto per avere una ricostruzione dal
punto di vista di una struttura industriale, non partendo dalle macerie, dal
vuoto assoluto, ma partendo da un base solida di produzioni, di lavorazioni, che
in qualche modo assicurino una continuità produttiva, una prospettiva certa di
soluzione del problema. Qual
è il ruolo del governo nella crisi del polo elettronico? È
centrale sotto più aspetti. Intanto, perché può intervenire con strumenti che
favoriscono l'insediamento produttivo in quest'area. La Regione può operare con
la Legge n. 87 3C, che regola il livello di sovvenzioni europee rispetto a
un'area territoriale; il governo può direttamente – e ci ha comunicato che
vuole farlo – allargare l'utilizzo della Legge n.181 anche sul Comune de
L'Aquila. Il rapporto quindi tra questi due strumenti legislativi costituirebbe
un impulso molto importante e di forte richiamo per nuove aziende che volessero
investire sul territorio. Il
governo deve poi intervenire sulla Siemens – perché la continuità produttiva
è possibile solo se Siemens mantiene le sue commesse sul sito aquilano, al di là
che ci sia o non ci sia Flextronics – e può indirizzare una serie di
investimenti e di commesse, anche legate a enti controllati dallo Stato –
Poste, Ferrovie, Enel, Finmeccanica
– che possono dare un aiuto forte sia in termini di commesse sia in termini di
costruzione di una filiera tecnologica sul territorio aquilano che abbia una
prospettiva. Su questi punti noi misuriamo l'impegno vero del governo, perché
non basta – come dice l'onorevole Letta –assicurare comunque gli strumenti
(cassa integrazione, mobilità) e poi cercare una prospettiva. Ci serve un
impegno vero sul terreno produttivo e industriale, e questo il governo, se
vuole, può farlo. E
il governo lo vuole fare? Lo
verificheremo il 5. È chiaro che il punto di snodo di questa vertenza è la
continuità produttiva; se il governo riesce a imporre a Siemens questo, sarebbe
un segnale che vuole seriamente risolvere la vertenza. Altrimenti ci viene quasi
il sospetto che voglia presentarci delle soluzioni che rinviano a non so quando
una soluzione produttiva e industriale, togliendo nel frattempo i lavoratori
dalle piazze perché probabilmente gli danno fastidio. La
Siemens finora come si è comportata? Negli
incontri che abbiamo avuto, la società ha manifestato la disponibilità a
mantenere le commesse a L'Aquila, però non riusciamo a capire se Siemens è
stata coinvolta o meno dal governo. Certo, anche qui la controprova di un
impegno vero di Siemens sarebbe quella di chiamare l'azienda al tavolo della
trattativa. Noi l'abbiamo detto in tutti i modi al governo, poi spetta a lui
convocare le parti. Oggi
in assemblea si è parlato anche di altre forme di lotta, di sciopero generale. Cgil,
Cisl e Uil territoriali, insieme a Fim, Fiom, Uilm, hanno deciso di effettuare
lo sciopero generale provinciale e di tutta la città de L'Aquila a sostegno
della vertenza dei lavoratori, nel caso l'incontro del 5 marzo fallisse. Adesso
già è presente un coinvolgimento forte, dimostrato negli scioperi, nelle
manifestazioni, da parte della città, della chiesa, da parte degli artisti,
degli studenti e il vasto tessuto di solidarietà intorno a questa lotta verrà
innalzato con lo sciopero generale, se il 5 marzo non ci saranno risposte
soddisfacenti.
Le opinioni dei lavoratori Franca
- Flextronics Per
quanto riguarda l'incontro a Palazzo Chigi del 5 marzo, non è che mi aspetti
qrandi cose. Parlando tra noi oggi, dicevo che secondo me uscirà il discorso
sulla cassa integrazione e sulla mobilità, però comunque bisogna aspettare.
