Documento Fiom del settore installazioni telefoniche

 

Lo stato di crisi del settore delle installazioni telefoniche è giunto ormai a livelli insopportabili, per i costi enormi che le politiche attuate continuano a far pagare ai lavoratori in termini di diritti, di occupazione e di salario, e per il degrado del sistema che la totale insufficienza degli investimenti sta generando.

Oggi siamo alla vigilia di una nuova ondata di licenziamenti di massa e al perpetrarsi della sostituzione di lavoro stabile con lavoro precario e al nero; siamo all’epilogo della crisi del gruppo Tecnosistemi, un patrimonio professionale di conoscenza che ha progettato e costruito parti estese della rete italiana di telecomunicazioni e che dopo essere stata affidata a faccendieri al momento della privatizzazione, si trova ora in amministrazione straordinaria e senza prospettive di ripresa; siamo in una nuova fase di riorganizzazione delle imprese che rimodulano la catena delle esternalizzazioni cui hanno dato vita le grandi aziende multinazionali del settore (Ericsson, Alcatel Siemens, Italtel) per adeguarsi a un nuovo taglio dei costi; siamo all’utilizzo sempre più spregiudicato del subappalto da parte delle aziende di istallazione, intrecciato al ricorso massiccio alla cassa integrazione come strumento di finanziamento della flessibilità e volano al  lavoro nero.

La privatizzazione della Telecom, avvenuta sommando al mantenimento dei privilegi del monopolio l’autonomia dai vincoli sociali rispetto alla funzione pubblica del diritto alla comunicazione, e l’incapacità delle aziende del settore di investire in innovazione, hanno prodotto in questi 10 anni un peggioramento secco del servizio e della qualità del lavoro.

I costi sono stati tagliati con la disdetta dei contratti integrativi aziendali, l’uso della cassa integrazione finalizzata dalle aziende principalmente all’uscita e non al reimpiego, l’espulsione dei lavoratori attraverso la messa in mobilità, le esternalizzazioni delle attività più povere su aziende spesso inventate. Dopo anni di questa cura, gli addetti del settore si sono ridotti della metà, con danni occupazionali incalcolabili soprattutto nel mezzogiorno e il ricorso al lavoro illegale è diventato la norma.

Parallelamente, si è assistito al disimpegno verso l’innovazione del prodotto, e verso l’estensione e la manutenzione del servizio, pur essendo la qualità delle telecomunicazioni in stretta relazione con la qualità dello sviluppo di un paese.

Gli utenti pagano per la rete fissa 6.000 miliardi di euro di canone l’anno, ma gli investimenti non vanno oltre i 1.200/1.400 miliardi di euro. Così la rete è in uno stato disastroso, con i guasti in continuo aumento.

L’abbandono degli investimenti nella rete fissa è la chiara dimostrazione di come non si possa affidare a un’impresa privata, che risponde solo alla logica della borsa e dei mercati, la garanzia del diritto di tutti i cittadini a comunicare e il destino di una infrastruttura fondamentale del paese.Gli utenti pagano la privatizzazione della rete attraverso l’abbassamento della qualità del servizio, l’allungamento dei tempi di riparazione, la mancata estensione tecnologica nelle arre considerate meno redditizie; mentre l’abbattimento dei costi delle bollette non è dovuto alla libera concorrenza che non c’è, ma al lavoro sottopagato su cui si poggiano i profitti nel settore.

- Bisogna riconoscere il fallimento sociale e industriale della politica del massimo ribasso, bloccare la spirale del continuo strangolamento dei costi lungo la filiera produttiva, investire in innovazione e ricerca e spostare la concorrenza fra le imprese fornitrici sul terreno della qualità. Ciò significa invertire la tendenza in atto che ancora oggi ripropone ulteriore dilazionamento del pagamento delle imprese committenti da parte del gestore;  ulteriore ribasso dei prezzi che ha già prodotto un taglio del costo del lavoro di circa il 40%; ulteriore deregolamentazione del lavoro attraverso le nuove esternalizzazioni, la costante crescita del subappalto, il lavoro nero come elemento strutturale del sistema,  la precarizzazione del mercato del lavoro.

- E’ necessario riprendere il controllo pubblico sulla proprietà della rete fissa delle telecomunicazioni, come è in tutti i paesi europei, e definire gli investimenti indispensabili ad una adeguata politica industriale e di innovazione di sistema.

- Vanno messe sotto controllo le gare per garantire la salvaguardia dei diritti contrattuali e della legalità.

- Va rotta la catena del subappalto pretendendo trasparenza e responsabilità lungo tutta la filiera produttiva.

- Vanno riportati gli ammortizzatori sociali a un corretto utilizzo, per affrontare le crisi e non per sostenere le politiche di deregolamentazione delle imprese.

Bisogna aprire una grande vertenza nazionale del settore telecomunicazioni che coinvolga il governo, gli enti locali e tutti i soggetti industriali, dai gestori dei servizi alle aziende di istallazione.

Su questa base sono state varate alcune importanti piattaforme unitarie territoriali e proclamati scioperi e manifestazioni per fine settembre. L’estensione di iniziative analoghe consentirebbe di dare forza alla rivendicazione di apertura di un tavolo di settore che ha bisogno di tempi rapidi, anche per intercettare la discussione in atto sulla legge finanziaria.

E’ urgente un’assemblea nazionale dei delegati delle telecomunicazioni che sostenga la vertenza, rilanci la proposta sindacale sul settore e apra il confronto con le forze politiche, le istituzioni e gli altri soggetti sociali interessati.

 

Roma, 23 settembre 2004