Anche se il governo già da tanto tempo è stato investito di questo problema,
ancora oggi qui in assemblea abbiamo avuto la conferma che non riesce a capire
bene che cosa vogliamo: il governo deve sapere che qua si sta giocando non
soltanto sul nostro lavoro, che poi è dignità, si sta giocando sulla nostra
dignità e sulla dignità delle nostre famiglie e di tutta la città de
L'Aquila. Quindi siamo pronti a qualunque cosa. Se
l'incontro del 5 andrà male, faremo lo sciopero generale, ma vogliamo prima
vedere come va la trattativa e il 5 stesso decidere la data per quanto riguarda
lo sciopero generale della città. Rita
- Flextronics Lavoro
da 33 anni in azienda, sono entrata che ero una ragazzina. Siamo tutti convinti
che questa realtà deve restare così com'è, anzi migliorata, per noi e per i
giovani che dovranno proseguire questo cammino. Perché non c'è altro a
L'Aquila: tutti noi siamo convinti che se ci uniamo e continuiamo a tenere alta
l'attenzione sulla nostra lotta, possiamo anche riuscirci. Naturalmente, se il
governo comincia a capire che noi non stiamo scherzando; forse non si ricordano
di altre lotte che abbiamo fatto. Gli
aquilani sono gentili, sono delicati, ma sono molto forti. E sono decisi: quando
devono fare una cosa, tranquillamente si uniscono e la portano avanti. Questa
azienda è l'unica realtà industriale seria che c'è qui. Ci sono anche delle
piccole aziende che hanno aperto a L'Aquila, ma non sono vere realtà
industriali, vengono qui e assumono ragazzi per un mese, due o tre, danno loro
quattro soldi e poi li sbattono fuori. L'unica realtà seria che c'era era
questa, che negli anni noi abbiamo mantenuto di alto livello qualitativo e
quantitativo, tecnologico e professionale. Ci teniamo che vada avanti. Intorno
all'azienda è nato tutto un nucleo, l'università, le scuole professionali,
sono sorte tutte basandosi sul fatto che qui c'era un polo elettronico, ci siamo
specializzati proprio su questo. A L'Aquila non c'è altro. Siamo all'interno
dell'Abruzzo, chiusi anche dal punto di vista geografico, si figuri se c'è la
possibilità di pensare ad altre industrie. La chiusura dell'azienda
significherebbe non trovare più lavoro. Già adesso c'è una disoccupazione
altissima, anche perché tutti i ragazzi che hanno studiato si sono proiettati
sull'elettronica, su questo tipo di tecnologia. Già adesso che l'azienda si è
ridimensionata – prima eravamo 5.000 – i giovani non hanno più prospettive,
ma almeno quel poco su cui possiamo contare, vogliamo mantenerlo, speriamo di
riuscire a farlo con le nostre forze. Richiediamo
un piano industriale serio e adeguato: ripeto, gli aquilani sono forti e
gentili. Soprattutto forti. Eliana
- Lares tecno Lavoro
in azienda da 34 anni e mezzo, ma prima ho lavorato per 4 anni alla Siemens in
Germania, per poi potere passare qui a L'Aquila. Sono
depressa, non si vede futuro, nessuna prospettiva. Per fortuna noi lavoratori
siamo tutti uniti, stiamo lottando insieme a quelli della Flextronics per andare
avanti, per portare le nostre richieste insieme al tavolo del governo. Per
questo stiamo occupando tutti e tre i presìdi che abbiamo organizzato, qui
davanti alla fabbrica, alla Regione e a Roma, davanti a Palazzo Chigi. Siamo qui
giorno e notte. Il proprietario della Lares si è portato via la nostra lavorazione, quella che facevamo qui a L'Aquila, e l'ha trasferita su a Milano, così loro lavorano e noi siamo qui senza far niente, fuori da un anno e mezzo. Chiediamo che venga riaperto lo stabilimento, con un nuovo imprenditore che ci faccia lavorare. Giuseppe
- Flextronics Chiediamo
che vengano raggiunti questi obiettivi: il primo è avere una continuità di
lavoro. Su questo aspetto, anche oggi in assemblea lo abbiamo ribadito, non
molleremo. La continuità deve essere garantita, i lavoratori non devono
abbandonare l'azienda se e quando ci sarà il passaggio dalla Flextronics a un
nuovo partner. Il
secondo punto è che comunque Siemens deve lasciarci le commesse, ci deve dare
lavoro sulle telecomunicazioni. Anche il nuovo partner dovrà continuare a farci
lavorare sulle commesse delle telecomunicazioni, perché è il nostro lavoro da
una vita – io lavoro qui da trent'anni – è da una vita che noi lavoriamo
sulle telecomunicazioni e non vogliamo altro che le telecomunicazioni,
l'elettronica. Se poi ci porteranno anche altre lavorazioni, meccaniche, di
precisione, ci sta anche bene, ma comunque il polo elettronico non si tocca. Se
ci sarà, questa nuova azienda deve portare anche nuove commesse, non possiamo soltanto sperare che restino
quelle di Siemens. Quelle che abbiamo dureranno fino a novembre, ma chiediamo
che Siemens ci garantisca, tramite Telecom, di darci commesse per il periodo
successivo, altrimenti ci ritroveremo tra un anno o due alle stesse condizioni
di oggi, con la stessa crisi. Tutto questo passaggio ci porterà forse a una
perdita di posti, alla mobilità, alla cassa integrazione, ma l'azienda si deve
impegnare per farci vivere una vita dignitosa e rispettabile, dopo trent'anni di
lavoro. |